-- INTERVENTI IN AULA (CONTINUAZIONE)
Diamo qui di
seguito i riassunti degli interventi:
- S.Em.R. Card. Edmund
Casimir SZOKA, Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città
del Vaticano, Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano
(CITTÀ DEL VATICANO)
Ho partecipato al mio primo Sinodo nel 1983. Negli ultimi 15 anni ho preso
parte a tutti i Sinodi tranne uno. Nel corso delle presentazioni formali,
durante la disceptatio generalis, sembrava esservi uno schema d’intervento che
non cambia molto da un Sinodo all’altro. Secondo la mia umile opinione, sembra
esservi la tendenza, con qualche eccezione, a parlare in termini formali e
generali, senza centrare i problemi specifici e le soluzioni pratiche
possibili.
Ritengo che le interventiones liberae
che si tengono ogni sera siano molto più produttive poiché sono incentrate su
problemi specifici e propongono soluzioni possibili.
Penso che la questione centrale da analizzare in questo Sinodo riguardi i
nostri sacerdoti e noi stessi come vescovi. Circa 55 anni fa ho letto un libro
intitolato “Keepers of the Eucharist” di William Henry Schaefers, che è ormai
fuori stampa. È un libro per i sacerdoti come quelli che celebrano
l’Eucaristia. Dal punto di vista ascetico e spirituale è uno dei libri sul
sacerdozio migliori e di maggior ispirazione che io abbia letto. Sottolinea il
grande dono e la dignità del sacerdozio, che è il dono più grande che Dio possa
dare a un uomo. L’amore per l’Eucaristia e la sua centralità nella vita e nella
fede del nostro popolo dipende in larga misura dal sacerdote - dalla sua fede,
dal genere di vita che conduce, dalla sua vita di preghiera, dalla sua
semplicità di vita, dalla sua disponibilità a portare alla Messa i propri
sacrifici e dal modo in cui celebra la Santa Eucaristia.
Desidero attirare la vostra attenzione su un altro libro intitolato “Spirit of
the Liturgy”, pubblicato nell’anno 2000 dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger.
Il libro è una sintesi eccellente dello sviluppo storico e teologico della
Santa Liturgia della Messa e tocca tutti gli aspetti della Liturgia,
dall’architettura della chiesa al tipo di musica. Questo libro potrebbe
aiutarci nelle nostre risoluzioni, poiché propone dei discernimenti molto
pratici.
Una delle mie preoccupazioni e
inquietudini più grandi è che ritengo che alcuni dei nostri sacerdoti, e
perfino alcuni vescovi, oggi hanno perso la loro fede nella Santa Eucaristia e
celebrano la Santa Messa semplicemente come una responsabilità professionale.
Per concludere, se la Santa Eucaristia deve essere fons et culmen della
Vita e della Missione della Chiesa, abbiamo bisogno soprattutto di sacerdoti e
vescovi di fede profonda, di preghiera, di spiritualità e di dedizione.
Penso che dovremmo lasciare questo Sinodo con una determinazione più profonda a
vivere una vita più santa, sacrificale, che si rifletta nella nostra
celebrazione della Santa Messa.
[00169-01.04] [IN151] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Seán Baptist
BRADY, Arcivescovo di Armagh, Presidente della Conferenza Episcopale (IRLANDA)
La Parola di Dio è viva e attiva, ha la capacità di cambiare le menti e i
cuori. È in grado di indirizzare i bisogni dell’individuo e della comunità
riuniti in ascolto della Parola di Vita. Essa costituisce un’importante fonte
dell’attività trasformante dello Spirito Santo nella Liturgia.
Oggi, lo stesso Cristo è sempre presente nella proclamazione della Parola. Egli
è il Verbo incarnato, e per questo motivo la Parola di Dio si presenta a noi
come persona ed evento, non come un concetto, e ci chiama a ciò che le nostre
preghiere non osano sperare.
È stata data attenzione alla coerenza tematica delle letture che accompagnano
il ciclo liturgico. Deve essere fatto di più per fare sì che le letture vadano
incontro ai bisogni pastorali. Nell’articolo 47 viene menzionata l’omelia come
parte della Liturgia della Parola. L’Instrumentum laboris raccomanda che venga
posta cura alle omelie tematiche che danno le grandi linee della fede
cristiana.
Vorrei sollecitare affinché si aiutino i predicatori. Il Catechismo della
Chiesa Cattolica e il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa sono
strumenti provvidenziali per insegnare la missione della Chiesa. Un simile
testo universale che fosse di supporto all’esposizione delle letture del ciclo
liturgico potrebbe aiutare il predicatore a illustrare le Scritture in risposta
ai segni dei tempi. Se le difficili domande di questa nostra epoca sono
presentate alla famiglia umana da parte dei network televisivi locali, di
internet e delle riviste globali in termini globali, perché mai la risposta a
queste domande non dovrebbe essere presentata dalla Chiesa universale in
termini globali?
L’esperienza del mio paese ha dimostrato il potere di trasformazione che la
liturgia della Parola e l’omelia operano. In tante occasioni di grande tragedia
e violenza, il potere della Parola e dell’omelia di trasformare atteggiamenti
di collera, vendetta e ritorsione in azioni di riconciliazione, perdono e
guarigione è stato sia consolante sia promettente. È gratificante notare come
parole della Sacra Scrittura quali giustizia, pace, perdono siano diventate la
“lingua franca” del processo di pace.
In tempi recenti, un momento storico in questo processo politico è stato
raggiunto con la riduzione delle armi da parte delle maggiori organizzazioni
paramilitari. A due uomini di Chiesa che hanno lavorato per molti anni per
promuovere il dialogo e la riconciliazione, un ex presidente della Chiesa
Metodista e un sacerdote redentorista, è stato chiesto di firmare l’atto di
disarmo. Questo, forse, è dovuto al riconoscimento, tra le altre cose, del
ruolo avuto dai Ministri della Parola di Dio nel creare le condizioni per la
riconciliazione e la pace. Ciò testimonia il potere della Parola, sotto
l’azione dello Spirito Santo, di fare nuove tutte le cose.
[00166-01.06] [IN156] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Juan MATOGO
OYANA, C.M.F., Vescovo di Bata (GUINEA EQUATORIALE)
Il mio intervento tenta di fare una riflessione sui nn. 70 e 71
dell’Instrumentum laboris che parlano della celebrazione “Dies Domini”,
contesto e momento privilegiato in cui l’assemblea cristiana riceve “il pane di
Dio... che discende dal cielo e dà la vita al mondo”.
Parlo a nome personale e parto dall’esperienza acquisita in Guinea Equatoriale,
un paese di piccole dimensioni che poté facilmente essere abbracciato dai
missionari nella prima evangelizzazione. Ma subì un regime di repressione
religiosa nei primi 11 anni di indipendenza che coincisero anche con gli anni
delle prime applicazioni del rinnovamento della Chiesa, scaturito dal Concilio
Vaticano II.
All’inizio degli anni ‘80, cessata tale repressione, il nostro popolo riprese
la pratica religiosa interrotta. In un modo o nell’altro, si notò, a vari
livelli, un cammino con ritmi diversi all’interno di uno stesso gruppo umano.
Lo sfruttamento del petrolio negli ultimi cinque anni, ha introdotto nella vita
di questo popolo dei mutamenti vertiginosi che se, da una parte, indicano
sicuramente un’evoluzione materiale, dall’altra, vanno a colpire il
comportamento delle persone.
Crediamo che con ciò si manifesti una fame di vita vera, con sfumature diverse.
È in questo contesto che si presenta come priorità pastorale, la ripresa
dell’itinerario cristiano, sulle radici chiare dei valori maggiormente radicati
nel nostro popolo. Uno di questi valori, che continua a toccare il cuore della
nostra gente, è la realtà della famiglia ampliata, affermata visibilmente nel
tempo e nello spazio.
Nel “Dies Domini” si riuniscono nella “casa grande” del Padre comune, dove lo
ascoltano sempre con interesse e devozione filiale.
- Con la sua Parola, che veramente dà certezza ed è creatrice, non solo opina e
consiglia, ma orienta con imparzialità tutti i suoi figli nel cammino di una
vita e una tradizione che vengono dal lontano passato, e continua a costruire
oggi, e continua a dare coesione ad un’unica famiglia, ampliata nel tempo e
nello spazio.
- Vedendo nel suo seno anziani, giovani e bambini che si rivolgono a Lui come
il Dio di “ieri, oggi e sempre” (Eb 13,8) che assicura la saggezza e
l’esperienza dell’anziano, dà la stabilità e slancio alla speranza dei giovani
che intendono far progredire il loro popolo per rinnovarlo con nuovi progetti
di vita.
