I. RELAZIONI
-- Il Sinodo dei Vescovi ha 40 anni - Aspetti teologici del Sinodo dei
Vescovi
S.Em.R. Card. Jozef TOMKO, Prefetto emerito della Congregazione per
l'Evangelizzazione dei Popoli; Presidente del Pontificio Comitato per i
Congressi Eucaristici Internazionali
Introduzione
Il Sinodo dei Vescovi ha compiuto quarant'anni. Paolo VI lo ha annunciato nella
sua allocuzione all'inizio dell 'ultima sessione del Concilio Vaticano II e lo
istituì con il motu proprio "Apostolica sollicitudo" del 15 settembre
1965. Da allora, esso è ormai entrato nella vita della Chiesa cattolica come un
organismo vivo che esprime, qualifica e anima la vita della Chiesa. Oggi
ringraziamo Dio per la sua esistenza.
Sono stato chiamato dalla fiducia del Santo Padre Benedetto XVI, su proposta
dell'Eccellentissimo Segretario Generale, a commemorare questo anniversario illustrando
gli aspetti teologici del Sinodo dei Vescovi. Ringrazio per la gradita
designazione che è per me non solo un onore ma soprattutto un'occasione di
rendere la personale testimonianza della vitalità dell'istituto sinodale, come
l'ho sperimentata nei lunghi anni. Ho potuto assistere alla prima assemblea
generale del Sinodo nel 1967 come uno dei cinque segretari speciali. Nel luglio
1979 il giovane Papa Giovanni Paolo II mi ha chiamato a sostituire il primo
Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Mons. Wladyslaw Rubin, nominato
Cardinale. In sei anni di attività ho potuto organizzare sotto la personale
guida dell'amato Pontefice due Assemblee generali (sul matrimonio e la famiglia
e sulla riconciliazione e la penitenza) e l'Assemblea particolare per l'Olanda,
lanciando la preparazione di due altre Assemblee: quella generale ordinaria sui
laici e l'altra straordinaria sugli adempimenti del Concilio Vaticano II. Nell
'aprile del 1985 ho passato le redini della Segreteria Generale del Sinodo al
compianto Cardinale Jan Schotte, ma in seguito ho potuto assistere quale
Prefetto del Dicastero missionario a tutte le Assemblee sinodali, con funzione
di Presidente Delegato per l'Assemblea speciale per l'Asia.
Mi sia concessa venia se menziono queste esperienze per poter di più
corroborare la mia gioiosa testimonianza sul Sinodo dei Vescovi. Il tempo
assegnatomi mi obbliga ad essere fin troppo sintetico sull'istituzione sinodale
che concentra varie realtà teologiche, in specie ecclesiologiche. Dividerò il
discorso in seguenti temi: 1° Fonti, origine e sviluppi del Sinodo dei Vescovi,
2° Struttura e finalità, 3° Basi ecclesiologiche: communio e collegialitas, 4°
Rappresentanza dell'intero Episcopato, 5° Il voto collegiale al Sinodo, 6°
Conclusione.
1. Fonti, origine e sviluppi del Sinodo dei Vescovi
Come ha rilevato Giovanni Paolo II, il Sinodo dei Vescovi è germogliato nel
fertile terreno del Concilio Vaticano II ed ha potuto vedere il sole grazie
alla sensibile mente di Paolo VI. Pur avendo qualche limitata analogia con
altre forme collegiali come i sinodi romani, medievali, regionali, patriarcali,
il "sobor" e il "synodos endemousa" delle chiese orientali,
il Sinodo dei Vescovi è un'istituzione nuova, diversa da queste forme e anche
dal Concilio Ecumenico 1.
Paolo VI ha colto un'imprecisa idea, che girava nell'ambiente conciliare, di un
consiglio stabile dei Vescovi che affiancasse il Papa e la Curia Romana nel
reggere la Chiesa universale, e nell'aprire l'ultima sessione del Concilio
Vaticano II ha, in data 15 settembre 1965, con il motu proprio "Apostolica
sollicitudo" solennemente istituito il Sinodo dei Vescovi, per
"rafforzare con più stretti vincoli la Nostra unione con i Vescovi,...
affinchè non Ci venga a mancare il sollievo della loro presenza, l'aiuto della
loro prudenza ed esperienza, la sicurezza del loro consiglio, l'appoggio della
loro autorità", nonché "per dare ai medesimi la possibilità di
prendere parte in maniera più evidente e più efficace alla Nostra sollecitudine
per la Chiesa universale"2. Dopo questa introduzione, Paolo VI ha
dato in 12 articoli un solido impianto teologico e giuridico al nuovo istituto
sulle basi dei decreti conciliari già approvati.
Il Sinodo dei Vescovi ha potuto trovare ancora la menzione nei due Decreti votati
nella susseguente ultima sessione del Vaticano II, e cioè nel Decreto sui
Vescovi "Christus Dominus", al n.5, e in quello sulle missioni
"Ad Gentes", al n.29.
Giovanni Paolo II, che si riteneva "cresciuto nel Sinodo" 3,
ne ha approfondito la teologia, consolidata l'autonomia, accresciuta l'autorità
e collegialità. Membro di tutte le Assemblee sinodali, presente in tutte da
Arcivescovo o da Papa, salvo in una (per solidarietà con il Cardinale
Wyszynski, impedito dal governo), relatore al Sinodo del 1974, Egli ha
elaborato un'elevata "visione" teologica e giuridica sull'istituzione
sinodale ed ha voluto sottolinearne l’autorità collegiale anche nel titolo
delle Esortazioni apostoliche con l'aggiunta "post-sinodali". Già nel
1972 il giovane Arcivescovo Karol Wojtyla ha pubblicato sul settimanale
cattolico "Tygodnik powszechny" un lungo e penetrante studio
teologico sul Sinodo dei Vescovi 4 che è stato tradotto in italiano nel
19805. In prossimità del ventennio del Sinodo il Consiglio della
Segreteria Generale del Sinodo ha dedicato cinque giorni, dal 26 al 30 aprile
1983, allo studio della natura e del funzionamento del Sinodo 6. Alla
fine della riunione il Papa ha rivolto ai partecipanti un denso discorso che è
una profonda sintesi del suo pensiero. In esso accenna alle tre fasi del Sinodo
dei Vescovi: preparativa, assembleare e la terza che chiama
"post-sinodale" e individua nell' applicazione concreta che viene
data alle conclusioni sinodali. Più tardi, nel 1994, il Sinodo speciale,
continentale, sull' Africa gli ha fornito l'occasione per considerare come
terza fase, - cioè "celebrativa" come l'ha chiamata -, la solenne
consegna delle conclusioni alle particolari chiese direttamente interessate.
Un ulteriore sviluppo si è avuto con il nuovo Codice di Diritto Canonico nel
1983, che tratta succintamente del Sinodo dei Vescovi nei canoni 342-348,
rimandando per i dettagli al "diritto peculiare", cioè al motu
proprio "Apostolica sollicitudo" (AS) e al Regolamento del Sinodo dei
Vescovi.
2. Struttura e finalità del Sinodo
Riprendendo quasi letteralmente il voto espresso nel Decreto del Concilio
Vaticano II "Christus Dominus" (num.5), Paolo VI ha istituito il
Sinodo come " consiglio permanente di Vescovi per la Chiesa
universale", soggetto direttamente al Papa, ed ha precisato la sua natura
come:
"a) un'istituzione ecclesiastica centrale, b) rappresentante tutto
l'episcopato cattolico, c) perpetua per su natura" (AS, art.I). Le
finalità sono descritte nell'art.II dell'AS. Nell'art.III viene assegnata al
Sinodo la sua funzione: "Al Sinodo dei Vescovi spetta per sua natura il
compito di dar informazioni e consigli. Potrà anche godere di potestà
deliberativa, quando questa gli sia stata conferita dal Romano Pontefice, al
quale spetta in tal caso ratificare le decisioni del Sinodo".
Il nuovo Codice di Diritto Canonico delimita la struttura e le fmalità del
Sinodo nei primi due dei sette canoni. Nel can.342 ne presenta quasi una
definizione giuridico-teologica: "Il Sinodo dei Vescovi è un' Assemblea
dei Vescovi i quali, scelti dalle diverse Regioni dell'orbe, si riuniscono in
tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i
Vescovi stessi, e per prestare aiuto con il loro consiglio al Romano Pontefice
nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'osservanza
e nel consolidamento della disciplina eccleiastica e inoltre per studiare i
problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo". Voglio notare che
il Decreto del Concilio Vaticano II Ad Gentes" attribuisce al Sinodo il
compito poco menzionato nella prassi di "seguire con particolare
sollecitudine l'attività missionaria" (AG,n.29). Il can.343 stabilisce:
"Spetta al Sinodo dei Vescovi discutere sulle questioni proposte ed
esprimere dei voti, non però dirimerle ed emanare decreti su tali questioni, a
meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso
ratificare le decisioni del Sinodo, non gli abbia concesso potestà
deliberativa".
Queste descrizioni sono essenziali anche sotto l’aspetto teologico.
3. Basi teologiche: communio e collegialitas.
Come si colloca l'istituzione del Sinodo dei Vescovi nella Chiesa? Su quali
basi teologiche ed in specie ecclesiologiche poggia?
Paolo VI nel Documento costitutivo del Sinodo lo definisce come "uno
speciale consiglio permanente di sacri pastori" e parla genericamente
della "viva unione (del Papa) con i Vescovi", sperimentata durante il
Concilio che potrebbe portare anche dopo il Concilio al popolo cristiano la
larga abbondanza di benefici" 7. Senza menzionare espressamente la
collegialità, egli la utilizza nel significato elaborato nella Costituzione
dogmatica "Lumen Gentium" e nella "Nota praevia".
