-- INTERVENTI IN
AULA (CONTINUAZIONE)
Diamo qui di seguito i riassunti degli interventi dei Padri sinodali:
- S.Em.R. Card.
Jānis PUJATS, Arcivescovo di Riga, Presidente della Conferenza Episcopale
(LETTONIA)
Nelle chiese parrocchiali, luogo particolarmente adatto (sul presbiterio) per
il Santissimo è l’altare maggiore che ospita il tabernacolo. In questo caso,
l’altare maggiore con il suo retablo è veramente il trono di Cristo Re ed
attrae a sé gli occhi di tutti coloro che sono in chiesa. La presenza del
Santissimo nell’area principale della chiesa dà ai fedeli l’occasione di
adorare Dio anche al di fuori del sacrificio della Messa (ad esempio
nell’intervallo di tempo tra gli uffici divini). Essi vengono infatti in chiesa
per pregare, non per conversare. Prima della Comunione, è compito dei sacerdoti
invitare i fedeli alla confessione individuale dei peccati. Il luogo migliore
per la confessione dei fedeli è il confessionale, collocato in chiesa e
costruito con una grata fissa tra il confessore e il penitente. Nella misura in
cui è possibile, i sacerdoti devono favorire le condizioni affinché i fedeli
accedano alla Penitenza: se infatti gli uomini vivono e muoiono nei peccati, è
vano ogni altro sforzo pastorale. È opportuno riservare ogni giorno un tempo
alla confessione, in ore prestabilite, in particolare prima della Messa. Se
vogliamo veramente rinnovare la vita spirituale del popolo, ci è consentito
lasciare il confessionale solo dopo che l’ultimo penitente ha ricevuto il
perdono. Ai sacerdoti e ai laici che generalmente partecipano alla mensa del
Signore ogni giorno, si deve consigliare la confessione individuale più o meno
una volta al mese. Per gli altri, la confessione è necessaria almeno ogni volta
che accedono alla Comunione.
In generale, occorre eliminare l’abuso di accedere alla Comunione senza il
sacramento della Penitenza. Nel passato, vi era l’abitudine, durante la Messa,
di andare in processione alla Comunione, ma col passare del tempo questa prassi
fu giustamente respinta per un motivo pastorale. Come sappiamo, in chiesa il
popolo ha un comportamento collettivo: tutti rispondono alle parole del
sacerdote, tutti, seduti, ascoltano le letture della Sacra Scrittura, tutti
stanno in piedi per il Vangelo, tutti si inginocchiano alla consacrazione e,
(cosa che ci addolora!), tutti si alzano per partecipare in processione alla
Comunione - tra questi anche il fariseo e il pubblicano, il penitente e il non
penitente. I singoli fedeli hanno timore di astenersi da questa processione,
poiché in tal modo si espongono pubblicamente come indegni. Questa è la causa
per cui questo abuso è prevalso così presto. Che cosa occorre fare? Bisogna
rinnovare la consuetudine di accedere individualmente alla Comunione per
preservare la libertà di coscienza. La Messa è un’azione comune, ma la
Comunione rimanga individuale.
[00282-01.05] [IN216] [Testo originale: latino]
- S.E.R. Mons. Jean-Pierre
KUTWA, Arcivescovo di Gagnoa (COSTA D'AVORIO)
Mi riferisco - nel mio intervento - al numero 25 dell’Instrumentum Laboris: il
rapporto tra l’Eucaristia e i fedeli.
In Costa d’Avorio costatiamo con stupore che i laici partecipano molto numerosi
alle celebrazioni eucaristiche della domenica, a tal punto che perfino i grandi
edifici religiosi diventano troppo piccoli. Questa partecipazione aumenta
durante le grandi feste liturgiche. Bisogna sottolineare che anche durante la
settimana, in molte parrocchie, il numero dei fedeli che partecipa alla Messa è
in continuo aumento.
Disgraziatamente, questa partecipazione di massa all’Eucaristia spesso si
riduce ai suoi aspetti esteriori. Non tutti comprendono il vero senso che nasce
dalla fede in Gesù figlio di Dio. Fra le molteplici cause di questo stato di
cose, ricordo quella dell’ignoranza della Parola di Dio. La fede non nasce
infatti ascoltando la Parola; non cresce forse a contatto con questa stessa
“Parola che è spirito e vita” (Cf. Gio 6,63)?