Lì, quando palpitano in celebrazioni lunghe e affollate, rafforzano le gioia di
vivere, imparano l’ospitalità e riconoscono la sollecitudine gli uni per gli
altri, la generosità per la donazione gratuita delle offerte portate in
processione all’altare, l’amore di un Padre che ascolta e accoglie tutti,
malgrado la differenza d’età e di etnia...
La presentazione di Gesù come “il pane di Dio... che discende dal cielo e dà la
vita al mondo” costituisce un invito affinché accorriamo a Lui per saziare la
nostra ansia di vita e di vita in abbondanza (Gv 10,10).
In questo Sinodo abbiamo l’aspettativa di trovare con i fratelli,
1. Il modo più chiaro di presentare l’Eucaristia, come l’incontro con Gesù, che
ci sazia, alla fine di un cammino che è iniziato con il ricercare e il seguire
la sua Verità.
2. Come insegnare, davanti al crescente egoismo e all’avidità di oggi, la
realtà dell’Eucaristia come donazione gratuita, sacrificata e generosa di Dio,
che come Padre sostiene tutti i suoi figli.
3. Come, infine, frenare l’avidità che crea tante divisioni, sottolineando
l’Eucaristia come dono abbondante di Gesù che cominciò con il gesto di
moltiplicare il pane fino a che ne avanzò, poiché solo Lui può dare la vita in
abbondanza.
[00191-01.06] [IN161] [Testo originale: spagnolo]
- Rev. P. José RODRÍGUEZ
CARBALLO, O.F.M., Ministro Generale dell'Ordine Francescano dei Frati Minori
Il mio intervento fa riferimento ai numeri 46-48 del IL, dove viene ribadito
“il legame indissolubile tra la Mensa della Parola e quella dell’Eucaristia”,
sicché tra loro non sono ammesse “fratture”. Già nel XIII secolo, san Francesco
d’Assisi parla di questa unità. Il Cristo che segue così radicalmente è quello
che “vede” nel “corpo e nel sangue del Signore” e “nelle sante parole del
Signore” (cfr Lettera ai chierici 3).
Questa unità viene chiaramente ribadita dal Concilio Vaticano II, quando nella
Dei Verbum afferma:“La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha
fatto per il Corpo stesso di Cristo” (21).
La Parola di Dio proclamata nell’Eucaristia annuncia ciò che il sacramento
realizza e rivela alla comunità ecclesiale il significato dell’azione
sacramentale. Per questo, la “Mensa della Parola” è fondamentale per accostarsi
alla Mensa del “corpo di Cristo”; la comunione con il Corpo e con il Sangue di
Cristo esige la comunione con la Parola del Signore, ed è possibile vedere il
Signore nelle specie eucaristiche solo se i nostri “occhi” sono illuminati
dalla Parola e il nostro cuore “arde” nell’ascoltarla (cfr Lc 24, 13-35). Per
“alimentare l’intima unione tra l’annuncio e l’ascolto della Parola e il
mistero eucaristico” (Paolo VI) è necessario:
- che i ministri dell’Eucaristia abbiano un’adeguata formazione biblica e
liturgica per poter suscitare nel proprio cuore e nel cuore dei fedeli lo
stupore per il mistero eucaristico e lo stupore per il mistero della Parola;
- che l’omelia, preparata partendo dai testi sacri, come raccomanda il Concilio
Vaticano II (cfr SC 52), metta la Parola di Dio in rapporto anzitutto con la
celebrazione sacramentale, vale a dire che sia mistagogica (cfr IL 47);
- che l’insegnamento teologico e l’esercizio del ministero pastorale
sottolineino l’importanza della Parola di Dio, invitando i fedeli a una
“lettura orante della parola” frequente ed educandoli ad apprezzare e ad amare
il pane della Parola, come, per grazia, hanno imparato ad apprezzare e ad amare
il pane dell’Eucaristia;
- che qualsiasi progetto di evangelizzazione sia animato dalla Parola,
incentrato sulla Parola e orientato all’obbedienza alla Parola di Dio.
Questo Sinodo deve cercare delle vie perché la Parola di Dio si trasformi in
“alimento per la vita, per la preghiera e per il cammino quotidiano” (Ripartire
da Cristo 24), di modo che, in una società profondamente ferita dalla
“dittatura del relativismo” (Benedetto XVI), la Parola celebrata, ascoltata e
vissuta possa essere un punto di riferimento solido sul quale edificare la vita
della comunità ecclesiale e la vita personale di ogni credente.
[00192-01.04] [IN163] [Testo originale: spagnolo]
- S.E.R. Mons. Berhaneyesus
Demerew SOURAPHIEL, C.M., Arcivescovo Metropolita di Addis Abeba, Presidente
della Conferenza Episcopale, Presidente del Consiglio della Chiesa Etiopica
(ETIOPIA)
Il mio intervento riguarda l’oggetto di questo Sinodo: l’Eucaristia: fonte e
culmine della vita e della missione della Chiesa, con particolare riferimento
alla “centralità del mistero pasquale” e all’ “Eucaristia domenicale” ai punti
35 e 70 dell’Instrumentum Laboris.
I paesi del Corno d’Africa - Gibuti, Eritrea, Etiopia e Somalia - hanno fame
costante dei frutti dell’Eucaristia: giustizia, pace e amore che solo il nostro
Signore Gesù Cristo può dare. Poiché non vengono considerati importanti dalle
potenti nazioni del mondo, si trovano in uno stato costante di instabilità,
guerra, carestia e fame. La tensione continua tra Eritrea ed Etiopia per i
conflitti nelle zone di confine sembra non trovare soluzione da parte della
comunità internazionale. Consideriamo anche la Somalia - è un paese senza un
governo centrale da quattordici anni! Nell’intero paese ci sono soltanto
quattro religiose, che a Mogadiscio tengono l’unico Tabernacolo del Signore
nascosto. La Somalia è diventata un porto franco e libero per il traffico di
armi di piccolo calibro nel Corno d’Africa e in Africa centrale.
Solo attraverso l’Eucaristia, il mistero pasquale della morte e risurrezione
del Signore Gesù Cristo è possibile costruire e promuovere la riconciliazione e
la pace.
La celebrazione dell”Eucaristia domenicale” presuppone che vi sia una
“Domenica” - il giorno del Signore - stabilita e che l’‘Eucaristia, di
domenica, possa essere celebrata liberamente.
In alcune parti del mondo ciò è impossibile: ad es. nell’Arabia Saudita o in
altri paesi musulmani, la domenica è un giorno lavorativo e l’Eucaristia non
viene celebrata in quanto non vi sono chiese, sacerdoti, o semplicemente perché
non esiste libertà religiosa.
Molti cristiani dell’Eritrea e dell’Etiopia lavorano e vivono in paesi
musulmani. Si tratta soprattutto di Cristiani delle Chiese ortodosse Tewahdo
dell’Etiopia e dell’Eritrea. Lavorano in quei paesi soprattutto come domestici
o come baby sitter e badanti per gli anziani. Non ho sottomano statistiche sul
numero di questi cristiani che si trovano in Arabia Saudita, nello Yemen, negli
stati del Golfo e in altri paesi di maggioranza musulmana. Sono centinaia di
migliaia. Solo a Beirut lavorano oltre 20.000 etiopi. Siamo grati alla Caritas
del Libano per l’aiuto che offre a questi cristiani.
Prima di andare a lavorare in questi paesi musulmani, essi sono costretti a
cambiare il nome cristiano in un nome musulmano e, in particolare, le donne, a
vestire secondo i costumi musulmani. Una volta giunti alle loro destinazioni,
vengono loro tolti i passaporti e sono fatti oggetto di ogni tipo di abuso e
oppressione. In questa situazione, molti sono costretti a farsi musulmani.
Essi sono costretti ad andare in questi paesi musulmani spinti dalla povertà
dei loro paesi e perché le porte delle altre nazioni cristiane sono sbarrate.
Sappiamo che molti cristiani africani muoiono attraversando il deserto del
Sahara o annegano nel Mediterraneo nel tentativi di raggiungere le nazioni
cristiane del’Europa e dell’America.
E’ la povertà che li costringe a disfarsi del loro retaggio cristiano, della
loro cultura cristiana e perfino della loro dignità umana.
A loro viene negato il diritto di professare la propria religione: la
celebrazione dell’Eucaristia e la Messa domenicale. E’ una delle persecuzioni
religiose dei tempi moderni.