Giovanni Paolo II trova la fondazione teologica del Sinodo dei Vescovi remotamente
nell 'unità della Chiesa che si esprime concretamente e dinamicamente nella
vita di comunione tra le singole chiese locali, e di collegialità tra tutti i
Vescovi, incluso in particolare quello di Roma. Le due realtà intimamente
collegate, la comunione e la collegialità, tornano continuamente nei suoi
discorsi sul Sinodo, ma con particolare vigore e rigore nell' Allocuzione al
Consiglio della Segreteria Generale del 30 aprile 1983. Egli afferma: "Il
Sinodo è lo strumento della collegialità ed un potente fattore della
comunione...Si tratta di uno strumento efficace, agile, tempestivo, puntuale a
servizio di tutte le chiese locali e della collegialità" 8.
L'unità dinamica ossia la "communio" ecclesiale è per Giovanni Paolo
II l'ultimo fondamento in cui si radica il Sinodo dei Vescovi che sorge come
un'esigenza dell'unità e della comunione. Ma allo stesso tempo il Sinodo, una
volta esistente e funzionante, diventa uno strumento che trova nell'unità e
nella comunione ecclesiale la sua più profonda finalità. Attraverso la viva
collegialità dei Vescovi, compreso quello di Roma, il Sinodo dei Vescovi
raggiunge la comunione dei fedeli tutti nelle chiese particolari.
La ricca visione del Sinodo dei Vescovi del grande Papa parte quindi dalla
esigenza della comunione e tocca una delle note fondamentali della Chiesa e
cioè la sua unità, esigenza nella quale questo Organismo trova le sue radici
ultime e ad essa contribuisce. Ma la base immediata della
"sinodalità" è la collegialità, o come Egli si esprime nella prima
Enciclica "Redemptor hominis ", "il principio della
collegialità"9. Per Giovanni Paolo II il Sinodo dei Vescovi è
"un'espressione particolarmente fruttuosa e lo strumento della
collegialità" 10, ed anche "un'espressione privilegiata della
collegialità episcopale, con la quale i pastori delle diocesi partecipano con
il Vescovo di Roma alla sollecitudine per tutte le chiese" 11.
Però di quale collegialità parlava Giovanni Paolo II e parliamo noi in rapporto
al Sinodo dei Vescovi? Come è ben noto, il Concilio Vaticano II nella
Costituzione dogmatica "Lumen Gentium" e nella "Nota
praevia" parlano del Collegio dei Vescovi e del suo potere nel senso di
una stretta collegialità. Come si esprime Giovanni Paolo II, "tutti i
Vescovi della Chiesa con a capo il Vescovo di Roma, successore di Pietro,
"perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità" (LG,23) dell
'episcopato, formano il collegio che succede a quello apostolico con a capo
Pietro. La solidarietà che li lega e la sollecitudine per l'intera Chiesa si
manifestano in sommo grado quando tutti i Vescovi sono radunati "cum Petro
et sub Petro" nel Concilio ecumenico. Tra il Concilio e il Sinodo esiste
evidentemente una differenza qualitativa, ma, ciò nonostante, il Sinodo esprime
la collegialità in maniera altamente intensa seppur non uguale a quella
realizzata dal Concilio" 12.
Secondo il Concilio Vaticano II il Collegio dei Vescovi "esercita la
potestà sulla Chiesa universale anche mediante l'azione congiunta dei Vescovi
sparsi nel mondo, se essa come tale è indetta o liberamente recepita dal Romano
Pontefice, così che si realizzi un vero atto collegiale" (CJ.C., can.337,
§2 e LG,22). Il Concilio ammette tuttavia, oltre la collegialità nel senso
stretto anche altre forme di collegialità nel senso più largo. Giovanni Paolo
II si muove nel contesto di questa collegialità che si può applicare, con varia
gradualità e intensità, a diverse forme in cui può trovare la sua espressione
"l' affectus collegialis" (che non è un semplice sentimento!) dei
gruppi più ristretti dei Vescovi, come per esempio il Collegio cardinalizio, le
Conferenze episcopali e altre strutture collegiali a carattere internazionale o
continentale (cfr. Enc. “Redemptor hominis”, 5).
4. Il Sinodo dei Vescovi come rappresentanza dell'intero episcopato
Ma come si deve allora intendere la qualità attribuita da Paolo VI nello stesso
Documento costitutivo al Sinodo dei Vescovi come "rappresentante di tutto
l’episcopato cattolico" (AS, art.I) e come si spiega alla luce del Decreto
conciliare "Christus Dominus" la natura collegiale del Sinodo dei
Vescovi "che rappresentando tutto l'episcopato cattolico, insieme dimostra
che tutti i Vescovi sono partecipi, in gerarchica comunione, della
sollecitudine della Chiesa universale" (CD, 5) ? L'inciso, per di più, è
stato omesso nella descrizione strettamente giuridica del Sinodo nel Codice di
Diritto Canonico (del 1983), can.342. Nel primo ventennio si discuteva se i
Vescovi partecipanti con il Papa al Sinodo rappresentassero l'intero episcopato
cattolico, ossia il collegio dei Vescovi nel senso proprio, oppure soltanto nel
senso morale. Nel primo caso il Sinodo potrebbe agire a nome del Collegio
episcopale ed avere il potere deliberativo per sua natura (suapte natura). Nel
secondo caso bisogna intendere questa rappresentanza nel senso che attraverso i
Vescovi scelti e partecipanti viene rispecchiata la composizione dell'intero
episcopato anche nella sua distribuzione geografica, per cui questo gruppo di
Vescovi al Sinodo non può avere il potere deliberativo di per sé ma solo per
delega del Papa.
Il vero significato dell'inciso è stato chiarito nel senso morale-teologico e
non nel senso proprio giuridico sulla base degli Atti del Concilio Vaticano II,
ed in specie della Relazione del Vescovo Mons.J.Gargitter, Relatore per questa
parte del Decreto "Christus Dominus". Anche la Costituzione dogmatica
"Lumen Gentium" esclude ai singoli Vescovi la possibilità di decidere
con atti di giurisdizione sulle altre chiese particolari (LG, 23), ciò che vale
pure per i gruppi di Vescovi. La loro sollecitudine riguarda la promozione e la
difesa dell'unità della fede e della disciplina comune, la propagazione della
fede e l'amore per tutto il Corpo mistico, in specie per le membra povere, sofferenti
e perseguitate (Cfr.ibid.). La rappresentanza dell'intero episcopato cattolico
al Sinodo deve essere intesa in tal senso. Non si vede come questa
"rappresentanza" sia di tale natura da poter - senza un ricorso
speciale ai poteri primaziali petrini - essere considerata capace di un atto
strettamente collegiale dell'intero collegio, oppure vincolare l'intero
collegio e tutta la Chiesa. Né si vede come il Sinodo con tali poteri
deliberativi "suapte natura" differisca dal Concilio ecumenico.
Pur riconoscendo che il numero dei Vescovi necessari per
"rappresentare" l'intero episcopato non può essere stabilito secondo
un criterio rigidamente matematico (in alcuni Concili ecumenici era piuttosto
basso), sembra fuori ogni misura supporre che 200 Vescovi possano obbligare con
le loro deliberazioni 4. 700 Vescovi e più di un miliardo di cattolici, senza
che un tale potere venga loro delegato da colui che è il principio dell'unità
nella Chiesa, cioè dal Papa.
Il Card.Ratzinger l'ha espresso in maniera lapidaria in una frase: "La
suprema autorità su tutta la Chiesa, di cui gode il Collegio dei Vescovi unito
al Romano Pontefice può essere esercitata solo in due modi: in modo solenne nel
Concilio Ecumenico, in altro modo con un atto comune dei Vescovi sparsi per tutta
la terra (LG, 22). Ma secondo la tradizione cattolica, orientale e occidentale,
non si può concepire che i Vescovi possano concedere ad alcuni Vescovi da loro
scelti questa loro facoltà partecipativa al governo della Chiesa
universale" 13
In conclusione, i Vescovi nel Sinodo rappresentano l'episcopato cattolico del
mondo in maniera morale e manifestativa e il loro voto è per sé consultivo,
potendo diventare deliberativo soltanto per delega del Romano Pontefice.
5. Il voto consultivo al Sinododei Vescovi
Il Card. Wojtyla si è soffermato sull'importanza teologica del voto sinodale
fin dal 1972, vedendo il suo peso "principalmente nel modo collegiale di
pronunciarsi, come pure in ciò che viene dichiarato" 14. A
distanza di undici anni ha sviluppato questa riflessione affermando: "Tale
collegialità si manifesta principalmente nel modo collegiale di pronunciarsi da
parte dei pastori delle chiese locali. Quando essi, specialmente dopo una buona
preparazione comunitaria nelle proprie chiese e collegiale nelle proprie
Conferenze episcopali, con la responsabilità per le proprie chiese particolari
ma assieme con la sollecitudine per la Chiesa intera, testimoniano in comune la
fede e la vita di fede, il loro voto, se moralmente unanime, ha un peso qualitativo
ecclesiale che supera l'aspetto semplicemente formale del voto
consultivo"15.
In tale maniera teologica il grande Papa supera il lato puramente formale e
giuridico del voto sinodale e lo colloca nel contesto della Chiesa come
organismo di comunione di fede. Ho avuto modo di sperimentarlo in concreto,
quando Egli domandava se tutte le proposizioni approvate dal Sinodo fossero
incluse nei relativi progetti dei Documenti finali. Egli, inoltre, desiderava
che tali Documenti fossero anche nel titolo designati non solo come suoi ma
anche come sinodali. Da qui si è avuta la serie delle Esortazioni non solo
"apostoliche" ma anche "post-sinodali".