Non è un segreto per nessuno che per molti anni la maggior parte dei fedeli non
ha avuto accesso alla Parola di Dio se non attraverso la predicazione degli
agenti di pastorale. Ciò ha portato inesorabilmente a una manifesta ignoranza
della Sacra Scrittura in molti fedeli. San Gerolamo non dice forse “che
ignorare le Scritture è ignorare Cristo”?
Credere in Gesù è accogliere la sua Parola e accettare di metterla in pratica.
Effettivamente l’ascolto e la meditazione della Parola di Dio permette, in un
certo senso, di conoscere la persona del Cristo, assimilarla e amarla al punto
da desiderare di ricevere il suo Corpo come un cervo aspira all’acqua viva.
Che fare allora perché la Parola di Dio sia meglio conosciuta? Bisognerebbe
dare diritto di cittadinanza all’apostolato biblico che ancora non si conosce
in molte parrocchie. Questo per dare ai fedeli l’abitudine a una frequentazione
regolare e assidua della Bibbia. E’ urgente per noi riuscire a suscitare
nell’anima dei nostri fedeli la fame della conoscenza della Parola di Dio.
Leggendo e meditando la Parola di Dio, e impegnandosi a viverla, lo sguardo del
fedele si affinerà e Gesù gli apparirà come il vero pane disceso dal cielo di
cui ha assolutamente bisogno.
Essendo la tavola della Parola e la tavola dell’Eucaristia intimamente
connesse, il mio auspicio è che l’argomento del prossimo Sinodo dei Vescovi sia
sulla Parola di Dio, per entrare più profondamente nel mistero della fede che è
l’Eucaristia.
[00283-01.04] [IN217] [Testo originale: francese]
- S.E.R. Mons. Oswald Thomas
Colman GOMIS, Arcivescovo di Colombo, Segretario Generale della Federation of
Asian Bishops' Conferences (F.A.B.C.) (SRI LANKA)
Sebbene sia stato detto molto sull’aspetto dottrinale dell’Eucaristia dai
venerabili Padri di questo Sinodo, credo che si potrebbe aggiungere qualcosa a
ciò che a tale proposito è stato chiaramente detto nei documenti Eucharistia de
Ecclesia, Redemptoris Sacramentum e Mane nobiscum. Per noi qui presenti è più
importante approfondire gli aspetti pastorali della questione e vedere come
possiamo promuovere questa devozione in modo da rendere il Signore eucaristico
vivo nei cuori e nelle menti dei nostri fedeli nella loro vita quotidiana.
Insieme a questo insegnamento dobbiamo promuovere una testimonianza visibile
della nostra fede nel Signore eucaristico. E ciò deve essere fatto più con le
azioni che con le parole. Si è fatto qui riferimento anche a molti abusi e
aberrazioni nella celebrazione dell’Eucaristia e alla evidente mancanza di
rispetto al Santissimo Sacramento. Naturalmente tali abusi da parte dei
ministri dell’Eucaristia sono destinati a minare la fede della gente e toccano
soprattutto la giovane generazione. Si è fatto riferimento al laicismo e al
relativismo. È un peccato che essi si stiano insinuando perfino in Asia.
Nel rispettare le comuni norme liturgiche, dobbiamo fare uno studio
approfondito dei modelli culturali dei vari fedeli e integrarli nella nostra
liturgia. I modelli culturali differiscono da continente a continente e spesso
da paese a paese. Perciò liturgisti dovranno studiare nelle rispettive aree
questi modelli e integrare nell’adorazione dell’Eucaristia le forme della
massima adorazione.
Il documento non sottolinea un significato molto importante dell’Eucaristia,
che potrebbe portare ricchi frutti pastorali. Questo è la conversione.
L’Eucaristia è una conversione della comunità cristiana e del singolo cristiano
al Corpo di Cristo. Questo nesso tra Corpo eucaristico e Corpo mistico è
illustrato da San Paolo in 1 Cor. 11 e 12. Dobbiamo affermare che questa
trasformazione è lo scopo del mistero eucaristico.
Per concludere, oggi abbiamo il grave problema del fondamentalismo cristiano
che influisce sulla nostra fede nell’Eucaristia. Il Sinodo deve prendere in
esame questo pericolo. Altrimenti sarebbe come piantare un bell’albero - la
nostra fede nell’Eucaristia - mentre un pericoloso virus lo attacca.
[00289-01.04] [IN223] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Fernando R.
CAPALLA, Arcivescovo di Davao, Presidente della Conferenza Episcopale
(FILIPPINE)
Al centro della Liturgia Eucaristica vi è un dinamismo attraverso il quale Gesù
viene rivelato ai suoi discepoli. A partire da questo processo sacro vengono
approfonditi la comunione e l’impegno autentici.