Chiedo ai Padri sinodali, soprattutto a quanti lavorano nei paesi musulmani
dove i cristiani poveri si recano in cerca di lavoro, di estendere la loro cura
pastorale a questi cristiani e di chiedere ai governi musulmani di rispettare
la libertà religiosa dei cristiani.
[00194-01.05] [IN166] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Joseph
BAGOBIRI, Vescovo di Kafanchan (NIGERIA)
Nel suo libro: La coscienza religiosa, J.B.Pratt chiese a tre persone
appartenenti a religioni animiste di spiegare che cosa significassero per loro
gli “idoli” che veneravano. Le loro risposte furono le seguenti:
- Il primo disse che i suoi idoli non erano immagini di dei, ma erano gli
stessi dei.
- Il secondo disse che l’immagine che venerava non era dio “per se”, perché il
vero dio è in cielo. L’immagine aveva l’aspetto del dio e quindi lo aiutava a
pregare.
- Il terzo disse che l’immagine è un simbolo sensibile, volto a favorire la
visualizzazione e concentrazione. (Cf E.B. Idowu ATR - una definizione p. 123).
Vorrei servirmi di queste tre risposte nella discussione sul significato di presenza
sacramentale e rappresentazione sacramentale, che rappresentano la base
dell’adorazione e della venerazione dell’Eucaristia nella Chiesa alla luce
dell’IL, ai n.ri 65, 72 e 74.
Come si può rapportare quanto sopra ai cristiani provenienti dalle religioni
tradizionali africane?
L’adorazione eucaristica non è paragonabile ad alcuno di questi moduli. Eppure
sembra avere in sé elementi comuni a tutti e tre.
In questa riflessione vorrei toccare quattro punti:
1. Affermare che nella Santa Eucaristia Cristo è veramente, realmente e
sostanzialmente presente. Ma tale presenza deve essere compresa per ciò che è -
presenza Sacramentale e rappresentazione Sacramentale. Grazie alla natura unica
di questa presenza, l’anima è chiamata a porsi “mente e cuore” nella contemplazione
di Gesù nell’Eucaristia “come fine e non come mezzo verso un fine”. Secondo
questo punto di vista la sottile linea di demarcazione tra ciò che è “reale” e
ciò che è semplicemente “rappresentazione della realtà” diventa ancora più
sottile e quasi invisibile. Occorre che questo Sinodo sviluppi una teologia di
“presenza”, in cui la Chiesa spieghi cosa si intenda o non si intenda per
presenza reale. Per esempio non significa presenza fisica bensì presenza
sacramentale.
2. A causa della natura profonda del mistero di questo Sacramento, nessuna
parola umana può catturarne pienamente il significato. L’uomo parla di Dio
soltanto in modo antropomorfico, e il nostro linguaggio umano è limitato quando
esprime la realtà di Dio. Per questo motivo dobbiamo essere tolleranti nell’uso
di altre espressioni quali transignificazione o transfinalizzazione, che
possono contribuire a gettare una luce sul mistero dell’Eucaristia, senza
compromettere in alcun modo il fatto della “presenza reale”.
3. Vi sono altre forme di “presenza” di Cristo che vanno riconosciute e la
devozione all’Eucaristia può diventare la porta che ci conduce a riconoscere
Cristo nelle sue altre forme di presenza. I Padri del Concilio Vaticano II
hanno parlato di queste altre presenze scrivendo della presenza di Cristo:
nella sacra Scrittura quando lo proclama; negli altri Sacramenti; nella Chiesa;
nella persona del ministro che offre il sacrificio della Messa (cf Sacrosanctum
concilium, 7).
4. La devozione eucaristica deve condurre alla trasformazione personale. Quindi
le bellissime riflessioni ai numeri 72 e 74 dell’IL dovrebbero essere
ulteriormente elaborate nel documento che eventualmente emergerà, quale frutto
di questo nostro impegno.
Ciò avviene perché, come ha detto Giovanni Paolo II, “Il sacrificio eucaristico
è di per sé orientato all’unione intima di noi fedeli con Cristo attraverso la
comunione” (EE, 16-17)
Mentre ammiriamo e plaudiamo ai positivi sviluppi sull’Eucaristia e
all’interesse ed entusiasmo che essa suscita tra i fedeli, colgo due sfide
principali: innanzitutto una sana catechesi, al fine di rendere la fede
nell’Eucaristia più intellegibile e in secondo luogo un impegno per passare da
una sana dottrina a livello di prassi, vale a dire a quello della
trasformazione personale che riflette il mistero che celebriamo
nell’Eucaristia.
Fino a quando ciò non avverrà, i nostri detrattori, che osservano e rispettano
il principio che esiste una sottile linea di demarcazione tra il “reale” e ciò
che è innanzittutto soltanto un simbolo, descriveranno il nostro bellissimo e
lodevole operare riguardo all’Eucaristia come una “cabala o stregoneria di
sacerdoti”, volta a sfruttare la debolezza umana a questo scopo, al fine di
perpetuare l’importanza del sacerdote.
[00198-01.06] [IN114] [Testo originale: inglese]
- S.Em.R. Card. Cláudio
HUMMES, O.F.M., Arcivescovo di São Paulo (BRASILE)
Secondo le statistiche del Governo brasiliano e le ricerche della Chiesa in
Brasile, il numero dei brasiliani che si dichiarano cattolici è diminuito
rapidamente, in media dell'1% all'anno. Nel 1991 i brasiliani cattolici erano
circa l'83%, oggi secondo nuovi studi, sono appena il 67%. Ci domandiamo con
angoscia: fino a quando il Brasile sarà ancora un paese cattolico? In
conformità con questa situazione, risulta che in Brasile per ogni sacerdote
cattolico ci sono già due pastori protestanti, la maggior parte delle chiese
pentecostali.
È importante inoltre evidenziare il fatto che la maggiore evasione di cattolici
si registra nelle zone periferiche più povere delle città.
Molte indicazioni mostrano che lo stesso vale quasi per tutta l'America Latina
e anche qui ci domandiamo: fino a quando l'America Latina sarà un continente
cattolico?
La Chiesa deve prestare più attenzione nei confronti di questa grave
situazione. La risposta della Chiesa in Brasile sono, in primo luogo, le
missioni, comprese le visite missionarie domiciliari permanenti. Le parrocchie
devono organizzare i loro fedeli e prepararli ad essere missionari.
Una Chiesa missionaria deve essere anche profondamente eucaristica, poiché
l'Eucaristia è fonte di missione. L'Eucaristia fa crescere il discepolo,
annunciandogli la parola di Dio e portandolo ad un incontro personale e
comunitario con Cristo, attraverso la celebrazione della morte e Risurrezione
del Signore e attraverso la comunione sacramentale con Lui. Da questo incontro,
realizzato nello Spirito Santo, il discepolo viene spinto ad annunciare anche
agli altri quello che ha vissuto e sperimentato. Il discepolo diventa, così,
missionario. Dall'Eucaristia si parte per la missione.
Il Brasile e l'America Latina hanno bisogno urgente di questa azione
missionaria alimentata dall'Eucaristia.
[00114-01.04] [IN097] [Testo originale: italiano]
- S.E.R. Mons. Félix LÁZARO
MARTÍNEZ, Sch.P., Vescovo di Ponce (PORTO RICO)
Il numero 74 dell’Instrumentum laboris indica l’importanza urgente di una
catechesi che metta in evidenza il legame fra l’Eucaristia e la costruzione di
una società giusta.
In questo stesso numero 74 si afferma la “Chiesa nutre grande speranza nei suoi
giovani, sempre più attenti all'Eucaristia”.
Il mio intervento verte su quanto segue:
1. Si dovrebbe sottolineare maggiormente l’importanza dei giovani e ciò che da
loro ci si attende, con un saluto, un appello specifico e un invito rivolto ai
giovani a partecipare “alla” e a vivere “della” Eucaristia.
Ho chiesto a un ragazzo quale messaggio desiderava che trasmettessi al Sinodo
da parte dei giovani e la risposta è stata: “Che veniamo ascoltati”.
Davanti alla realtà che i giovani vivono oggi, soprattutto nei paesi
sviluppati, si rende necessario e urgente offrire loro, presentare loro e
celebrare l’Eucaristia in modo che, con le parole di Giovanni Paolo II, sentano
che “L'Eucaristia è il centro vitale intorno a cui desidero che i giovani si
raccolgano per alimentare la loro fede ed il loro entusiasmo” (IL 74) (Mane
nobiscum Domine, 7/10/2004).
2. Si deve approfondire la catechesi. Oggi si parla della perdita del senso del
peccato.
Molti cattolici sono molto lontani dal poter rendere o dare ragione della
propria fede, come dice San Pietro nella sua I lettera: “Pronti sempre a
rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt
3,15).