Questa impostazione delle proposizioni approvate nel Sinodo è quindi
considerata dal Papa teologicamente e qualitativamente più vincolante che una
semplice consultazione qualsiasi. Ma essa è anche più esigente nei riguardi
delle Conferenze episcopali, dei Vescovi partecipanti e di tutti i Vescovi del
mondo, sia nella preparazione collegiale e comunitaria delle assemblee
sinodali, che nell'applicazione delle loro conclusioni. Così "il Sinodo fa
risaltare il nesso intimo tra la collegialità e il primato"16.
Conclusione.
Attraverso l'istituzione del Sinodo dei Vescovi il primato valorizza l'
episcopato e la collegialità, ma quasi di ritorno ne esce valorizzata la stessa
funzione primaziale, a beneficio dell' intero organismo vivo della Chiesa.
Vorrei concludere con un'immagine
Il Sinodo dei Vescovi è come un cuore, cioè come una pompa che raccoglie prima
nelle e dalle comunità del corpo ecclesiale i suggerimenti e le esperienze
positive e negative della vita della fede nelle chiese particolari del mondo,
appunto come il cuore aspira dalle membra il sangue consumato per ossigenarlo e
rimandarlo come fonte di nuove energie nelle membra. Così pure nelle assemblee
generali e nei circoli si opera il confronto e il discernimento evangelico
delle esperienze ecclesiali alla luce della fede, e nello spirito della
comunione si formulano le direttive che, con l'autorità del Papa, principio
visibile dell'unità, vengono rifuse come sangue ossigenato e rinnovato, verso
le chiese particolari a profitto della vita ecclesiale in tutte le parti del
Corpo mistico di Cristo Una meravigliosa osmosi ecclesiale che si compie da
quarant' anni per opera della provvidenziale istituzione del Sinodo dei
Vescovi. Perciò il nostro augurio per questo "cammino insieme"
("syn-odos") dei Vescovi è: vivat, crescat, floreat !
-- Quattro decenni di sviluppo istituzionale - Aspetti giuridici del
Sinodo dei Vescovi
S. Em. R. Card. Péter ERDÖ, Arcivescovo di Esztergom-Budapest
I. OSSERVAZIONI PRELIMINARI
La natura teologica del Sinodo dei Vescovi è stata appena presentata in modo
autorevole. Tra le basi teologiche immediate delle norme giuridiche che
regolamentano l'istituto quarantennale del Sinodo dei Vescovi spiccano i
principi che si trovano nei testi rispettivi del Concilio Vaticano II sul
collegio dei Vescovi, specialmente il numero 22 della “Lumen Gentium” con le
sue "Nota explicativa praevia", la menzione concreta fatta sul Sinodo
dei Vescovi nel decreto “Christus Dominus” (5) che è stato approvato dopo
l'istituzione pontificia del Sinodo, avvenuta nel Motu Proprio “Apostolica
sollcitudo”1, nonché nel ricco magistero di Papa Paolo VI e di Giovanni
Paolo II, il quale aveva a cuore in modo particolare l'istituto del Sinodo dei
Vescovi, al cui sviluppo ha contribuito sostanzialmente durante i decenni del
suo grande pontificato. Dato che le caratteristiche fondamentali dell'istituto
del Sinodo sono state presentate in occasione del ventesimo anniversario di
questa istituzione2, alla luce della visione di Giovanni Paolo II, dal
Cardo Jozef Tomko, allora Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, ci
limiteremo alla breve presentazione della fisionomia giuridica del Sinodo dei
Vescovi secondo il diritto canonico vigente, cercando di riflettere sulla sua
natura giuridica come organo e anche sulle sue singole forme, funzioni e
manifestazioni che si sono cristallizzate nella prassi degli ultimi decenni. In
conclusione, cercheremo di individuare alcune linee maestre del suo sviluppo ed
alcuni punti centrali del suo ministero nella promozione della collegialità
episcopale e della comunione, nonché nello studio e nella soluzione dei
problemi connessi con la missione della Chiesa nel mondo attuale.
II. LA NATURA GIURIDICA DEL SINODO DEI VESCOVI
1. Secondo i primi documenti costitutivi del Sinodo
Dopo diverse discussioni teoriche3 oggi risulta pacifico che il Sinodo
dei Vescovi per sua natura non è un organo provvisto di potestà di governo
nella Chiesa. La sua natura e i suoi compiti sono stati descritti già nel Motu
Proprio “Apostolica sollicitudo” e precisati nell'Ordo Synodi
Episcoporum”4.
Il documento pontificio costitutivo del Sinodo precisa la sua natura
descrivendo il Sinodo come: "a) un'istituzione ecclesiastica centrale; b)
rappresentante tutto l'episcopato cattolico; c) perpetua per sua
natura”5. Le finalità del Sinodo, sempre secondo il Motu Proprio, sono:
"a) favorire una stretta unione e collaborazione fra il Sommo Pontefice e
i Vescovi di tutto il mondo; b) procurare un’ informazione diretta ed esatta
circa i problemi e le situazioni che riguardano la vita interna della Chiesa e
l'azione che essa deve condurre nel mondo attuale; c) rendere più facile
l'accordo delle opinioni almeno circa i punti essenziali della dottrina e circa
il modo di agire nella vita della Chiesa”6. Circa la funzione del
Sinodo il Motu Proprio stabilisce: "Al Sinodo dei Vescovi spetta per sua
natura il compito di dar informazioni e consigli. Potrà anche godere di potestà
deliberativa, quando questa gli sia stata conferita dal Romano Pontefice, al
quale spetta in tal caso ratificare le decisioni del Sinodo"7.
2. Secondo il vigente Codice di Diritto Canonico
Il vigente Codice di Diritto Canonico dedica un intero capitolo al Sinodo dei
Vescovi (cann. 342-348) inserendolo nella I Sezione del Libro II che tratta
della Suprema Autorità della Chiesa. La regolamentazione adottata dal Codice
riporta fedelmente le disposizioni del Motu Proprio e dell' “Ordo Synodi
Episcoporum”8 o rimanda al diritto peculiare (cioè a questi stessi
documenti). Si osserva comunque un certo sviluppo nel Codice rispetto ai testi
precedenti. Mentre il Motu Proprio parla di tre tipi di Assemblee
sinodali9, cioè di Assemblea generale, straordinaria e speciale, il
Codice distingue due tipi principali: Assemblee generali e quelle speciali,
sottodistinguendo poi le Assemblee generali in ordinarie e straordinarie (can.
345). All'Assemblea speciale è da "assimilare"10 quella
particolare praticata per i Vescovi olandesi11. L'uso della parola
"particolare" per indicare tali Assemblee sembra essere in armonia
con il linguaggio canonistico, nel quale le leggi si chiamano
"particolari" se si riferiscono soltanto ad un territorio
determinato, mentre la legge "speciale" riguarda un gruppo di persone
determinate secondo un criterio diverso da quello del territorio. Le Assemblee
"speciali" convocate per diversi continenti potrebbero essere
chiamati pure "Assemblee particolari". L'aspetto particolare, in ogni
caso, va crescendo e le Assemblee non generali (continentali ed altri)
costituiscono ormai nella prassi una forma importante del funzionamento
dell'istituto del Sinodo dei Vescovi.
a. La questione della rappresentatività
Già questa importanza dell'aspetto particolare spiega, perché il Codice, a
differenza del Motu Proprio e del decreto Christus Dominus, nella definizione
giuridica generale del Sinodo, data nel canone 342, non dice più che il Sinodo
è "l'Assemblea dei Vescovi che rappresenta tutto l'Episcopato
cattolico"(totius Episcopatus catholici partes agens). I motivi
dell'omissione dell'inciso utpote totius catholici Episcopatus partes agens nel
testo del canone 342 vengono indicati in allegato della risposta della
Pontificia Commissione per la Revisione del Codice di Diritto Canonico del 20
settembre 198312. L'autore di questo allegato è stato Mons. Willy
Onelin, Segretario aggiunto e Relatore del coetus "De sacra
Hiererchia". I motivi da lui addotti sono:
1) L'espressione "rappresentante dell'Episcopato cattolico" è
"imprecisa giuridicamente", mentre, naturalmente "in una
dichiarazione teologica si presuppone, ed esattamente, come affermazione di
quella sollecitudine che tutti i Vescovi hanno non solo della propria Chiesa
particolare, ma anche delle altre Chiese e della Chiesa universale",
poiché secondo la Lumen Gentium (22-23) e il Christus Dominus (6), "per
divina disposizione e comando del dovere apostolico ognuno, insieme con gli
altri Vescovi, è garante della Chiesa 13. Dal punto di vista
strettamente giuridico invece non si può dire che un Vescovo abbia dei ruoli
nelle altre Chiese, perché la stessa Costituzione Lumen Gentium (23) dichiara
che "i singoli Vescovi, che sono a capo di Chiese particolari, esercitano
il governo pastorale sulla porzione del popolo di Dio affidata loro, non sulle
altre Chiese né su tutta la Chiesa". Teologicamente si può dire che i
Vescovi nel Sinodo devono avere sollecitudine anche di quelle Chiese cui non
presiedono, ma in senso giuridico "non si può dire che i Vescovi nel
Sinodo dei Vescovi rappresentano anche le altre Chiese o sono delegati dalle
stesse”14. Riflettendo oggi sulla terminologia del Codice possiamo
aggiungere, che i Vescovi diocesani son rappresentanti ipso iure delle loro
diocesi (can. 393), ma non delle altre.