Il dinamismo è costituito da tre movimenti collegati tra loro: a) il movimento
discendente della Liturgia della Parola, b) il movimento ascendente della
Preghiera Eucaristica e c) il movimento discendente della Pace e della
Comunione Eucaristica.
Il primo movimento è analogo alla dinamica del Vangelo di Giovanni, laddove
afferma che il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi (1,
4). In modo analogo Gesù discende nella Sacra Liturgia attraverso le Sacre
Scritture, il celebrante e l’assemblea dei fedeli, proprio come ha fatto nel
corso della sua vita pubblica.
Nel secondo movimento, Gesù ascende insieme con il celebrante e l’assemblea dei
fedeli da dove sono loro a dove è lui, vale a dire al pane e al vino
consacrati, trasformati nel suo Corpo e nel suo Sangue. Qui, sia il celebrante
sia l’assemblea dei fedeli lo contemplano in modo più intenso come dono
autentico in mezzo a loro.
Nel terzo movimento, Gesù discende ancora una volta verso il celebrante e
l’assemblea dei fedeli. Egli porta loro la pace eucaristica e rivela loro la
loro missione come suoi discepoli impegnati.
[00236-01.04] [IN200] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Angel FLORO
MARTÍNEZ, I.E.M.E., Vescovo di Gokwe (ZIMBABWE)
La ZCBC ha tenuto la sua Assemblea Plenaria nello scorso aprile, sul tema: “Nel
nostro cammino di vita, il Signore Gesù è presente alla tavola della Parola e
dell’Eucaristia”. È stata convocata in risposta all’anno dell’Eucaristia e a un
precedente appello del SECAM per celebrare nel 2005 in Africa l’anno della Bibbia.
L’Instrumentum Laboris ci ricorda tutto questo al capitolo 46: “La liturgia
della Parola, in unità con la liturgia Eucaristica, qualifica la celebrazione
come un unico atto di culto...” I numeri da 54 a 56 trattano in pratica lo stesso
argomento.
Le nostre liturgie eucaristiche sono ben frequentate e costituiscono veramente
una festa e una celebrazione, con una partecipazione attiva che viene espressa
con gioia dai fedeli attraverso canti e danze appropriate.
Vorrei sottoporvi qui le principali sfide che i nostri fedeli affrontano, non
tanto di natura teologica bensì di natura pastorale:
1. La prima difficoltà riguarda la disponibilità e l’accesso all’Eucaristia per
molti dei nostri cattolici.
La scarsità di sacerdoti e il fatto che i nostri fedeli sono sparpagliati in
vaste zone rurali e che essi possono disporre di un sacerdote per l’Eucaristia
solamente una volta al mese o due o anche di più.
Ciò sfida la centralità dell’Eucaristia nella vita dei nostri cattolici.
Possono, le nostre comunità rurali che si fondano soprattutto sulla
celebrazione della Parola, essere chiamate comunità eucaristiche? Questo è un
problema interessante che potrebbe essere discusso nei nostri gruppi.
2. La seconda sfida riguarda l’Eucaristia e il matrimonio. Più precisamente la
ZCBC ha pubblicato quest’anno una seconda Lettera Pastorale sull’Eucaristia su
questo argomento, esortando i fedeli ad apprezzare l’importanza dell’Eucaristia
e la sua relazione profonda con la dignità del sacramento del matrimonio,
incoraggiandoli a regolarizzare la loro situazione. Molti cattolici che in
gioventù si accostavano all’Eucaristia non lo fanno più nella loro vita di
adulti a causa di matrimoni irregolari.
3. L’Eucaristia e il sacramento della Penitenza propongono una terza sfida. La
nostra gente comprende il rapporto fra l’Eucaristia e il sacramento della
Penitenza e si accosta spesso a questo sacramento. La penitenza è considerata
come l’atto di lavarsi le mani prima di pranzo, che è una tradizione fra la
nostra gente; e l’Eucaristia è questo pranzo. Nei nostri giovani le nuove
tendenze sembrano non apprezzare la confessione come si faceva prima; questa è
una sfida per i nostri sacerdoti e operatori di pastorale.
4. Per molti dei nostri cattolici l’Eucaristia è prima di tutto un cibo che
trae la propria origine dall’ultima cena del giovedì santo, e non tanto un
sacrificio che abbraccia l’intero mistero pasquale. Bisognerebbe offrire ai
nostri fedeli una catechesi approfondita sull’Eucaristia in quanto sacrificio.