D’altra parte non si può amare ciò che non si conosce. E se non si conoscono la
Chiesa, l’Eucaristia, la fede cristiana, non si possono amare la Chiesa,
l’Eucaristia e neppure la fede cristiana.
E’ della catechesi che si ha bisogno. A mio parere si soffre di mancanza di
catechesi. Ho l’impressione che non si stia facendo una catechesi solida e
profonda. Il nostro popolo è molto grato e ha fame di catechesi, che gli si
spieghino le verità della fede.
La mancanza di catechesi e di formazione religiosa può forse spiegare anche la
facilità e il perché alcuni dei nostri fedeli entrano in altre denominazioni o sette
religiose, attratti dalla luce effimera che una certa scienza religiosa offre
loro, perché, quando era il momento, non siamo stati capaci di illuminarli con
la luce del Vangelo attraverso una buona e opportuna catechesi.
[00174-01.06] [IN135] [Testo originale: spagnolo]
- S.E.R. Mons. José Agustín
GANUZA GARCÍA, O.A.R., Vescovo Prelato di Bocas del Toro (PANAMÁ)
Santo Domingo riconosce che “l’America latina e i Caraibi costituiscono un
continente multietnico e pluriculturale (244)”, con non meno di cinquanta
milioni di indigeni, con oltre cinquecento etnie, ciascuna con la sua peculiare
identità culturale. Lo stesso possiamo dire di molti paesi e giurisdizioni
ecclesiastiche. Nella Prelatura di Bocas de Toro convivono quattro popoli
indigeni che costituiscono il 60% della popolazione totale.
È evidente che le popolazioni indigene si trovano in differenti situazioni di
sviluppo umano e religioso e di riflessione teologica, ma tutti concordano
nelle aspirazioni all’inculturazione della liturgia della celebrazione
eucaristica.
L’ “Instrumentum laboris” affronta il tema dell’“inculturazione
dell’Eucaristia” a pag. 77, n.ri 80 e 81, dove ammette che in molte “regioni
geografiche la questione sta diventando pastoralmente prioritaria”.
Possiamo considerare tre stadi nel processo di inculturazione :
1. Ricostruire il soggetto indigeno della inculturazione: le comunità cristiane
indigene con i loro vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi, catechisti indigeni
delle stesse comunità.
2. Preparare i destinatari indigeni alla inculturazione: riscatto,
valorizzazione, assimilazione della spiritualità indigena, dove si trovano “i
semi del verbo”.
3. Avviare e consolidare il processo di assimilazione indigena del Vangelo,
della Chiesa, della liturgia, lasciando ampio spazio agli indigeni.
Fratelli sinodali: vi invito a esaminare il lavoro “Inculturazione della
celebrazione eucaristica nelle comunità indigene cristiane dell’America
latina”, che abbiamo depositato presso la Segreteria Generale del Sinodo.
Grazie
[00092-01.04] [IN006] [Testo originale: spagnolo]
- S.E.R. Mons. Jean-Vincent
ONDO EYENE, Vescovo di Oyem (GABON)
Eucaristia e unità sono intimamente legate. Infatti l’Eucaristia, in quanto
atto d’offerta compiuto da Cristo sulla croce, ha come scopo l’unità di tutti i
figli d’Israele e del genere umano. L’Eucaristia è dunque l’atto fondatore
della Nuova alleanza che Dio ha stabilito con gli uomini nel suo Figlio Gesù.
Ma se l’Eucaristia ristabilisce la comunione fra Dio e gli uomini, essa è,
innanzitutto, il luogo di una intima unione fra il Padre e il Figlio.
1. L’unità del Padre e del Figlio
Nella preghiera sacerdotale di Gesù (Gv 17) che precede la passione (Gv 18), il
Padre e il Figlio sono uniti in maniera consustanziale: “tutte le cose mie sono
tue e tutte le cose tue sono mie” (Gv. 17,10). Allo stesso modo, ciò che
precede l’atto eucaristico è questa comunione profonda del Padre e del Figlio
che la tradizione chiama con il termine di “pericoresi” o “inabitazione” del
Padre e del Figlio.
2. L’unità della Chiesa
L’Eucaristia, atto d’offerta di Cristo, poiché procede dall’unione del Padre e
del Figlio, comunica agli uomini la vita divina. Nutriti alla stessa sorgente e
con lo stesso pane, i cristiani vivono dell’unione del Padre e del Figlio.
A. Unità fra i cristiani
Ai tempi di Paolo, l’unità della comunità cristiana di Efeso era minacciata fra
l’altro dalla discordia fra i cristiani e dall’influsso delle dottrine
eretiche. Di fronte a questi pericoli, Paolo esorta i cristiani all’unità che
si fonda sul fatto che c’è “un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la
speranza” (Ef. 4,4). In altre parole, chi mangia lo stesso pane e beve alla
stessa coppa, quali siano le sue origini e il suo stato sociale, è ormai
configurato in Cristo, indissolubilmente unito a suo Padre.
B. Unità fra le Chiese
La problematica dell’unità dei cristiani non si limita solamente all’interno di
una comunità cristiana particolare o di una Diocesi. Dopo il Concilio Vaticano
II, la pluralità delle Chiese cristiane ha spinto la Chiesa cattolica a
favorire il dialogo. La finalità di questo dialogo, chiamato anche ecumenismo,
è quella di promuovere l’unità fra cristiani. Questo dialogo iniziato dal
concilio pone i cristiani di fronte allo scandalo della divisione e al
paradosso secondo cui Cristo ha istituito una sola e unica Chiesa nella quale i
cristiani sono divisi. Queste divisioni rappresentano per la coscienza
cristiana una violazione della volontà di Gesù e un ostacolo
all’evangelizzazione.
Conclusione
1. L’Eucaristia e l’unità sono temini equivalenti poiché è nel sacrificio della
croce che si realizza l’unità di tutti coloro che Dio ha riscattato attraverso
il sangue di Cristo...
2. In mezzo alle discordie ideologiche, economiche...i cristiani hanno
l’imperativo dovere di mantenere l’unità fra di loro in virtù “dello stesso
corpo, dello stesso sangue e della stessa speranza” che Gesù ha comunicato a
tutti.
[00095-01.05] [IN023] [Testo originale: francese]
- S.E.R. Mons. Rafael
Masahiro UMEMURA, Vescovo di Yokohama (GIAPPONE)
Una Celebrazione Eucaristica che risponde alla reale condizione della società
moderna.
In Giappone, la Prima Assemblea Nazionale per l’Evangelizzazione si è tenuta
nel 1987. Scopo di questo incontro dei fedeli e dei ministri della Chiesa era
di riflettere sul futuro dell’evangelizzazione in Giappone. Uno degli argomenti
più ricorrenti era “il divario tra fede e vita”. L’assemblea ha sollecitato
sforzi “per mettere a punto una liturgia che tocchi il cuore della gente e dia
forza alla missione”.
Il problema pastorale più importante che riguarda l’Eucaristia è: fino a che
punto l’Eucaristia è legata strettamente “alle gioie e alle speranze, alle
sofferenze e alle ansie della gente del nostro tempo”? Come risponde alle
preoccupazioni delle persone o come cambia, nel popolo di Cristo, il senso
della vita? Se la vita del fedele non è legata all’Eucaristia, l’Eucaristia non
può influenzare la vita del fedele.
La Chiesa trae vita dall’Eucarestia
Per fare sì che la Chiesa possa prender vita dall’Eucaristia, l’Eucaristia
dovrebbe essere:
Un fatto che può alleviare i problemi e le ansie delle persone.
Un fatto che può influenzare profondamente i cuori della gente.
Un fatto che può alimentare la vita quotidiana e renderla Eucaristica.
Specialmente per la liturgia in Asia possono essere proposte le seguenti
revisioni:
Inserire gli eventi salvifici dell’Asia nel calendario liturgico.
Moltiplicare le modalità di Celebrazione Eucaristica senza cambiarne l’essenza
in modo da celebrare i misteri della vita dei fedeli secondo i vari momenti ed
eventi.
Il Ruolo della Conferenza Episcopale nella Inculturazione Liturgica
È auspicabile che nelle chiese locali venga agevolato, il più possibile, il
potere delle Conferenze Episcopali di adattare la liturgia all’ambiente
culturale locale. Poiché l’Eucaristia deve essere un’autentica celebrazione
della chiesa locale, occorre soprattutto un’adeguata inculturazione. È
importante per l’evangelizzazione introdurre elementi delle festività indigene.