2) Come secondo argomento Mons. Onclin aggiunge che, se il Sinodo dei Vescovi
rappresentasse veramente tutti i Vescovi, sarebbe come il Concilio ecumenico e
dovrebbe avere voto deliberativo, cosa che il diritto canonico vigente non
contempla.
3) Come terzo argomento viene indicato un fatto che oggi, con la cresciuta
importanza delle Assemblee particolari, diventa sempre più attuale, e cioè che
delle Assemblee speciali fanno parte soprattuto dei Vescovi scelti da quelle
regioni per le quali il Sinodo è stato convocato. Non si può parlare quindi di
rappresentanza di tutto l'Episcopato cattolico come nota essenziale del Sinodo
dei Vescovi in generale.
Per tutto ciò è chiaro che nel Sinodo dei Vescovi non agisce l'intero Collegio
dei Vescovi, per cui i suoi atti non sono atti da attribuire giuridicamente
all'intero Collegio. (Synodus Episcoporum, Dec. Part., Pastor Aeternus, 1967.
X. 27, nr. II, 2: Leges IV, 5669: "Celebratio Synodi Episcoporum proprie
actus Collegii Episcoporum dici nequit"). Secondo il parere autorevole del
Cardo JozefTomko, questa doveva esser stata la ragione per cui Papa Paolo VI,
nel Motu Proprio Apostolica Sollicitudo ha evitato in modo assoluto l'uso della
parola "collegialità", "intesa troppo spesso nelle discussioni
conciliari nel senso stretto canonico"15.
Se confrontiamo la posizione giuridica del Sinodo con le forme dell' esercizio
della suprema potestà del Collegio dei Vescovi stesso che vengono elencate nel
canone 337, la differenza risulta chiarissima. Oltre al Concilo ecumenico si
danno due altre forme dell' esercizio di questa suprema potestà: le azioni dei
Vescovi dispersi nel mondo che vengono indette o accettate come tali dallo
stesso Sommo Pontefice (§ 2), o altri modi scelti dal Papa per l'esercizio
collegiale di queste funzioni potestative (o altre funzioni del Collegio dei
Vescovi) (§ 3). Siccome il diritto che costituisce e regolamenta l'istituto del
Sinodo dei Vescovi dice espressamente di non dare come regola generale potestà
"decisionale" cioè potestà di governo nel senso tecnico del Codice
vigente al Sinodo (can. 343), certo che il Sinodo non entra nella categoria
accennata nel § 3 del canone 337 per l'esercizio della potestà suprema del
Collegio dei Vescovi. Senza il consenso del Papa, iVescovi del mondo non
potrebbero neanche delegare dei rappresentanti per esercitare questa funzione
potestativa del Collegio, perché già la delega dovrebbe essere un atto
dell'intero Collegio che non si dà senza il consenso del suo capo16. I
membri eletti del Sinodo dei Vescovi vengono eletti, inoltre, non da tutti i
Vescovi cattolici17 del mondo, cioè da tutti i membri del Collegio dei
Vescovi (cf. Lumen Gentium 22; can. 336), ma dalle Conferenze Episcopali
nazionali18, delle quali non sono membri di diritto i Vescovi emeriti
(can. 450) che proprio negli ultimi tempi cominciano costituire una parte
importante dell’Episcopato e che sono naturalmente membri di pieno diritto del
Collegio dei Vescovi (can. 336). Questo rimane vero anche se, secondo la
risposta del 10 ottobre 1991 della Pontificia Commissione per l'Interpretazione
dei Testi Legislativi, i Vescovi emeriti (cf. can. 402 § 1) possono essere
eletti a membri dell'Assemblea del Sinodo dei Vescovi19.
Per quanto riguarda la questione della rappresentanza delle Conferenze
Episcopali che scelgono diversi membri del Sinodo, è stato ufficialmente
precisato che i Vescovi delegati al Sinodo "possono esprimere il loro
parere personale e nella votazione votare secondo la propria scienza e
coscienza”20. Questo sembra ancor più necessario se prendiamo in
considerazione la natura delle Conferenze Episcopali e della loro funzione
magisteriale, chiarita nel Motu Proprio Apostolos suos del 21 maggio
199821. Appartiene inoltre alla fisionomia del Sinodo dei Vescovi una
mutua comunicazione. Come aveva formulato l'allora Cardinale Wojtyla nel suo
intervento nell'Aula sinodale, il 15 ottobre 1969: "Comunione...indica
anche una certa comunicazione reciproca...Una tale comunicazione consiste in un
dare non semplicemente esterno dei beni, ma implicante anche un'interna partecipazione
delle persone stesse. Essa consiste, altresì, nel ricevere i beni”22.
Questo processo così ricco di scambio di beni non può essere pieno, se il
risultato delle discussioni non si esprime anche nel voto. Un mandato vincolato
dei padri sinodali, limitato da qualche Conferenza Episcopale, sarebbe quindi
una diminuzione delle funzioni del Sinodo stesso.
b. Potestà del Sinodo dei Vecovi?
Come abbiamo già accennato, il Sinodo dei Vescovi come tale non ha potestà di
governo ecclesiastico. Bisogna aggiungere però che il chiarimento tecnico della
nozione della potestas regiminis nella Chiesa è avvenuto in modo autorevole con
la promulgazione del Codice di Diritto Canonico del 1983 (soprattutto nei cann.
129-135). Prima si parlava spesso di potestas iurisdictionis e potestas ordinis
o - nel contesto dell' insegnamento del Concilio Vaticano II - anche di una
sacra potestas. Nel linguaggio giuridico-canonico attuale si cerca di evitare
l'uso della parola potestas per funzioni o capacità che non entrano nell'ambito
della potestà di governo. Per alcune autorizzazioni che sono connesse con
l'esercizio del sacramento dell'ordine il Codice preferisce l'uso della parola
facultas, dove il Codice Pio - Benedettino parlava ancora di giurisdizione. È
stato precisato già nella Nota explicativa praevia aggiunta alla Costituzione
“Lumen Gentium” che, benché ogni Vescovo riceva con l'ordinazione episcopale
una partecipazione ontologica speciale alla tria munera, alla triplice funzione
o missione di Cristo (n. 2), ha bisogno di una determinazione giuridica da
parte dell'autorità competente per poter esercitare concretamente una potestà.
Secondo il canone 129 del Codice vigente con l'ordinazione si dà una capacità
ad ottenere la potestà di governo (potestatis regiminis..habiles sunt, qui
ordine sacro sunt insigniti). Nel diritto canonico attuale si evita ormai di
chiamare "potestà" le capacità ontologiche o i diritti soggettivi
semplici.
Per tutto questo sviluppo secondo la terminologia giuridico-canonica attuale
non si potrebbe più dire in senso tecnico - come a fatto ha suo tempo
Bertrams23 - che il Sinodo ha una "potestà consultiva" che
sarebbe inoltre "propria ed ordinaria" di questo organo della Chiesa.
Il Codice vigente conosce la divisione di "potestà ordinaria e
delegata" soltanto per quanto riguarda la potestà di governo (can. 131).
Per tutto ciò non ha senso usare concetti tecnici come quello della potestà per
analizzare la funzione consultiva veramente tipica ed importante del Sinodo dei
Vescovi 24. Il Sinodo ha il prezioso diritto di far conoscere al Papa i
suoi pareri che sono stati accettati secondo un modello collegiale, ma questo
diritto non può chiamarsi potestà di governo25.
Abbiamo già costatato sopra, che il Sinodo dei Vescovi non ha neanche potestà
delegata dal Collegio dei Vescovi. Qui bisogna aggiungere che esso non può
avere neppure una vera potestà di governo delegata dai singoli Vescovi, dato
che, secondo il canone 135 § 2 la potestà legislativa non può essere delegata
che dalla Suprema Autorità della Chiesa, ma anche per la potestà esecutiva e
quella giudiziaria vale che i singoli Vescovi diocesani non hanno una potestà
di governo propria e concretamente capace ad essere esercitata per altre Chiese
particolari o per la Chiesa universale. La Costituzione “Lumen Gentium”, al suo
n. 23, infatti, dice: "I singoli Vescovi, che sono preposti alle Chiese
particolari, esercitano il loro pastorale governo sopra la porzione del popolo
di Dio che è stata loro affidata, non sopra le altre Chiese, né sopra la Chiesa
universale".
III. LE FUNZIONI DEL SINODO
1. Oggetti da trattare nel Sinodo
Il Codice vigente riassume le finalità, i diritti e gli obblighi del Sinodo dei
Vescovi in un elenco più conciso di quello del Motu Proprio Apostolica Sollicitudo.
Non vengono più distinti i fini generali da quelli speciali. Secondo il canone
342 il Sinodo ha per scopo di "favorire una stretta unione fra il Romano
Pontefice e i Vescovi" e di "prestare aiuto con...consiglio al Romano
Pontefice nella salvaguardia e nell'incremento della fede e dei costumi, nell'
osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica" e inoltre
di "studiare i problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel
mondo". Da questo elenco risulta chiaro che cosa si può trattare nel
Sinodo. Tre sono le materie indicate, ma viene precisato nel canone pure il
punto di vista della trattazione sinodale.