Essi sono certamente in grado di capire questo aspetto alla luce della loro
fede tradizionale.
5. L’Eucaristia e la sua dimensione sociale fra la nostra gente.
La nostra gente deve fare ancora molta strada per vedere l’Eucaristia come una
sorgente e un’esigenza per condividere con gli altri le loro ricchezze e averi
in uno spirito di solidarietà e come espressione della loro comunione con
Cristo e la sua Chiesa, un vero impegno per costruire una società più fraterna
e più giusta.
Come rendere l’Eucaristia più importante per gli ammalati, gli handicappati
fisici e mentali, le minoranze emarginate, i profughi e i rifugiati, ecco
questa è un’altra sfida che ci viene proposta.
“La Chiesa celebra l’Eucaristia e l’Eucaristia costruisce la Chiesa” Ecco la
sfida più grande per tutti noi.
[00238-01.00] [IN202] [Testo originale: inglese]
- S.Em.R. Card. George PELL,
Arcivescovo di Sydney (AUSTRALIA)
Molti Padri sinodali hanno parlato delle difficoltà incontrate dalla Chiesa in
tutto il mondo. Alcune sono causate dai nostri errori.
Il Concilio Vaticano Secondo ha portato grandi benedizioni e progressi
sostanziali, ad esempio la continua espansione missionaria e i nuovi movimenti
e comunità. Ma è stato anche seguito da confusione, un certo declino,
soprattutto in occidente, e sacche di defezioni. Le buone intenzioni non
bastano.
Due settori in declino in Oceania sono rappresentati dal numero delle vocazioni
sacerdotali in Australia e Nuova Zelanda (ma non in tutta l’Oceania) e
dall’evidente confusione nella proliferazione di ministri dell’Eucaristia.
I miei suggerimenti a quest Sinodo su come affrontare queste “ombre” presumono
il mantenimento della Chiesa latina di tradizione antica e la disciplina del
celibato obbligatorio per il clero diocesano e gli ordini religiosi. Perdere
tale tradizione adesso rappresenterebbe un errore gravissimo, che genererebbe
confusione nelle zone di missione e non rafforzerebbe la vitalità spirituale
del Primo mondo. Rappresenterebbe un distacco dalla pratica del Signore stesso,
porterebbe gravi svantaggi pratici all’azione della Chiesa - vale a dire
finanziari - e indebolirebbe il significato di “segno” del sacerdozio;
indebolirebbe inoltre la testimonianza al sacrificio amorevole e alla realtà
dei Novissimi, e il premio in cielo.
Dobbiamo ricordare la situazione della Chiesa 500 anni fa, prima della Riforma.
Era un piccola, debole comunità separata dall’Oriente. L’enorme espansione da
allora e la purificazione dei vertici della Chiesa (imperfetta ma sostanziale)
sono avvenute soprattutto grazie alle vite di suore, frati e sacerdoti celibi.
I recenti scandali sessuali non hanno scalfito questi successi.
Chiedo al Sinodo di mettere a punto un’ulteriore lista di suggerimenti e
criteri per regolare il servizio all’Eucaristia, soprattutto la domenica.
“Liturgie in attesa di sacerdote” sarebbe meglio di “Liturgie senza sacerdote”.
Non esiste qualcosa come “liturgia condotta da laici”, perché i laici possono
condurre soltanto le preghiere devozionali e le para-liturgie. Il suggerimento
dell’Arcivescovo Paolo di Haiti, vale a dire di usare l’appellativo “ministri
straordinari della Santa Comunione” è migliore di “ministri dell’Eucaristia”.
Vorrei appoggiare la proposta di redigere una lista di omelie a tema per l’anno
liturgico. Uno di questi temi dovrebbe essere la natura dell’Eucaristia e il
ruolo essenziale del sacerdozio ministeriale.
I servizi eucaristici o le liturgie della Parola, quando i sacerdoti sono
disponibili, non dovrebbero essere delegati. Queste inutili sostituzioni di
persona spesso non sono motivate dalla fame del Pane di Vita, ma dall’ignoranza
e dalla confusione, se non addirittura dall’ostilità al ministero sacerdotale e
ai sacramenti.
Fino a che punto le celebrazioni regolari dei servizi eucaristici, una domenica
dopo l’altra, rappresentano un autentico sviluppo, o non una distorsione, una
protestantizzazione che rischia di gettare in confusione perfino chi va
regolarmente a Messa?