Di conseguenza, è necessario che la Santa Sede abbia fiducia delle Conferenze
Episcopali quando approva la traduzione nelle lingue locali dei testi
liturgici. Nel preparare testi liturgici locali è importante evitare una
traduzione letterale, bensì esaminare e trovare termini appropriati che siano
adeguati alle culture locali in quanto rispettano la cultura e la storia di
ogni nazione. Quando la Commissione per la Liturgia della Conferenza Episcopale
del Giappone esamina testi liturgici destinati alla Chiesa in Giappone, non si
concentra solo sulla revisione del giro di una frase, ma si sforza di creare
una liturgia che toccherà il cuore del popolo giapponese. In ogni chiesa
locale, specialmente in Asia, dobbiamo essere consapevoli che la liturgia si
rivolge a tutte le persone che vivono nella cultura locale. Di conseguenza, a
volte dobbiamo proporci di riorganizzare i nostri libri liturgici.
[00100-01.07] [IN036] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Amédée GRAB,
O.S.B., Vescovo di Chur, Presidente della Conferenza Episcopale Svizzera,
Presidente del Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae (C.C.E.E.)
(SVIZZERA)
Il n.87 dell' Instrumentum laboris è intitolato: «Eucaristia e intercomunione».
Esso recita: «Mentre sembra abbastanza ampio il consenso sul fatto che l'unità
nella professione delle fede precede la comunione della celebrazione
eucaristica, rimane ancora da precisare il modo in cui debba essere presentato
il mistero eucaristico nel contesto del dialogo ecumenico, onde evitare due
rischi opposti: le chiusure pregiudiziali e il relativismo». Mi riferisco alle
comunità ecclesiali che celebrano nella S. Cena il memoriale del Signore. Nel
dialogo ecumenico con queste comunità si nota non di rado una convergenza
crescente su temi importantissimi: presenza reale, carattere sacrificale del
memoriale, necessità dell'ordinazione. Più difficile la formulazione della
natura della Chiesa e l'accordo sul fatto che a essa è affidata la S.
Eucaristia, fonte e culmine della sua vocazione e della sua missione, per cui
«sarebbe errato non appartenere alla comunità ecclesiale e voler ricevere la
comunione eucaristica». Non sono possibili per noi l 'intercelebrazione, l'
intercomunione, l' ospitalità generale offerta a tutti i battezzati (o
addirittura presenti). Ma la partecipazione alla S. Comunione di singoli
battezzati non cattolici, in casi eccezionali e a determinate condizioni, è
esplicitamente prevista dal n.129 del Direttorio ecumenico del 1993, che non
parla solo di ammissione ma anche di invito, qualore siano verificate le
condizioni, tra le quali non viene annoverata l'appartenenza alla Chiesa
cattolica. Questa possibilità non dovrebbe venir dimenticata. Tenerla presente
nel comportamento dei pastori nei confronti di quanti, senza appartenere alla
Chiesa cattolica, condividono la preghiera accorata di Gesù per l'unità resti
una via riconosciuta per raggiungerla quando e come vorrà il Signore «pane vivo
sceso dal cielo per la vita del mondo».
[00102-01.04] [IN040] [Testo originale: italiano]
- S.Em.R. Card. Paul
POUPARD, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (CITTÀ DEL VATICANO)
Faccio riferimento al titolo del Pontificio Consiglio della Cultura, nella IV
parte del capitolo II dell’Instrumentum Laboris: “Eucaristia, Missione
evangelizzatrice e inculturazione” (78 e 80), e nella conclusione (90 e 91).
1. L’Eucaristia è “forza di trasformazione delle culture, [...] germe di un
mondo nuovo” (IL 90). La trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue
di Cristo è pegno della trasformazione che si opera in noi dall’Eucaristia.
Ogni fedele è chiamato ad assimilare, nella meditazione personale e nella
preghiera comunitaria, la realtà del mistero celebrato. Nutrito da questa
celebrazione, egli “incarna il progetto eucaristico nella vita quotidiana, là
dove si lavora e si vive” (IL 78). A questo modo l’Eucaristia opera come seme
di una nuova cultura per una autentica civiltà dell’amore.
2. L’evangelizzazione non è il frutto dell’inculturazione. Essa ne è la
sorgente. Viva nel cuore delle culture, nel vasto mosaico dei popoli, la Chiesa
non smette di evangelizzarli per inculturare il Vangelo. Basta evocare il nome
di San Benedetto per avere la misura della fecondità millenaria di una cultura
evangelizzata dalla testimonianza di comunità ecclesiali, in modo particolare
la vita monastica. Due millenni di “pratica” eucaristica hanno visto uomini e
donne di culture diverse dar forma, secondo il genio della propria cultura, a
delle liturgie inculturate, come testimoniano le Chiese orientali. Riti diversi
esprimono e devono esprimere sempre lo stesso mistero. Essi non nascono da un
adattamento dell’Eucaristia alla cultura, ma da una trasformazione delle
culture operata dal Vangelo: la Chiesa cerca le forme più appropriate,
purificate dalle scorie, retaggio del peccato dell’uomo, per aiutare i fedeli a
vivere in pienezza il mistero rivelato che hanno ricevuto dal loro Signore.
3. In dialogo con il mondo dei non credenti e dell’indifferenza religiosa, il
Pontificio Consiglio della Cultura constata che la superficialità, a volte
perfino la banalità e la negligenza di certe celebrazioni, non solo non aiutano
il credente nel suo cammino di fede, ma danno fastidio anche a coloro che le
vivono dal di fuori. Un’eccessiva importanza data alla dimensione pedagogica e
al desiderio di rendere comprensibile la liturgia anche agli osservatori
esterni, come se questa fosse la sua funzione principale, produce il risultato
contrario. Non si incultura una contro-cultura. La vocazione di una liturgia
inculturata è di introdurci con tutto il nostro essere nella magnitudine del
mistero della fede nell’azione salvifica di Dio nel suo Figlio Gesù.
4. La liturgia è bella perché esprime la bellezza della santità di Dio (cfr IL
90). Per il credente, la bellezza trascende l’estetica. Essa dà luogo
(permette) al passaggio dal “per sé” al “più grande di sé”. La liturgia è bella
e dunque vera, solo se spogliata da ogni altro motivo che non sia quello della
celebrazione del Signore. La bellezza dei riti, dei segni, dei canti e degli
ornamenti della celebrazione liturgica hanno la sola finalità di introdurci
alla bellezza profonda dell’incontro col mistero di Dio, presente in mezzo agli
uomini attraverso suo Figlio, Egli che rinnova in eterno per noi il suo
sacrificio d’amore. Essa esprime la bellezza della comunione con Lui e con i
nostri fratelli, bellezza di una armonia profonda che si traduce in gesti,
simboli, parole, immagini e melodie che toccano profondamente il cuore e lo
spirito e suscitano la meraviglia e il desiderio dell’incontro con il Signore
risorto, “Porta della Bellezza”. La liturgia è bella quando è “gradita a Dio” e
ci introduce nella gioia divina, con tutti i santi e la Vergine Maria, “donna
eucaristica per eccellenza”.
Era la preghiera eucaristica di Teresa, dottore della Chiesa: “Mio amatissimo,
vieni a vivere in me. Oh! Vieni, la tua bellezza mi ha rapito. Degnati di
trasformarmi in Te!”.
[00103-01.07] [IN041] [Testo originale: francese]
- S.E.R. Mons. William
Stephen SKYLSTAD, Vescovo di Spokane, Presidente della Conferenza Episcopale
(STATI UNITI D'AMERICA)
L’Eucaristia ci conduce alla missione in tre modi:
1. Siamo discepoli di Gesù, i quali, attraverso l’Eucaristia, sono abilitati a
condividere il suo amore con il mondo.
2. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù ci dice che, come lui ha lavato i piedi degli
apostoli, noi dobbiamo lavare i piedi gli uni degli altri.
3. Attraverso l’Eucaristia, Gesù ci manda a essere strumenti di pace e di
riconciliazione. Ite missa est!
[00060-01.04] [IN051] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Gabriel
PIROIRD, dell'Ist. del Prado, Vescovo di Constantine (ALGERIA)
Siamo Chiese particolari, molto minoritarie, che vivono in un mondo dove
l’Islam ha segnato fortemente la cultura. Le nostre comunità sono sparse
nell’esteso spazio delle nostre diocesi. Molte di loro vivono in assenza di una
presenza sacerdotale per fare fronte alle necessità della missione. Esse
possono pertanto partecipare all’Eucaristia solo saltuariamente. Questa
situazione ci ha portati ad approfondire il legame tra Eucaristia e missione:
- La nostra azione di grazie si unisce a quella dei nostri amici mussulmani,
che lodano Dio anch’essi per la sua opera di creazione e di misericordia.