Sulla fede e sui costumi si deve trattare per la loro salvaguardia e
incremento, cioè "non si può mettere in dubbio la fede della Chiesa,"
ma si può esaminare, cercare le più adeguate espressioni della fede, non solo
quelle verbali "ma , in vari modi, reali”26. Così non possono
essere oggetto di discussione i documenti del Sommo Pontefice come tali,
"poiché l'autorità del Sinodo proviene da quella del Papa, ma anche il
Concilio Ecumenico, come assemblea del Collegio dei Vescovi, non ha nessuna
autorità attualmente o potenzialmente opposta al suo Capo”27. Ciò non
impedisce la ricerca di dare una spiegazione più chiara o una più profonda
esposizione all'argomento. Per quanto riguarda l'esame dei documenti dei
dicasteri della Curia Romana approvati in forma semplice dal Sommo Pontefice,
una discussione rispettosa sembra pensabile. Il Sinodo certamente potrebbe
esprimere - come scrisse Papa Benedetto XVI, allora Cardinale Joseph Ratzinger
- un consiglio anche per confermare o modificare una disposizione
disciplinare28. Così siamo arrivati all'aspetto disciplinare della
funzione del Sinodo.
Quanto all'osservanza e al consolidamento della disciplina, dalla formula usata
nel Codice si vede che non si tratta, tra i compiti del Sinodo, di indebolire
la disciplina, ma neanche di riformare soltanto per il cambiamento stesso. Una
modifica a qualche norma giuridico-canonica non è scopo di sè, ma deve
consolidare quella disciplina che risponde alla realtà teologica della Chiesa,
alla realtà dei sacramenti e, in generale, alla missione della Chiesa
considerata teologicamente con sensibilità anche per le situazioni che si
presentano nella vita quotidiana. Per la conoscenza di queste situazioni il
Sinodo può essere un quadro istituzionale utilissimo, prestando occasione allo
scambio di informazioni ed esperienze, per fornire notizie dalle chiese
particolari al Romano Pontefice, dal Sommo Pontefice ai singoli Vescovi, ma
anche tra i Vescovi. Quanto al carattere giuridico e alla forma di questa
attività del Sinodo, il canone 343 chiarisce che al Sinodo non spetta dirimere
le questioni "ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati
il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del
Sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa". Per tale concessione
però non conosciamo alcun esempio nella storia di questa istituzione. In
conformità a quello che abbiamo detto sulle questioni dottrinali, vale anche in
materia disciplinare che il Sinodo non può mettere in discussione delle norme
disciplinari di diritto divino. In questi casi può trattarsi piuttosto dei modi
migliori della loro esecuzione. Per norme di puro diritto umano sono pensabili
delle proposte di modifiche, indirizzate al Romano Pontefice.
Il terzo campo in cui il Sinodo è chiamato a prestare aiuto al Successore di
Pietro è lo studio dei problemi riguardanti l'attività della Chiesa nel mondo.
In questo settore sembra ancor più necessario lo scambio di informazioni e
notizie, e ciò non soltanto per i Vescovi e per le chiese particolari che sono
direttamente interessate nella questione trattata, ma anche per tutti gli altri
che possono organizzare aiuti spirituali e materiali per i più bisognosi e
possono vedere la propria situazione nel contesto più grande della Chiesa
universale e del mondo. Tale confronto sembra pure utilissimo per poter
valutare o, se del caso, anche ridimensionare conflitti o pretese
teologicamente problematiche che si presentano nella propria chiesa locale.
Benché il Sinodo debba dare i suoi consigli al Romano Pontefice, può sembrare a
volte necessario che esso alzi la sua voce nell'unità sui grandi problemi del
mondo. La forza di tali manifestazioni è tuttavia più grande se anche queste
prese di posizioni vengono dirette non ai 'mass-media, ma al Papa, il quale
potrà poi rilasciare una dichiarazione con riferimento anche al consiglio
sinodale. Quando tuttavia il Sinodo dei Vescovi o qualsiasi altro organo
ecclesiale prende posizione in queste questioni generali del mondo, bisogna
tener presente che tali organi partecipano all'esercizio della missione della
Chiesa stessa. La competenza della Chiesa, infatti, si estende in questo campo
a due ambiti principali, come riassume, in base al n. 76 della Gaudium et spes,
il canone 747 § 2. Essi sono l'esposizione dei principi morali circa l'ordine
sociale, e la facoltà di giudicare le attività umane, in quanto lo esigono i
diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime.
La situazione del mondo può essere trattata anche da un altro punto di vista,
cioè sotto l'aspetto dell'attività della Chiesa che deve svolgersi a volte tra
circostanze straordinarie o del tutto nuove. Così può essere a volte opportuno
che il Sinodo, oltre a proporre delle dichiarazioni di tipo teologico-morale,
suggerisca al Romano Pontefice qualche norma giuridico-canonica perché
l'attività della Chiesa possa rispondere meglio alle circostanze del mondo. 2.
Il modo di esercitare le funzioni del Sinodo
La formula usata nel canone 342 chiarisce che i Vescovi partecipanti al Sinodo
danno i loro consigli al Romano Pontefice, cioè non al Collegio dei Vescovi, nè
direttamente all'intero popolo di Dio e neanche alle autorità politiche o al
mondo. A questo accento giuridico risponde in modo eccellente il genere delle
esortazioni apostoliche post-sinodali, nelle quali il Sommo Pontefice utilizza
la ricchezza dei consigli del Sinodo e si rivolge all'intera Chiesa o ad una
parte di essa. Benché il Motu Proprio “Apostolica Sollicitudo” abbia accennato
al fatto che i Vescovi radunati al Sinodo "apportano al Supremo Pastore
della Chiesa un aiuto”29, parlando dei consigli esso non precisava
ancora che questi consigli vanno dati al Romano Pontefice30. La più
chiara precisazione adottata nel Codice è in armonia con quella affermazione
generale che si trova nel canone 334, dove parlando del Romano Pontefice viene
ribadito che il Sinodo dei Vescovi (insieme con il Collegio dei Cardinali o
anche con altre istituzioni come sarebbero, secondo gli interpreti, gli organi
della Curia Romana) è una delle espressioni dell'aiuto e della collaborazione
che i Vescovi prestano al Succesore di Pietro. Non ci sono però casi o
questioni indicati nel diritto canonico, nei quali il Papa dovrebbe consultare
il Sinodo dei Vescovi. Il Sinodo quindi ha il diritto di esprimere la propria
opinione o il proprio desiderio verso il Romano Pontefice, se egli lo domanda,
ma il Pontefice non è giuridicamente obbligato a chiedere un consiglio
sinodale. Per conseguenza non esistono atti pontifici, per la validità dei
quali sarebbe necessaria una tale consultazione nel senso del canone 127.
"Il fatto che il Sinodo abbia normalmente una funzione solo consultiva -
come ribadisce Giovanni Paolo II, nella sua esortazione apostolica
post-sinodale “Pastores gregis”31 - non ne diminuisce l'importanza.
Nella Chiesa, infatti, il fine di qualsiasi organo collegiale, consultivo o
deliberativo che sia, è sempre la ricerca della verità o del bene della Chiesa.
Quando poi si tratta della verifica della medesima fede, il consensus Ecclesiae
non è dato dal computo dei voti, ma è frutto dell'azione dello Spirito, anima
dell'unica Chiesa di Cristo".
Quanto al metodo concreto che si è sviluppato lungo i decenni, possiamo
costatare che esso è interamente collegiale nel senso che tutto il dinamismo
sinodale viene animato da tale spirito. Seguendo l'elenco del Cardo Jozef Tomko
e confrontandolo con lo sviluppo degli ultimi anni si delinea il quadro
seguente:
l. La scelta del tema viene fatta in modo collegiale, perché la Segreteria del
Sinodo chiede alle Conferenze Episcopali di presentare temi per la futura
assemblea. Le proposte vengono studiate dal Consiglio della Segreteria
generale. Il Consiglio presenta poi il risultato delle sue analisi con i propri
suggerimenti al Santo Padre.
2. Successivamente il Consiglio elabora i Lineamenta che si inviano alle
Conferenze Episcopali. Sin dalla preparazione del Sinodo del 1983 sulla
riconciliazione e sulla penitenza, i Lineamenta vengono pubblicati. Questo
favorisce certamente una discussione più larga dell' argomento.
3. Le reazioni e i suggerimenti vengono sintetizzate dalle Conferenze
Episcopali, dai Sinodi delle Chiese cattoliche orientali sui iuris, dai
Dicasteri della Curia Romana, dall'Unione dei Superiori Maggiori e mandate alla
Segreteria del Sinodo. In base a questo il Consiglio della Segreteria generale
del Sinodo con l'aiuto di esperti elabora l' Instrumentum laboris. Tale
documento serve come base per il lavoro del Sinodo. Così è logico che lo
ricevono generalmente quei Vescovi che sono stati eletti dalle Conferenze
Episcopali come partecipanti al Sinodo e i presidenti delle Conferenze
Episcopali. Dal 1983 esso è stato mandato a tutti i Vescovi, ed è stato anche
pubblicato, nonostante il suo carattere preliminare e sussidiario. Ma il fatto
della pubblicazione indica che la discussione pubblica del tema del Sinodo può
anche aiutare quello scambio di esperienze e suggerimenti che è uno degli scopi
del Sinodo stesso. Negli anni successivi sono stati pubblicati anche altri
Instrumentum laboris32.
4. I Vescovi partecipanti al Sinodo possono quindi, oltre alle loro riflessioni
personali, rendere noti all'assemblea anche i suggerimenti dei Vescovi del loro
paese, anche se non sono mandatari nel senso giuridico più stretto della loro
Conferenza Episcopale, ma hanno un voto libero (vedi sopra). L'opinione di una
Conferenza Episcopale come tale in materia dottrinale sarebbe del resto molto
problematica sia per quanto riguarda la maggioranza necessaria che per la
qualità della presa di posizione stessa33. Più importante sembra ancora
la possibilità che i padri sinodali confrontano le loro esperienze concrete
della vita di fede e cercano di formulare delle linee direttrici. All'Assemblea
generale, sia negli interventi, che dopo nelle discussioni nei circuli minores
e finalmente nella formulazione e votazione delle proposizioni o conclusioni è
abbastanza largo lo spazio per lo scambio di doni. È anche per questo che non
pochi padri sinodali tornano nella loro patria con il senso di aver imparato
molto.