[00268-01.04] [IN210] [Testo originale: inglese]
- S.E.R. Mons. Joseph
MERCIECA, Arcivescovo di Malta, Presidente della Conferenza Episcopale (MALTA)
Riferimento n. 65 dell’ “Instrumentum Laboris”, “Dalla celebrazione
all’adorazione”: riflessi e conseguenze che il culto eucaristico ebbe sulla
vita eucaristica della Chiesa prima e dopo la Riforma liturgica del Vaticano
II.
L’espressione “culto eucaristico” comprende atti di culto resi all’Eucaristia
al di fuori della Messa, come l’adorazione Eucaristica, le Quarant’ore e la
festa del Corpus Domini, con cui uno professa la propria fede nella divinità di
Gesù, Dio e uomo, nel pane e vino consacrati che restano dopo la comunione e
l’adorazione.
Nei primi tempi l’Eucaristia non sempre era assunta durante la cerimonia
eucaristica. Si conservava dopo la celebrazione per darla in viatico ai malati;
altri ricevevano l’Eucaristia e la portavano nelle loro case. Si trattava in
questi casi di comunione al di fuori della messa ma conservando con essa un
intimo legame.
In seguito, il culto eucaristico si sviluppò distaccandosi dalla celebrazione
eucaristica ed ebbe una sua identità ed autonomia propria. La gente non
partecipava alla messa, era più interessata all’elevazione il più alto
possibile dell’ostia che della celebrazione stessa. La gente aveva bisogno di
vedere Cristo che prima era conservato nel secretarium e di stare in adorazione
silenziosa. Così si verificò il passaggio dalla celebrazione all adorazione.
Il Concilio di Trento, che aveva ribadito contro i Riformatori che nell’ostia
consacrata che avanzava dopo la messa rimaneva il Corpo del Signore che lo si
doveva proporre all’ adorazione del popolo, diede un maggior distacco alla
celebrazione eucaristica.
L’attenzione principale era la presenza di Gesù nell’Eucaristia e quindi
l’adorazione, mentre la celebrazione eucaristica era tenuta in secondo piano.
Si presentò così un’assolutizzazione di un aspetto che, benché essenziale al
ministero di Cristo come è la Sua presenza reale e l’adorazione eucaristica,
non ne coglie la totalità che è espressa nella celebrazione eucaristica.
Questa, infatti, ha la comunità che ascolta la Parola di Dio, la conversione
del pane e vino nel Corpo e Sangue di Cristo, l’offerta al Padre del sacrificio
della croce sull’ altare e la comunione al Corpo di Gesù che fa la Chiesa una e
santa.
Questa situazione ombrosa venne illuminata dalla Costituzione “Sacrosanctum
Concilium” del Vaticano II e da altri documenti pontifici come il documento
“Eucaristiae Sacramentum” et Inestimabile donum. Qui si afferma che la
celebrazione dell’Eucaristia è i l centro di tutta la vita cristiana e che
nella Chiesa tutto deriva, come da fonte, dalle celebrazioni dell’Eucaristia e
tutto conduce e deve condurre ad essa, come suo fine.
Le affermazioni di questi documenti non intendono mettere in dubbio la validità
del culto eucaristico che è stato per moltissimi una delle fonti principali
della loro santificazione. La verità è che la Riforma liturgica intende
collocare il culto eucaristico nella sua propria prospettiva: riconoscere il
posto centrale che deve avere nella vita della Chiesa come mezzo indispensabile
di santificazione. Il suo posto è all’interno della celebrazione eucaristica e
non in parallelo con la messa. Il culto eucaristico non è autonomo e
indipendente dalla Messa, non si sostituisce ad essa, ma le è relativo.
Lungi dal togliere la validità dal culto eucaristico, la Riforma liturgica
raccomanda fortemente il culto di adorazione dell’Eucaristia per i frutti
spirituali che essa comporta.
[00271-01.02] [IN213] [Testo originale: italiano]
- S.E.R. Mons. Zbigniew
KIERNIKOWSKI, Vescovo di Siedlce (POLONIA)
1. I segni liturgici e il pericolo di abusi: uno spettro molto vasto
La liturgia si compie attraverso il linguaggio dei segni (IL 58) anche se è
l’opera di Dio (IL 42). Non c’è un segno più eloquente dello spezzare il pane -
corpo di Cristo e di dividerlo per comunicare nella realtà. Quando nella
liturgia questo gesto viene eseguito bene - naturalmente dopo un’adeguata
catechesi - esso parla direttamente a chi ne partecipa in modo attuale ed
attualizzante.