Possiamo quindi includere spiritualmente le loro preghiere nelle nostre
eucaristie.
- Ci stupisce di vedere i nostri amici mussulmani a volte “misteriosamente
associati al mistero pasquale (cfr GS 22, 5). Quando uniamo la nostra vita
all’offerta di Cristo, uniamo anche, in un certo qual modo, quella dei nostri
amici.
- Alcuni, laddove non è possibile partecipare frequentemente alla celebrazione
eucaristica, dedicano più tempo all’adorazione eucaristica; scoprono
l’intensità di una presenza reale che dà forza alla loro vita quotidiana.
-Le nostre celebrazioni eucaristiche riuniscono in modo invisibile un popolo
ancora assente, quello di coloro che cercano Dio nella sincerità del loro
cuore. Per una Chiesa particolare, il modo di vivere l’Eucaristia è
inscindibile dalla sua storia concreta con il popolo al quale il Signore ha
voluto donarla.
[00076-01.04] [IN062] [Testo originale: francese]
- S.Em.R. Card. Georges
Marie Martin COTTIER, O.P., Pro-Teologo della Casa Pontificia (CITTÀ DEL
VATICANO)
Se la Chiesa ha emesso delle direttive circa l’ammissione dei cristiani non
cattolici all’Eucaristia, e se respinge l’inter-comunione, ciò accade perché la
comunione eucaristica non è un punto di partenza, bensì esprime e porta a
perfezione una comunione che essa presuppone nella sua integralità: la
comunione nella dottrina degli apostoli, nei sacramenti e nella comunione con
il collegio apostolico di cui Pietro è il Capo.
Talvolta questa posizione, non venendo compresa, appare ingiustamente rigida ai
nostri fratelli protestanti. È quindi un dovere fraterno per la Chiesa
affermare di non avere il diritto di disporre a suo piacimento di un dono
ricevuto dal suo Signore. Il suo è un atteggiamento di adorazione, di lode e di
obbedienza.
[00080-01.04] [IN069] [Testo originale: francese]
- S.Em.R. Card. Walter
KASPER, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei
Cristiani (CITTÀ DEL VATICANO)
Mi riferisco ai capitoli 86 e 87 dell'Instrumentum Laboris e al tema:
Eucaristia ed Ecumenismo. Sono grato per ciò che è detto in questi capitoli, e
nella Relazione generale, sull'Eucaristia come sacramento d'unità e voglio
innanzitutto sottolineare ciò che in Aula sinodale è stato già detto
sull'ecclesiologia eucaristica, che è di grande importanza per il movimento
ecumenico.
Il tema "Eucaristia e unità" risale a ciò che San Paolo dice nella
prima Lettera ai Corinzi: "Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti,
siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell 'unico pane" (10,17).
Questa affermazione "un unico pane - un unico corpo" e
"partecipazione all'unico calice", che significa "comunione
nell'unico corpo", ha plasmato tutta la tradizione della Chiesa in Oriente
e in Occidente. La troviamo innanzitutto in Sant’ Agostino e di nuovo in San
Tommaso d'Aquino. Per Tommaso, la res, cioè la cosa o lo scopo dell'Eucaristia
non è la presenza reale di Cristo, che Tommaso senza dubbio insegna, ma per lui
la presenza reale è soltanto "res et sacramentum", cioè una realtà
intermedia; la res, lo scopo dell'Eucaristia è l'unità della Chiesa.
Questa visione è stata rinnovata dal Concilio Vaticano II, che ha riscoperto la
Chiesa come comunione per tramite della comune partecipazione all'unico
Battesimo e all'unico pane eucaristico. Su questo punto concordiamo con le
Chiese orientali; le Comunità che risalgono alla Riforma avevano all'origine la
stessa concezione, solo recentemente esse l'hanno abbandonata. Perciò la concezione
cattolica sull'intimo legame fra comunione eucaristica e comunione ecclesiale
non è - come alcuni propendono a credere - una qualsiasi concezione
antiecumenica, ma una concezione ecumenica in senso proprio.
Ma per questa ragione la terminologia, che purtroppo si trova anche
nell'Instrumentum Laboris, e che parla di "intercomunione", è ambigua
e in se stessa contraddittoria. Dovremmo evitarla. Poiché non si tratta di una
comunione "inter" cioè "tra" due comunioni (due Comunità),
bensì di una comunione nella comunione dell'unico corpo di Cristo, che è la
Chiesa.
C'è ancora un altro punto debole nell'Instrumentum Laboris. Esso, riguardo alla
"communicatio in sacris" parla soltanto di un principio, mentre il
Concilio Vaticano II parla di due principi: l'unità della Chiesa e la
partecipazione ai mezzi della grazia, affermando che l'unità della Chiesa per
lo più vieta l'ammissione di un non cattolico all’ Eucaristia, ma la
partecipazione ai mezzi della grazia talvolta raccomanda l'ammissione di un non
cattolico all’Eucaristia (Unitatis redintegratio, 8; cfr. Direttorio ecumenico,
129). Perciò Papa Giovanni Paolo Il ha scritto, che per lui è "motivo di
gioia" che i ministri cattolici in determinati casi particolari possono
amministrare i Sacramenti dell'Eucaristia, della Penitenza e dell'Unzione degli
infermi ad altri cristiani (Enciclica "Ut unum sint", 46; Enciclica
"Ecclesia de eucaristia", 46).
Tali formulazioni - "raccomandare", "motivo di gioia" -
vogliono dire che non si tratta di una pura concessione o eccezione, ma di una
possibilità positivamente fondata nella concezione cristiana della persona
umana, cioè nell'unicità di ogni persona e nell'unicità di ogni situazione di
salvezza. La persona umana non è mai un caso di un principio generale. Il
diritto canonico rispetta questa unicità di ognuna persona e, sulla base e nei
limiti della legge universale, in certi determinati casi particolari - dove la
possibilità di scandalo è remota - dà spazio non alla coscienza privata, ma ad
un atto canonico d'ammissione da parte del vescovo competente; o per dirlo
meglio, dà spazio ad un discernimento spirituale, ad un giudizio prudenziale e
alla saggezza pastorale del vescovo (cfr. c/c can 844).
Per ciò che riguarda i criteri per tale decisione prudenziale abbiamo uno sviluppo
sin dalla pubblicazione dei due Codici di Diritto canonico. I criteri, come
elencati nel Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 1398-1401) e nel Compendio
del Catechismo della Chiesa cattolico (n. 293), riguardo alle comunità
ecclesiali sono quattro: un grave motivo, la richiesta spontanea, buona
disposizione e manifestazione della fede cattolica circa il Sacramento.
Personalmente sono convinto che con questi criteri i problemi veramente
pastorali possono essere risolti in senso positivo.
Perché tali questioni in molti paesi sono di grande importanza pastorale,
desidero raccomandare che siano inclusi nel testo finale o nelle proposizioni.
[00183-01.04] [IN136] [Testo originale: italiano]
- S.E.R. Mons. Alain HAREL,
Vescovo titolare di Forconio, Vicario Apostolico di Rodrigues (MAURIZIO)
La scoperta di questo grande tesoro che è l’Eucaristia, si rivela, fra l’altro,
come un grande sforzo nel processo d’inculturazione. Un passo importante è
stato già fatto sulla scia del Concilio Vaticano II. Che gioia sentire che Dio,
attraverso Gesù, ci parla nella nostra lingua materna! Nelle nostre piccole
isole dell’Oceano Indiano, la nostra gente, che viene da orizzonti diversi e
che il dramma della schiavitù ha sradicato dalla sua cultura d’origine, ha
dovuto coniarsi una lingua, il creolo, per riuscire a comunicare e innalzare al
Signore le sue sofferenze e le sue speranze. Che dignità poterGli rendere
grazie, attraverso la memoria della morte e risurrezione di Gesù, nella nostra
lingua e con i nostri “tamburi, i nostri bom, triangoli e fisarmoniche”, i
nostri canti creoli. Tuttavia l’inculturazione non può riassumersi nelle sole
espressioni liturgiche. Come una nuova pentecoste, essa deve poter arrivare
all’uomo contemporaneo nel cuore della sua cultura. Nel contesto della
secolarizzazione, della globalizzazione economica, dello sviluppo ad oltranza
delle comunicazioni di massa, le nostre comunità hanno bisogno di sviluppare
alcuni valori evangelici come la gratitudine, la gratuità, la ricerca del
senso, il gusto della bellezza, del silenzio e dell’interiorità. C’è da fare un
lavoro di rinnovamento culturale, legato al vangelo, affinché i fedeli,
soprattutto i giovani, vengano più facilmente ad abbeverarsi alla fonte viva
dell’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana.