5. Lo spirito e il metodo collegiale sono presenti anche alla fine del Sinodo e
nella fase successiva che negli ultimi tempi è sempre più collegata con la
redazione dei documenti, specialmente dal Consiglio della Segreteria Generale.
Questo Consiglio, secondo il canone 348 § 1 è "composto di Vescovi, alcuni
dei quali vengono eletti,...dallo stesso sinodo dei Vescovi, altri nominati dal
Romano Pontefice; l'incarico di tutti costoro però cessa quando inizia la nuova
assemblea generale". Il documento finale o i documenti del Sinodo possono
avere varie forme. Alla fine dell'Assemblea generale del 1971 sono state pubblicate
due dichiarazioni sinodali con approvazione pontificia34. Al Sinodo del
1974 non si è riusciti a redigere un documento finale, ma si è rivolto al Papa
chiedendo la composizione di un documento in base ai lavori sinodali. Il
documento pontificio è stato chiamato poi ufficialmente "Esortazione
Apostolica”35. Nei Sinodi del 1977, 1980, 1983 e successivi è stato
pubblicato un Messaggio dei Padri sinodali36, mentre le proposizioni
sono state trasmesse al Sommo Pontefice, il quale ha raccolto i frutti del
lavoro sinodale in esortazioni apostoliche promulgate con la propria suprema
autorità. Questo metodo è stato adottato anche successivamente con la
differenza che il documento pontificio che ha seguito il Sinodo è stato
chiamato "Esortazione Apostolica post-sinodale", sin dalla
“Reconciliatio et paenitentia”. Anche le proposizioni accettate alla fine delle
Assemblee generali sono state, sin dal 1987, più volte, abusivamente,
pubblicate37 Mentre la pubblicazione dell' “Instrumentum laboris”
sembra per sua stessa natura favorire la preparazione del Sinodo, la
pubblicazione delle Propositiones non sembra essere richiesta dalla natura
delle cose, perché questo documento si dirige unicamente al Romano Pontefice,
non essendo il Sinodo chiamato per dare consigli a tutto il mondo, ma
specialmente al Papa. Del metodo e del significato delle esortazioni
apostoliche che valorizzano i risultati dei lavori sinodali, a proposito
dell'Esortazione Apostolica “Familiaris Consortio”, il Segretario Generale, ha
rilevato all' Assemblea generale del 1983, per volontà di Giovanni Paolo II,
che questa forma "avrebbe da un lato l'autorità morale di una assemblea
così altamente qualificata e dall'altro l'autorità giuridica oltreché morale
vincolante per tutta la Chiesa, proveniente ex munere petrino Summi Pontificis
adprobantis. Un tale documento potrebbe essere un ulteriore segno della
collegialità e della più marcata sinodalità”38. Il riferimento al
valore giuridico del documento pontificio emanato dopo il Sinodo sembra
esprimere prima di tutto l'obbligatorietà anche giuridica delle dichiarazioni
magisteriali del Romano Pontefice. Ma implicitamente questa spiegazione della
natura del documento pontificio contiene anche la possibilità che il Romano
Pontefice, servendosi dei risultati dei lavori di un' Assemblea del Sinodo dei
Vescovi, magari ascoltando le notizie delle difficoltà pratiche nelle diverse
chiese particolari e le rispettive proposte sinodali, emani una norma giuridica
con contenuto strettamente disciplinare. Tale documento potrebbe far
riferimento, anch'esso ai lavori sinodali che lo hanno preceduto. In questo
senso sembra senz'altro possibile nel futuro anche la promulgazione di un Motu
Proprio post-synodale, con contenuto disciplinare-normativo.
IV. CONCLUSIONI
Riassumendo i fenomeni dello sviluppo del Sinodo dei Vescovi risulta prima di
tutto che esso rende possibile che i grandi problemi della vita della Chiesa e
del mondo vengano affrontati in un ambiente dove tutti hanno la possibilità di
esprimere il proprio pensiero. E questo contribuisce al consolidamento
dell'unità dei Vescovi intorno al Romano Pontefice. Tutti hanno anche la
possibilità di conoscere la posizione della Santa Sede e del Successore di
Pietro, e possono scambiare opinioni con gli altri Vescovi. L'esperienza
maturata in quarant'anni dimostra che il Sinodo è uno strumento utile che ha
reso grandi servizi al rafforzamento della comunione della Chiesa e nel
miglioramento dell'esercizio del ministero pastorale39.
Il fatto che i risultati dei Sinodi vengano pubblicati sempre di più in forma
Esortazione Apostolica, e che dalla metà degli anni Ottanta questa porti
persino nella sua denominazione ufficiale l'espressione
"post-sinodale", sembra molto appropriato, anzi più adatto che le
altre forme praticate all'inizio della storia del Sinodo dei Vescovi, perché è
veramente il Sommo Pontefice che deve far tesoro dei consigli sinodali che per
la natura del Sinodo sono indirizzati a lui e non direttamente al pubblico. Sembra
una soluzione fortunata anche il fatto che il Santo Padre fa menzione delle
basi sinodali di questi suoi documenti.
Alcuni si lamentano della lunghezza di questi documenti. Tale problema è
piuttosto generale nella cultura occidentale. Il pubblico legge meno, e dei
documenti lunghi moltissimi si informano attraverso i mass-media. Accontentarsi
di tali informazioni non è in nessun modo sufficiente quando si tratta di
un'Esortazione Apostolica, ricca di sfumature teologiche e pastorali.
L'accessibilità a questi documenti anche su internet aiuta molto nella
consultazione diretta. Sembra necessario, però, cercare anche altre forme
appropriate perché la voce del Papa e dei Vescovi arrivi ai sacerdoti e ai
fedeli del mondo. Questi problemi non riguardano solo il Sinodo dei Vescovi,
perché sono tipici della cultura odierna. Da una parte cresce la quantità
dell’informazione, dall’altra parte diventa sempre più difficile per i singoli
lettori studiare e capire a fondo tutto quello che viene offerto. Eppure è anche
necessario per l'effetto sociale di un pensiero una certa quantità di presenza
nei mass-media. Anche le consultazioni di diversi gruppi di persone devono
avere una certa frequenza e dimensione, malgrado il peso per i partecipanti.
Pare che il Sinodo sia riuscito a trovare un giusto equilibrio anche sotto
questo aspetto.
Riguardo ai consigli sinodali in materia disciplinare sembrano possibili anche
altri generi di documenti con carattere giuridico-normativo, nei quali il Sommo
Pontefice, dopo consultazioni così importanti coi Vescovi, come sono i Sinodi,
aiuta le chiese particolari nel risolvere i loro problemi disciplinari in
unione con la Chiesa universale. Non si tratterebbe qui di una forma collettiva
della legislazione, ma di un modo sfumato di approccio della realtà.
Un altro fenomeno caratteristico dello sviluppo dell'istituto del Sinodo dei
Vescovi è che le assemblee speciali o particolari, specialmente quelle
continentali sembrano diventare ormai regolari. Dato che il Sinodo non
rappresenta giuridicamente l'intero Collegio dei Vescovi, risponde bene alla
sua natura anche questa nuova forma. L'insieme delle chiese particolari di un
continente comincia formare ormai ovunque una realtà speciale di grande
importanza pastorale.
Preghiamo con fiducia la Provvidenza divina affinchè il Sinodo dei Vescovi,
questo eccellente strumento di comunione, possa portare dei frutti preziosi
anche nel futuro.
II. COMUNICAZIONI
-- Il Sinodo Particolare per Batavia - Assemblea Speciale per i Paesi
Bassi
S. Em. R. Card. Adrianus SIMONIS, Arcivescovo di Utrecht (Membro
dell'Assemblea sinodale)
L’origine di questo Sinodo fu determinata dalla situazione molto difficile
della Chiesa in Olanda dopo il cosiddetto “Concilio di Noordwijkerhout” degli
anni 1966 - 1969, nel periodo che seguì il Concilio Vaticano II e anche dopo il
famoso catechismo olandese del 1966. In questo “Concilio di Noordwijkerhout”,
organizzato dai vescovi olandesi di allora, furono affrontati tutti quei temi
che in seguito avrebbero interessato tutta la Chiesa dell’Ovest: come
l’autorità nella Chiesa, la liturgia, il sacerdozio ministeriale in relazione
al sacerdozio comune, il celibato, la posizione della donna nella Chiesa,
l’ecumenismo e naturalmente la morale sessuale. La tendenza di questo
“Concilio” era molto progressista e aveva suscitato la curiosità dei mass-media
interessati nelle discussioni che rappresentavano una svolta riguardo al
Vaticano II.
Conseguenza fu una grande polarizzazione fra i fedeli, ancora più rafforzata
dalla nomina, come vescovo di Rotterdam, alla fine dell’anno 1970, di un certo
Cappellano Simonis e, un anno dopo, di Mons. Gijsen. Ambedue erano considerati
conservatori e “vassalli di Roma”. Infatti la polarizzazione era anche entrata
nella Conferenza episcopale all’interno della quale andava crescendo una
situazione di conflitto e incompresione tra gli stessi Vescovi.