Si nota vari abusi nella celebrazione eucaristica, soprattutto in riferimento
alla mancata o non sufficiente riverenza nei confronti dell’Eucaristia. Ma
pongo una domanda: non costituisce forse un abuso ogni mancanza nel linguaggio
dei segni quando ai partecipanti nell’Eucaristia si toglie la possibilità che
il Mistero penetri la loro vita spezzando il giogo dell’uomo vecchio? Ancora
più evidente appare questo quando non viene dato il calice per berne?
Avendo fatto l’esperienza del cammino neocatecumenale - dall’inizio alla fine -
posso testimoniare che la celebrazione fatta con attenzione alla Parola e ai
segni, specialmente lo spezzare il Pane e la partecipazione al Calice, fa
miracoli. Ho visto tante persone riconciliate con la loro storia, la
riunificazione dei matrimoni in crisi, tanti coniugi aperti alla vita per
costituire famiglie con numerosa prole, tanti giovani che hanno ritrovato
l’orientamento nella vita secondo il Vangelo e tante vocazioni per la vita
consacrata e per sacerdozio. Il comune denominativo di tutto questo è la
partecipazione nel mistero della Parola e del Sacramento celebrato con
l’abbondanza dei segni.
2. Alcune proposte
1. Propongo che venga assicurata la possibilità di uso della pienezza dei segni
affinché la liturgia possa realizzare il suo carattere e il suo valore
formativo e costitutivo per la vita cristiana.
2. Bisogna dare più attenzione alla catechesi formativa in cui i segni non solo
vengono spiegati didatticamente ma i fedeli o i catecumeni vengano introdotti
nel mistero attraverso la mistagogia.
3. Avere cura che non avvengano degli abusi sia nel senso della mancanza di
riverenza e di negligenze di cui si parla spesso, ma anche quelle nel senso
riduttivo, cioè che viene tralasciato e ignorato ciò che esprime la dinamica
dell’Eucaristia. In particolare osservo:
• È bene quando viene accentuato il carattere e il valore del sacrificio
nell’Eucaristia, ma è male - ed è un abuso, nel senso di mancanza - quando
viene sottovalutato e non si rende presente l’aspetto del banchetto che
comunica e mette in comunione, cioè crea il Corpo.
• È bene quando si sottolinea l’aspetto della reale presenza, ma è male - ed è
un abuso di omissione - quando a causa della riverenza, talvolta forse intesa
male - non si usano i segni come ad esempio la materia del pane che dovrebbe
avere l’aspetto di cibo (ut cibus appareat IGMR 321) e non si concede di bere
dal calice quando questo è possibile (ed è raccomandabile per dilucidiorem
signi sacramentalis formam - IGMR 14, 281).
• È bene valorizzare il momento della consacrazione, ma è male - ed è anche un
abuso - quando viene a mancare una buona espressione della dossologia che
talvolta nelle celebrazioni passa addirittura quasi inosservata; così come
anche la riposta dell’assemblea, cioè acclamazione Amen.
• E similmente è male - ed è anche un abuso - quando non viene preparata e fatta
bene quella parte così essenziale dell’Eucaristia che è la liturgia della
Parola.
• Inoltre è sicuramente male dal punto di vista pastorale ed ecclesiale quando
non viene valorizzato il ruolo dell’assemblea specialmente nell’Eucaristia
domenicale, ma è solo il sacerdote che “dice la messa” - come se facesse un
servizio a un gruppo o addirittura a qualche persona secondo le intenzioni
private prepagate.
[00284-01.05] [IN218] [Testo originale: italiano]
- S.E.R. Mons. Hil KABASHI,
O.F.M., Vescovo titolare di Torri di Bizacena, Amministratore Apostolico
dell'Albania Meridionale (ALBANIA)
Le tre dimensioni della fede cristiana, martyria, liturgia e diakonia,
costituiscono il fulcro dell’essere cristiani e dell’identità cristiana.
D’altra parte, martyria e diakonia trovano nella liturgia la loro essenza,
forza e prospettiva.
Altrimenti come si può pensare che tanti martiri in Albania siano stati per
anni e anni discriminati, arrestati, perseguitati e uccisi perché testimoni
della fede cristiana, senza la forza della fede profonda in Gesù Cristo e nella
sua presenza nell’Eucaristia?
Ancora oggi nella città portuale di Vlora, presso le suore Servite, c’è una
statua di Maria dove il sacerdote ha nascosto le ostie per le suore dopo aver
celebrato clandestinamente la messa a rischio della vita.