[00104-01.05] [IN086] [Testo originale: francese]
- S.E.R. Mons. Andrés
ARTEAGA MANIEU, Vescovo titolare di Baliana, Ausiliare di Santiago de Chile
(CILE)
Mi riferisco alla parte IV dell’Instrumentum laboris, in particolare alla ‘spiritualità
eucaristica’ e alla ‘missione’ del cristiano (IL, 73 e 78). L’Eucaristia
permette, in modo mirabile, di spiegare il senso della vita con la ‘chiave’ del
mistero pasquale di Cristo (cf. IL, 9-10), mediante la pedagogia della
liturgia, “l’Eucaristia è la risposta ai segni dei tempi della cultura
contemporanea” (IL, 10). L’Eucaristia si fa ‘ragione’, ‘fonte’, ‘forza’,
‘impulso’, ‘principio’, ‘sorgente’, ‘slancio’ e ‘anticipo’ nella vita concreta
(cf. IL, Prefazione). Per superare quel certo allontanamento spirituale, che si
verifica anche tra di noi, della vita pastorale dall’Eucaristia, e la
drammatica e scandalosa mancanza di collegamento tra vita e missione, è
necessario coltivare quell’atteggiamento eucaristico proprio dei santi e della
Santissima Vergine Maria, ‘donna eucaristica’ (cf. IL, 77).
1. Nella catechesi di bambini, giovani e adulti, bisognerà dar maggiore rilievo
all’importanza della celebrazione domenicale dell’Eucaristia, che aiuta a
vedere il mondo con una ‘luce speciale’ (cf. IL, 70). È una scuola molto
efficace di vita cristiana alla quale non si può venir meno senza che ne
risenta la maturità della fede che i tempi attuali richiedono ai fedeli
cristiani.
2. È necessario, d’altra parte, che la liturgia esprima in modo ancora più
chiaro che la Santa Messa è in rapporto con il mandato e la missione (cf. IL,
88). La preghiera eucaristica e la benedizione non sembrano sufficienti per il
mandato. Con l’aiuto di esperti, si può cercare un ausilio in questo senso nel
tesoro bimillenario della tradizione orante e liturgica della Chiesa. Così come
nella forma attuale del sacramento della Riconciliazione, la celebrazione si
prolunga nella vita quotidiana con la gioia che il Sacramento ci dona, si può
cercare il modo di insegnare a tutti i cristiani, con maggiore chiarezza, che
la Messa continua nella vita, nella missione nel mondo. Che possiamo dire con
Padre Alberto Hurtado, gesuita cileno che sarà canonizzato al termine di questo
Sinodo: “La mia Messa è la mia vita e la mia vita una continua Messa”!
[00105-01.06] [IN087] [Testo originale: spagnolo]
- S.E.R. Mons. Cyrille Salim
BUSTROS, della Società dei Missionari di San Paolo, Arcivescovo di Newton dei
Greco-Melkiti (STATI UNITI D'AMERICA)
1. Al paragrafo 91, l’Instrumentum Laboris definisce il nuovo comandamento come
“l’amore di Dio e del prossimo”. Questa definizione non è esatta. Il nuovo
comandamento infatti consiste nell’amarci gli uni gli altri “come Cristo ci ha
amati”, ossia con un amore perfetto e universale che comprende i nemici e giunge
fino al sacrificio di sé nella morte.
2. L’Instrumentum Laboris parla di violenza e terrorismo ai paragrafi 79 e 84.
Ciò che manca nel testo è il chiarimento del legame tra il nuovo comandamento e
la vittoria sulla violenza: perché Gesù ha vinto la violenza e il terrorismo
amando i suoi nemici, perdonandoli e pregando per quelli che l’hanno messo a
morte.
3. Il paragrafo 37 sviluppa l’idea del sacrificio. In questo passaggio manca la
spiegazione che il sacrificio di Gesù è consistito nel rifiutare la vittoria
sul male con il male per testimoniare l’amore universale di Dio che, pur
condannando il peccato, perdona i peccatori.
4. Queste tre idee devono essere ricordate nell’Anafora Eucaristica, per
esempio nel modo seguente: “Nella notte in cui fu tradito, o piuttosto consegnò
se stesso per testimoniare l’amore universale di Dio, come un agnello condotto
al sacrificio, rifiutandosi di rispondere al male col male, amando i suoi
nemici e pregando per quelli che l’hanno messo a morte, secondo il suo comandamento
nuovo: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati, prese il pane... ecc.”.
[00106-01.04] [IN088] [Testo originale: francese]
- S.E.R. Mons. Severine
NIWEMUGIZI, Vescovo di Rulenge, Presidente della Conferenza Episcopale
(TANZANIA)
Nell’Eucaristia celebriamo l’incontro con il Signore risorto, il pane di vita,
la cui morte e risurrezione hanno riconciliato l’uomo con Dio Padre. È il
Signore, che dopo la risurrezione ha dato la sua pace ai discepoli, che avevano
quasi perso la speranza dopo che il Signore della vita aveva sofferto una morte
violenta sulla croce. Mentre erano pieni di timore, dietro le porte chiuse,
Egli apparve in mezzo a loro e disse “La pace sia con voi” (Gv 20, 19) E i
discepoli, al vederlo, furono pieni di gioia. Lo riconobbero inoltre alla
frazione del pane.
Gesù quindi fa dell’Eucaristia un dono di pace. Gesù eucaristico scaccia la
paura e porta pace e gioia interiore. Non possiamo celebrare e ricevere
l’Eucaristia e continuare a vivere nella paura e nella violenza, perché Cristo
è venuto per darci la pace, come hanno cantato gli angeli alla sua nascita:
“Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc
2, 14) Prima, e dopo la sua morte, ci ha dato la sua pace: “Vi lascio la pace,
vi do la mia pace” (Gv 14, 27). Egli continua a darci la pace. Quel dono di
pace che ha offerto nel saluto pasquale, viene sempre donato qui e adesso,
soprattutto nell’Eucaristia. Tuttavia non possiamo ricevere e godere di questa
pace se non siamo riconciliati con Dio e con noi stesi. Ecco perché Lui ci
invita a riconciliarci prima di offrire il sacrificio (cfr Mt 5, 24-25). La
riconciliazione, infatti, è la via per la pace. Perciò è incompatibile unire il
nostro sacrificio a quello di Cristo nella celebrazione eucaristica con il
cuore pieno di odio, rancore e sentimenti di vendetta.
La Chiesa che celebra l’Eucaristia ha il mandato di dare e conservare la pace
di Cristo sulla terra. La Chiesa, quale Corpo Mistico di Cristo, ha il dovere
di essere “Sacramento di pace”. Ha il dovere di essere operatrice di pace,
infatti “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt
5,9). L’Eucaristia dovrebbe portare le persone a trovare la pace in Cristo
attraverso la loro unione con Lui: Papa Giovanni Paolo II ha sollecitato gli
africani, e tutti i popoli, io credo, a “testimoniare Cristo anche mediante la
promozione della giustizia e della pace sul continente e nel mondo intero”
(Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 1994, n. 105). Ricevere l’Eucaristia
esige da noi una testimonianza a Cristo in tal senso. La missione
evangelizzatrice della Chiesa impone anche di “lavorare per la pace” (Giovanni
Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della pace, gennaio 2000, n. 20)
Nella celebrazione dell’Eucaristia la Chiesa prega sempre per la pace. Chiunque
partecipa alla celebrazione e soprattutto quanti si accostano all’Eucaristia
devono quindi impegnarsi a lavorare per la pace, la giustizia e la
riconciliazione. L’Eucaristia deve rappresentare una fonte e una forza per un impegno
di tal genere, un impegno che è cruciale soprattutto per un cattolico.
[00108-01.06] [IN090] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Aloysius M.
SUTRISNAATMAKA, M.S.F., Vescovo di Palangkaraya (INDONESIA)
La riflessione sul significato eucaristico e sulla sua rilevanza per i tempi
attuali suscita alcune domande: come può il significato dell’Eucaristia
spiegare il compito dei fedeli di essere missionari in senso lato? E qual è il
rapporto tra il significato dell’Eucaristia e la missione? Fino a che punto può
essere inculturata la parte fondamentale della celebrazione eucaristica? È
possibile sottolineare l’influenza della celebrazione eucaristica nella vita
quotidiana sulle attività missionarie di modo che susciti una nuova cultura,
una nuova abitudine per una vita migliore?