Anche il Cardinale Willebrands, il quale adesso ha 96 anni e che saluta
cordialmente tutti i presenti, e che nel 1975 era successo al Cardinale
Alfrink, non riusciva a ristabilire l’unità. Fu lui a parlare prima con il Papa
Paolo VI e poi con il Papa Giovanni Paolo II. Ricordo ancora bene: era un
sabato sera quando, insieme, fummo ricevuti da Papa Giovanni Paolo II alla sua
tavola. Era il dicembre del 1978. Quella sera il Papa s’interessò solamente
alla situazione riguardante le scuole e le università cattoliche, la formazione
del clero e la novità dei cosi detti operatori pastorali: laici, uomini e donne
con una formazione completa di teologia, in numero sempre più crescente i quali
erano considerati come una nuova specie di ministero pastorale nelle parrocchie
con tutti i problemi del loro “status” e competenze in campo liturgico e
pastorale. Sono convinto che in quella sera naque l’idea del Sinodo Speciale
per i Paesi Bassi. Dopo i colloqui personali fra il Papa e tutti i vescovi
olandesi il Sinodo fu convocato, dallo stesso Santo Padre dal 14 al 31 gennaio
del 1980. Comunque sia, il Papa deve avere capito che la problematica della
Chiesa in Olanda avrebbe potuto influire, in futuro, su tutta la Chiesa: la sua
fede, la dottrina, la morale e la disciplina. In ogni caso il Papa dedicò più
di due settimane del suo tempo prezioso per realizzare questo Sinodo, in cui
furono discussi, in segreto ma anche con franchezza, tutti i problemi “caldi”
che i Vescovi possono immaginare.
Presenti sempre il Santo Padre stesso, e il Presidente delegato, da lui
nominato, il Cardinal Danneels. Con grande stima penso a lui che accettò questa
nomina delicata, anche se poche settimane prima era stato trasferito da
Antwerpen a Brussel, come successore del Cardinal Suenens. Erano presenti
alcuni capi dicasteri, e il Cardinal Tomko, l’allora Segretario Generale del
Sinodo dei Vescovi e che certamente può raccontare tanti particolari di quel
Sinodo. Presenti erano, naturalmente, tutti i 7 vescovi residenziali, due
ausiliari e due rappresentanti dei religiosi, fra cui l’attuale vescovo di
Rotterdam Mons. Van Luyn, salesiano.
Il Sinodo stesso fu un evento intenso, una vera scuola di fraternità, di
collegialità effettiva ed affettiva. Il risultato del Sinodo venne riassunto in
44 risoluzioni riguardanti i vescovi ed il loro compito, i sacerdoti e il loro
significato essenziale, i religiosi, i laici in genere, ed in specie gli
operatori pastorali e le loro competenze e, poi, alcuni settori della vita
ecclesiale.
Durante la messa conclusiva del 31 gennaio, nella Cappella Sistina, queste
decisioni furono sottoscritte in modo solenne da tutti i 17 partecipanti, nove
dei quali già sono morti.
Come Vescovi abbiamo vissuto una atmosfera di gioia, ma anche di timore perché
sapevamo che le decisioni, dopo la loro pubblicazione, avrebbero incontrato,
nella grande maggoranza dei sacerdoti e degli operatori pastorali, un clima di
scontento e disapprovazione. Rientrati in patria tutti i Vescovi si adoperarono
per incontrare, personalmente, sacerdoti ed operatori pastorali, per spiegare
l’importanza di queste decisioni, ma, generalmente, non furono accettate. Così
che taluni Vescovi dopo un anno, pubblicamente dichiararono che il Sinodo
particolare non aveva giovato. Però, per 14 anni il Card. Schotte, successore
del Card. Tomko, convocò ogni anno una Commissione speciale, di cui anche il
Card. Danneels ed io eravamo membri, per promuovere l’applicazione delle
risoluzioni sinodali. Personalmente penso che il Sinodo particolare ha portato,
certamente, una rinnovata chiarezza nel campo della fede e della disciplina
nella nostra Chiesa. Ho vissuto questo Sinodo come l’inizio di un processo e di
una sicura strada.
E anche se le decisioni non sono ancora pienamente effettuate, lentamente vedo
una crescita nell’accettazione, soprattutto dai giovani che non sanno niente
del passato della polarizzazione ma vogliono essere cattolici normali. Il
Sinodo particolare, tuttavia, rimane attuale per i vescovi odierni nel nostro
compito di guidare il popolo di Dio in Batavia, come chiama l’Instrumentum
Laboris il nostro paese.
[Testo integrale - 00124-01.07] [NNNNN] [Testo originale: italiano]
-- Convocation of the Special Assembly -Assemblea Speciale per l'Africa
S. E. R. Mons. Paul VERDZEKOV, Arcivescovo di Bamenda (Membro
dell'Assemblea sinodale e del Consiglio postsinodale)
S. E. R. Mons. Paul Verdzekov, Arcivescovo di Bamenda, ha preso la parola e
riferito sull’Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi che aveva
come tema “La Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l’anno
2000: ‘sarete miei testimoni’ At 1,8", tenutasi in Vaticano dal 10 aprile
all’8 maggio 1994. Essa ha riscontrato un particolare impatto
sull’evangelizzazione del Continente Africano avendo avuto come scopo di
promuovere “un’organica solidarietà pastorale in tutta l’Africa e nelle Isole
limitrofe” e di “esaminare tutti gli importanti aspetti della vita della Chiesa
in Africa”, e in particolare temi quali “l‘evangelizzazione, l‘inculturazione,
il dialogo, la cura pastorale in campo sociale e i mezzi di comunicazione
sociale”.
I Padri Sinodali, ha proseguito il Vescovo, avevano preso in esame i compiti
dei leader politici africani mettendoli in guardia dalla conquista violenta del
potere, diventata quasi una norma nel comportamento dei potenti, e
sottolineando la necessità della democrazia, della lotta alla corruzione e al
traffico delle armi e ribadendo che, senza il superamento di questi fenomeni,
l’Africa non avrebbe mai potuto avere pace e sviluppo.
Quindi è stato soprattutto posto l’accento sull’Esortazione Apostolica
post-sinodale Ecclesia in Africa che aveva come scopo l’applicazione di
direttive e orientamenti indicati dal Sinodo: la proclamazione della Parola,
l’inculturazione del Vangelo, il perseguimento del dialogo, della giustizia e
della pace e il corretto uso dei mezzi di comunicazione sociale.
Inoltre è stata ricordata la famosa frase di Paolo VI, pronunciata in Uganda il
31 luglio 1969: “D’ora in poi, voi africani siete i missionari di voi stessi”.
L’intervento si è poi concluso con l’annuncio della convocazione della Seconda
Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, già prevista da
Giovanni Paolo II, e quindi confermata da Papa Benedetto XVI in data ancora da
stabilirsi.
[Presentazione - 00123-01.11] [NNNNN] [Testo originale: inglese]
-- Le Synode des Évêques dans son Assemblée Speciale pour le Liban -
Assemblea Speciale per il Libano
S. E. R. Mons. Cyrille Salim BUSTROS, M.S.S.P., Eparca di Newton, Stati
Uniti d'America (Relatore Generale dell'Assemblea sinodale e membro del
Consiglio postsinodale)
Il testo del padre sinodale S. E. R. Mons. Cyrille Salim Bustros su “Il Sinodo
dei Vescovi nell’assemblea speciale per il Libano” presenta, in forma di
rapporto, una riflessione sugli esiti dell’assemblea riunita intorno a papa
Giovanni Paolo II nel novembre del 1995. Muovendo dalle cause del conflitto tra
cristiani e musulmani scoppiato a Beirut nel 1975, illustra le ragioni della
convocazione dell’assise sinodale e le reazioni all’Esortazione Apostolica “Una
speranza nuova per il Libano”, promulgata da papa Giovanni Paolo II il 10
maggio 1997. L’Esortazione Apostolica del Santo Padre fu accolta da tutta la
società libanese, civile e religiosa. La presenza al Sinodo delle delegazioni
ortodossa, protestante e musulmana (Sciiti, Sunniti e Druzi) ha così
testimoniato l’unità e lo spirito di collaborazione che la società libanese
deve perseguire nello spirito di dialogo e di convivialità tra le religioni. Il
Libano, aveva affermato il Papa Giovanni Paolo II, è più che una patria, è un
messaggio, per l’oriente e per l’occidente, di convivialità e di collaborazione
tra le diverse religioni. Il rapporto presenta, infine, un bilancio dei
mutamenti sociali sorti dalla riflessione sinodale e dall’incontro tra
musulmani e cristiani.
[Presentazione - 00162-01.07] [NNNNN] [Testo originale: francese]
-- Frutos del Sínodo de América - Assemblea Speciale per l'America
S. Em. R. Card. Juan SANDOVAL IÑIGUEZ,Arcivescovo di Guadalajara (Relatore
Generale dell'Assemblea sinodale e membro del Consiglio postsinodale)
Nel testo del padre sinodale S. Em. R. Cardinale Juan Sandoval Iñiguez
intitolato “Frutti del Sinodo d’America”, si espongono gli aspetti precipui
delle varie fasi del Sinodo sul tema “Incontro con Gesù Cristo vivo: il cammino
per la conversione, la comunione e la solidarietà in America”. Il Sinodo, convocato
dal Papa Giovanni Paolo II nel 1994 in preparazione al Grande Giubileo, fu
celebrato in Vaticano dal 16 novembre al 12 dicembre del 1997. Della fase
preparatoria dei lavori sinodali si evidenziano gli elementi di unità emersi
tra le due Chiese presenti, quella - più recente - degli Stati Uniti e del
Canada e quella dell’America Latina. Primo di questi elementi comuni, la fede
in Cristo. Si rileva, nel corso dello svolgimento del Sinodo e nel tempo
successivo, il sorgere di una stima reciproca, di uno spirito di collaborazione
fra le parti, la conoscenza dei problemi comuni e uno scambio di doni
spirituali e materiali, frutti dello spirito auspicato per il Sinodo. Si
espongono alcuni esempi di attività post-sinodali, che hanno rivelato la
volontà di mettere in pratica lo spirito di unità e di comunione espresso nel
Sinodo. Si tratta inoltre dell’accoglienza e dell’applicazione della
Esortazione Apostolica post-sinodale “Ecclesia in America”, firmata dal Papa
Giovanni Paolo II nel 1999. Alla pubblicazione di questa sono seguite in tutto
il continente assemblee plenarie per il suo studio, proposte pastorali e
progetti comuni animati da uno spirito di solidarietà. Si elencano, infine,
alcune esperienze considerate particolarmente significative, come quella promossa
dai vescovi delle diocesi della frontiera tra Messico e Stati Uniti, che hanno
organizzato riunioni sui migranti.