L’etimologia della parola greca ‘Eucaristia’ significa ‘ringraziamento’, vale a
dire, in senso teologico, che si tratta del più alto ringraziamento possibile
al Creatore, Salvatore, Pastore e Padre, per tutto ciò che ha fatto e continua
a fare per il mondo, la creazione, e soprattutto per gli uomini e la loro
salvezza. E questo avviene grazie a Nostro Signore Gesù Cristo che sta dalla
nostra parte.
Nell’Eucaristia si realizza una vitale e reciproca relazione tra Dio e gli uomini.
In questo rapporto e incontro, Dio si manifesta davvero come Emmanuele e Buon
Pastore che resta per sempre tra noi e con noi.
Gesù, il Figlio di Dio, ha fatto molto per noi uomini: è venuto tra noi, ha
sofferto per noi, è morto sulla croce ed è risorto. Ma cosa ne avremmo
guadagnato se dopo la sua salita al cielo ci avesse lasciati soli? Che ne
sarebbe stato della sua promessa: “Io sono con voi tutti i giorni...”?
La sua presenza reale nell’Eucaristia è la migliore prova del compimento delle
sue promesse e del suo amore.
Nella celebrazione dell’Eucaristia si esprimono particolarmente l’incontro di
Dio con il suo popolo e l’unità dei cristiani: nella Chiesa universale con il
Papa, nella Chiesa particolare con il Vescovo locale e nella parrocchia con il
parroco, questa unità diventa visibile.
[00286-01.04] [IN220] [Testo originale: tedesco]
- S.E.R. Mons. Fulgence
RABEMAHAFALY, Arcivescovo di Fianarantsoa (MADAGASCAR)
Il mio intervento verte sulla parte terza del capitolo II dell’Instrumentum
laboris: “Ite missa est”.
In questo inizio del terzo millennio in cui la nostra società è molto
movimentata, la vita familiare si disperde facilmente, e la famiglia è la culla
di qualsiasi evangelizzazione, in particolare dell’educazione e della
formazione cristiana. Vorrei esprimere due auspici: a) il sostegno alla
famiglia cristiana b) la formazione dei sacerdoti.
a) La Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, continua a fare degli sforzi sulla
celebrazione liturgica. La liturgia della Parola ha preso il posto delle preghiere
devozionali: rosario, litanie e canti tradizionali diversi. Sicuramente la
celebrazione è più rapida, ma la partecipazione effettiva dei fedeli è molto
ridotta, per dare più spazio alle tre letture e all’omelia domenicale.
Tuttavia, secondo quanto si insegna nella “Familiaris Consortio”, la famiglia è
una piccola chiesa, la culla stessa di ogni comunità. Forse bisognerebbe
approfondire ulteriormente la ricerca liturgica, anche se ciò comporta
conservare la possibilità di mantenere le forme di preghiere devozionali di
ogni famiglia, mettere in evidenza gli scambi e le condivisioni della lettura
del giorno, le preghiere recitate e i canti tradizionali.
È vero che la liturgia consiste molto nell’ascoltare, ma esprimere se stessi
vuol dire che si è già abbastanza ascoltato.
b) Un altro suggerimento che vorrei dare è l’incoraggiamento della famiglia
stessa a concretizzare la preghiera per le vocazioni. I giovani che accogliamo
in seminario sono giovani che hanno superato l’età della pubertà. In pratica, la
loro educazione umana è compiuta. Scopriamo un calo nelle vocazioni sacerdotali
da quando i Seminari Minori ricevono meno finanziamenti da Roma. Le famiglie,
comunque, non possono assicurare una lunga formazione a tutti i loro figli. È
necessario che i seminari continuino rapidamente la formazione spirituale e
dottrinale.
Vorrei anche esortare ogni grande famiglia ad offrire un figlio al servizio di
Dio e del bene della Chiesa. È bene incoraggiare le giovani coppie a chiedere
al Signore che almeno un loro figlio riceva la sua chiamata.
Questa è una missione, un’offerta che tutti noi dobbiamo fare “nostra
eucaristia”.
[00290-01.06] [IN224] [Testo originale: francese]
- S.Em.R. Card. Attilio
NICORA, Presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica
(CITTÀ DEL VATICANO)
Il n. 53 dell’ “Instrumentum laboris” è lodevolmente dedicato al “probatus
Ecclesiae mos” come lo chiama il can. 954 - dell’offerta fatta dai fedeli per
la celebrazione della Santa Messa secondo loro particolari intenzioni.