Possiamo iniziare la riflessione e rispondere alle domande facendo ricordando
il compito fondamentale della Chiesa. “La Chiesa peregrinante per sua natura è
missionaria, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla
missione dello Spirito santo, secondo il disegno di Dio Padre” (AG 2; cfr LG
1). La celebrazione dell’Eucaristia ha assolutamente bisogno della fede. La
mancanza di fede può avere un impatto negativo sullo spirito missionario. Il
fine delle attività missionarie è, tra le altre cose, di rispondere ai bisogni
della situazione attuale.
Il mondo moderno è caratterizzato da una cultura di morte, dal terrorismo,
dall’individualismo, dal materialismo e dall’edonismo. È pertanto importante
sottolineare il significato dell’Eucaristia basata sulla fede viva, un nuovo
habitus, cultura della vita nella pace e nell’amore. Nella lettera pastorale
della Conferenza Episcopale indonesiana è stato sviluppato il tema del bisogno
di un nuovo habitus perché la fede, espressa attraverso atteggiamenti morali e
concreti, possa influenzare la vita delle persone. In questo caso, la
celebrazione eucaristica suscita un’ispirazione ricca e profonda. La nostra
missione, in senso lato, sembra testimoniare quanto è importante lavorare insieme
con tutte le persone di altre religioni al fine di realizzare ogni desiderio
umano, la pace e l’amore nella società.
L’obiettivo della missione può essere distinto in due aspetti collegati tra
loro. La missione è rivolta da un lato ad intra e dall’altro ad extra. Per
quanto riguarda l’Eucaristia, la sua celebrazione in primo luogo conduce i
fedeli verso una fede più profonda attraverso la Parola di Dio e verso la
santificazione personale attraverso la conversione e l’accesso alla Santa
Comunione. Da questo punto di vista l’Eucaristia diviene fonte di forza morale
per formare nuove abitudini tra i cattolici. A sua volta, la missione fondata
sul significato eucaristico esige che i fedeli adempiano alla loro
responsabilità di essere attivi e di partecipare alla missione della Chiesa nel
mondo, vale a dire di costruire una società pacifica in ogni parte del mondo,
fondata sulla missione di Gesù. È questa la missione ad extra basata sulla
celebrazione eucaristica.
Il problema che si pone è in che modo la celebrazione Eucaristica formerà un
nuovo modo di vivere, una cultura di fede viva. “La cultura è lo spazio vitale
entro il quale la persona umana si confronta faccia a faccia con il vangelo”
(Ecclesia in Asia 21). In altre parole, “La fede diventa cultura e fa cultura”
(Instrumentum laboris 80). Sembra che tutti gli sforzi di inculturazione siano
ancora incentrati sull’incontro dinamico tra gli elementi della cultura e i
valori spirituali del Vangelo. Per quanto riguarda la liturgia in generale,
l’Eucaristia, come fonte e culmine di tutta la vita e la missione cristiana
(cfr RM 54), dovrebbe animare i fedeli a svolgere il lavoro di missione e a
portare la Buona Novella ai poveri, agli oppressi e ai bisognosi.
Al fine di elaborare il rapporto tra Eucaristia e Missione per la nuova
cultura, non basta aprire i documenti e produrne di nuovi. Occorre invece
sostenere gli sforzi, fare movimenti e creare nuove abitudini, affinché
l’Eucaristia sia davvero significativa sia per i fedeli sia per la gente di
tutte le religioni.
[00109-01.04] [IN091] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Sofron Stefan
MUDRY, O.S.B.M., Vescovo emerito di Ivano-Frankivsk, Stanislav degli Ucraini
(UCRAINA)
La questione che pongo nasce da una esigenza pratica. In Ucraina, la situazione
ordinaria della vita con tutti i suoi problemi e con le sfide del
post-comunismo è del tutto comune a noi greco-cattolici come agli ortodossi.
Il canone 702 del CCEO vieta espressamente di concelebrare la Divina Eucaristia
con i presbiteri non cattolici e viceversa. Questo canone nasce dalla esigenza
di pienezza dell’unità fra le Chiese. Pur d’accordo, credo che vi sia la
necessità di rivedere questo canone rivalutando alcuni punti fondamentali
dell’Eucaristia e dell’ecumenismo, precisando anche il termine “non cattolico”
usato nel precitato canone.
Si deve sottolineare l’intima relazione fra Parola e Sacramento. L’annuncio
della Buona Novella è rivolto a tutti. Il Sacramento è riservato a chi ha
accolto l’annuncio e vi ha aderito con la fede. Il Battesimo introduce nel
Corpo di Cristo, l’Eucaristia fa crescere e porta a compimento
l’incorporazione. Così, l’Eucaristia non solo esprime l’unità della Chiesa, ma
la produce. In quanto elemento costitutivo dell’unità, non può venir dopo; ma
deve essere accolto come momento chiave per rendere pratiche le nostre
aspirazioni ecumeniche.
In quanto espressione dell’unità visibile della Chiesa, in senso ontologico,
cioè della pienezza dei mezzi della salvezza, è anche promessa della
realizzazione fenomenica dell’unità visibile. La Eucaristia produce la piena
unità visibile della Chiesa.
Di conseguenza, facendo partecipare i non cattolici ortodossi alla comunione,
rendiamo reale l’unità fra noi.
Così una comune partecipazione alla celebrazione dell’Eucaristia fra cattolici
e ortodossi e viceversa potrebbe essere quella luce che ci illumina per
realizzare l’anelito dell’unico nostro Signore, Salvatore e Pastore: “Ut unum
sint”.
Queste esigenze forse non sono ben presenti nei rapporti ufficiali tra le
nostre Chiese, ma si fanno sempre più sentire nel nostro lavoro pastorale
quotidiano.
[00110-01.03] [IN093] [Testo originale: italiano]
- S.E.R. Mons. Miguel Angel ALBA DÍAZ, Vescovo di La Paz en la Baja California
Sur (MESSICO)
Papa Giovanni Paolo II parlando della comunione ci diceva quanto sia sbagliato
promuovere iniziative concrete senza promuovere una spiritualità che ci aiuti a
superare le tentazioni che continuamente ci insidiano. Ci faceva osservare che
senza un cammino spirituale i mezzi esterni si convertono in maschere, in mezzi
senz’anima.
Perciò, nel parlare dell’Eucaristia, vorrei riaffermare l’importanza di
coltivare una spiritualità eucaristica che ci permetta non solo di celebrare
l’Eucaristia in modo corretto e decoroso, ma che ci stimoli anche a viverla
come fonte, centro e culmine della nostra vita sacerdotale e ecclesiale.
Formarci per l’Eucaristia significa certamente formarci per seguire fedelmente
un rituale che ci permetta di far nostre le parole e i gesti del Redentore
nell’ultima cena, poiché nell’eucaristia “trasmettiamo quanto abbiamo
ricevuto”.
Ma, se non vogliamo che il pane azzimo delle nostre eucaristie si contamini
“con il lievito dei farisei”, formarci per l’Eucaristia vuol dire anche e
soprattutto formarci per far nostri gli stessi sentimenti e atteggiamenti
eucaristici del Redentore.
Formarci per l’Eucaristia, pertanto, significa formarci nell’esperienza della
grazia, nella contemplazione delle meraviglie che Dio opera. È sentirci toccati
dalla grazia, sperimentare la gratuità di tutto quanto siamo e abbiamo.
È formarci per “render grazia sempre, in ogni luogo e in ogni circostanza della
vita”, apprezzando la vita con le sue tristezze e gioie e scoprendo che “tutto
avviene per il bene di coloro che il Signore ama”.
È formarci per fare della nostra vita un’eucaristia, per amare e servire Dio e
gli uomini con amore grato, per fare di noi stessi una offerta viva e
permanente.
Formarci per l’Eucaristia vuol dire formarci per il culto al Padre “in spirito
e verità”. Sette anni di seminario potranno forse sembrare troppi per imparare
a dire messa, ma sono troppo pochi per imparare a celebrare l’Eucaristia.
L’Instrumentum laboris contiene contributi che denunciano pratiche negative.
Non si tratta di semplici trasgressioni alle rubriche, ma di manifestazioni di
atteggiamenti che ignorano e distorcono il senso della riforma conciliare.
Se la precipitazione nell’applicare la riforma liturgica ci ha fatto perdere il
senso della misura, prima di cercare di nuovo questo equilibrio, dobbiamo
promuovere una spiritualità che ci permetta di superare sia il ritualismo
passivo che la eccessiva creatività, affinché il mistero parli
attraverso la liturgia.
[00147-01.06] [IN099] [Testo originale: spagnolo]
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