[Presentazione - 00137-01.07] [NNNNN] [Testo originale: spagnolo]
-- Some positive results of the Special
Assembly for Asia of the Synod of Bishops - Assemblea Speciale per l'Asia
S. Em. R. Card. Paul SHAN KUO-HSI, S.I., Vescovo di
Kaohsiung (Relatore Generale dell'Assemblea sinodale e membro del Consiglio
postsinodale)
Il Cardinale Paul Shan, S.J., pur ricordando le difficoltà a riassumere i
risultati positivi dell’Assemblea Speciale per l’Asia del Sinodo dei Vescovi,
data la grande molteplicità di Chiese particolari con tradizioni diverse e le
differenze socio-economiche, geopolitiche, culturali e razziali del continente,
sottolinea tuttavia alcuni risultati positivi raggiunti in ambito cristologico,
pneumatologico ed ecclesiologico.
Il Cardinale Shan spiega infatti che, dopo l’Assemblea Speciale, che aveva come
tema: “Gesù Cristo, il Salvatore, e la sua missione di amore e di servizio in
Asia: ‘... perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’ (Gv 10, 10)”, si è
osservato una migliore comprensione, da parte delle Chiese particolari in Asia,
del concetto dell’unicità e dell’universalità della salvezza in Cristo. Quindi
rileva che, dopo la pubblicazione di “Ecclesia in Asia”, sembrano essere
diminuiti gli scritti o gli articoli contrari al consenso dei Padri sinodali e
dell’Esortazione Apostolica Post-sinodale sul fatto che lo Spirito Santo non è
un’alternativa a Cristo. Infine, il Cardinale Shan osserva un leggero
cambiamento nella posizione delle forze politiche e delle Chiese particolari
verso l’accettazione del fatto che non si può transigere per quanto riguarda la
dottrina della fede sulla comunione e l’unità della Chiesa cattolica.
[Presentazione - 00163-01.04] [NNNNN] [Testo originale: inglese]
-- The Special Assembly of the Synod of Bishops for Oceania - Assemblea
Speciale per l'Oceania
S. E. R. Mons. John Atcherley DEW, Arcivescovo di Wellington (Membro
dell'Assemblea Speciale) leggi il testo del Cardinale Thomas S. Williams,
Arcivescovo emerito di Wellington (Presidente delegato dell’Assemblea Speciale)
Il Cardinale Thomas S. Williams nel suo intervento, dopo avere ricordato i
diversi eventi che hanno portato all’Assemblea Speciale per l’Oceania del
Sinodo dei Vescovi, che si è tenuta in Vaticano dal 22 novembre al 21 dicembre
1998 con il tema: “Gesù Cristo: seguire la sua Via, proclamare la sua Verità,
vivere la sua Vita: una chiamata per i popoli dell’Oceania”, ha ribadito l’importanza
che questo Sinodo ha avuto per il discernimento delle priorità pastorali e per
la collaborazione tra le diocesi in Oceania.
A quasi sette anni dall’Assemblea Speciale, secondo il Cardinale Williams, la
celebrazione per il quarantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei
Vescovi è l’occasione opportuna per valutarne i benefici. Tra questi, il
Cardinale ha ricordato il consolidamento dell’identità dell’Oceania come
continente a sé e, fatto ancora più importante, l’autentica esperienza di
comunione tra le diocesi dell’Oceania e con la Chiesa universale. Il Sinodo,
secondo il Cardinale, ha anche messo in evidenza i doni che l’Oceania può
offrire alla Chiesa universale, ovvero la giovinezza e la freschezza, la sua
esperienza nell’ambito dell’inculturazione, la sua tradizione di condivisione e
di ospitalità, l’impegno e la solida formazione dei laici. Il Cardinale ha
osservato che, viste le particolari situazioni geografiche di molte Chiese
particolari del continente, gli insegnamenti sociali della Chiesa impegnano e
sfidano la gente nella vita quotidiana.
Il Cardinale Williams ha quindi rimarcato che l’Esortazione Apostolica
Post-sinodale “Ecclesia in Oceania” di Papa Giovanni Paolo II ha consentito
alla Chiesa in Oceania di giungere a una comprensione più profonda della
“communio” locale e universale e la sua rilevanza nell’ambito
dell’inculturazione, dell’evangelizzazione e della pianificazione pastorale. Il
Porporato ha ricordato che sono emersi anche altri temi come l’importanza della
preghiera e delle Scritture, dell’Eucaristia e del Sacramento della Penitenza,
ma anche la preoccupazione per le molte comunità prive di un sacerdote. E
ancora: l’apostolato sociale e l’impegno per la giustizia e la pace come parte
integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa, il rafforzamento della
vita familiare, la cura pastorale dei giovani, l’uso dei mezzi di comunicazione
sociale al servizio dell’evangelizzazione, il rinnovamento dell’impegno
ecumenico, la difesa della vita umana e la tutela ambientale.
L’Esortazione Apostolica Post-Sinodale “Ecclesia in Oceania” è stata diffusa in
diversi modi e in diverse lingue ed è stata largamente discussa, dando
molteplici frutti, tra i quali anche l’Assemblea Generale Nazionale della
Chiesa Cattolica, il cui insegnamento viene ora attuato attraverso le assemblee
diocesane. Il documento ha dato nuovo impeto e vitalità al lavoro delle
diocesi, divenendo il parametro per determinare le priorità pastorali e dando
un orientamento ai sinodi diocesani.
Il Cardinale Williams ha concluso affermando che l’Esortazione Ecclesia in
Oceania continuerà ad essere ancora a lungo fonte di ispirazione e di
orientamento per la Chiesa in Oceania.
[Presentazione - 00165-01.04] [NNNNN] [Testo originale: inglese]
-- II Assemblea Especial para Europa del Sínodo de los Obispos - I e II
Assemblee Speciali per l'Europa
S. Em. R. Card. Antonio Maria Rouco VARELA, Arcivescovo di Madrid (Relatore
Generale della II Assemblea speciale e membro del Consiglio postsinodale)
Il Cardinale Rouco Varela ha preso la parola e ha parlato della sulla II
Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, “Gesù Cristo vivente
nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa”, della quale era Relatore
Generale, svoltasi a Roma dal 1 al 23 ottobre 1999 che, “fu un autentico
avvenimento della Chiesa”, sottolineandone l’opportunità, perché avrebbe
consentito di riflettere sulla situazione dell’Europa: quasi un esame di
coscienza al quale la celebrazione del Grande Giubileo dell’anno 2000 invitava tutta
la Chiesa Cattolica.
I 288 partecipanti, di tutte le età e provenienti da tutti i paesi europei,
parlavano tutte le lingue d’Europa, provenivano dalle situazioni più diverse,
oltre la metà non aveva mai partecipato ad un’assemblea sinodale e non si conoscevano
fra di loro: ma tutto questo non impedì che si ritrovasse un’unità cattolica
tangibile, sottolinea il Cardinale Rouco Varela, e una sintonia sulla diagnosi
della situazione europea nella quale, dopo la riunificazione geografica e
politica, era possibile percepire meglio il danno spirituale causato
dall’umanesimo immanentista nelle sue diverse versioni ideologiche. Essendo,
quindi, “l’ora della verità per l’Europa era proprio per questo l’ora del
Vangelo...l’ora dell’annuncio rinnovato del kerygma” e, su questo punto, la
convinzione dei padri sinodali era chiara e colma di speranza: anche in Europa
era necessario ricominciare dalle radici, da una proposta essenziale e nitida
del mistero di Cristo. Si sottolineava anche che la vita sacramentale della Chiesa
era parte ineludibile della nuova evangelizzazione, perché la vita cristiana
nasce dall’Eucaristia e dagli altri sacramenti.
La nuova evangelizzazione, prosegue il cardinale Rouco Varela, ha i suoi
strumenti e il suo stile: il dialogo. Il dialogo con la cultura e la società
attraverso istituzioni adeguate come la scuola e l’Università, le istituzioni
sanitarie, assistenziali e politiche, il dialogo ecumenico fra le diverse
confessioni cristiane, in particolare la necessità della reciproca comprensione
e carità fra cattolici e ortodossi, il dialogo fra i nuovi movimenti e le
comunità ecclesiali come strumenti che lo Spirito Santo ha donato alla Chiesa
per la nuova evangelizzazione e le istituzioni antiche e si invitavano tutti
alla comunione con il Vescovo nella Chiesa locale.
Il cardinale Rouco Varela conclude affermando che la Vecchia Europa aspetta
parole di futuro e di speranza e che il Sinodo del 1999 e la memorabile
esortazione Apostolica di Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, firmata il 28
giugno 2003, risposero con una proposta ed un appello: Gesù Cristo e la
conversione a Lui che ha parole di Vita eterna.
[Presentazione - 00136-01.05] [NNNNN] [Testo originale: spagnolo]
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