Spiace di dover rilevare che la pratica del far celebrare Sante Messe in favore
dei vivi o dei defunti, sia in maniera diretta attraverso l’offerta personale
data al sacerdote sia nella forma di disposizioni testamentarie o fondatizie,
si vada rapidamente consumando in molte aree ecclesiali.
In realtà dove questo avviene si perde una positiva occasione di far crescere
il senso della partecipazione sia spirituale che materiale all’Eucaristia e al
dinamismo di carità che ne deriva. Il codice e diversi recenti documenti del
magistero della Chiesa ripropongono infatti con chiarezza i grandi valori che
il gesto dell’offerta può e deve esprimere: è una forma di partecipazione
personale al sacrificio eucaristico riconosciuto nel suo grande rilievo
spirituale; è la privazione di beni propri, in spirito di sacrificio e di
solidarietà, perché sia resa gloria a Dio e siano promossi alcuni fini della
Chiesa; è un modo assai concreto ed utile per concorrere al sostentamento dei
preti e alla realizzazione delle attività apostoliche della Chiesa; può
diventare un mezzo di sostegno per i missionari e per i sacerdoti delle diocesi
più bisognose in un orizzonte di cattolicità vissuta. Per tutte queste ragioni
non stupisce che il decreto della Congregazione per il Clero del febbraio 1991
“Mos iugiter” ricordi il dovere di istruire i fedeli in questa materia mediante
una catechesi specifica, riconoscendone “l’alto significato teologico”. Come
avviene per tanti altri aspetti della tradizione spirituale, se nessuno più ne
parla e ne espone le ragioni e il valore, anche questa prassi è destinata a
consumarsi.
Indubbiamente questa antica prassi è esposta a rischi e ambiguità, e quindi
sono assolutamente necessari la vigilanza dei Pastori e la rigorosa correttezza
da parte dei sacerdoti nel rispetto delle volontà degli offerenti. L’antidoto
migliore contro tali rischi resta in ogni caso la formazione delle coscienze,
che metta in luce il valore autenticamente spirituale di questa forma di
partecipazione eucaristica, totalmente al di fuori di ogni logica
contrattualistica o commerciale, e ne fondi così la pratica motivata,
premurosa, rigorosa.
Come ben sottolinea l’ “Instrumentum laboris” a questo “probatus mos Ecclesiae”
è tradizionalmente connessa anche la pietà verso i defunti: si tratta di un
profilo che pure merita di essere coltivato tra i nostri fedeli, che vivono
ormai, specialmente nel mondo occidentale, in un contesto nel quale si tende a
far scomparire la considerazione del mistero della morte, a trattare il corpo
del defunto come un ingombro, a ridurre a una generica memoria il rapporto
spirituale con lui, che la fede cristiana colloca invece nel quadro e nel
dinamismo della communio sanctorum e nella prospettiva della resurrezione della
carne. La celebrazione di Sante Messe per i defunti assume quindi un grande
valore educativo anche sotto questo profilo.
[00299-01.02] [IN225] [Testo originale: italiano]
- Rev. P. Ottaviano
D'EGIDIO, C.P., Preposito Generale della Congregazione della Passione di Gesù
Cristo
La mia riflessione riguarderà i numeri dell’instrumentum Laboris, -39- Presenza
Reale; -37- Sacrificio, memoriale e convito; -77- Maria Donna Eucaristica.
C’è preoccupazione nella Chiesa per il progressivo allontanamento del popolo di
Dio dall’Eucaristia. La secolarizzazione del mondo attuale è la “zizzania”da
contrastare con il “grano” della Buona Notizia del Primo annuncio.
- Vivificare le comunità parrocchiali e missionarie con catechesi semplici e
chiare sul concetto sacrificale dell’ eucaristia e sulla presenza reale. Aiutarle
ad avere gli occhi del Buon ladrone che vede in Gesù, il Signore. Va oltre le
piaghe, il dileggio, il rifiuto: lo vede Dio, lo vede Re anche se appeso ad una
croce. Credere è andare oltre, è fidarsi di Dio. Riguardo all’osservanza della
disciplina liturgica, se si è innamorati dell’eucaristia il rispetto sarà
spontaneo. È lo stupore ritrovato.
- È da curare maggiormente l’omelia, non di rado sciatta, e da recuperare anche
corsi di Ars dicendi o sacra eloquenza.
L’aspetto sacrificale, memoria passionis, è il cuore del mistero pasquale. Con
Cristo, capo del corpo mistico che è la chiesa, muore e risorge anche la chiesa
ed in senso più ampio l’umanità intera e il cosmo. La passione dell’umanità,
con le ingiustizie subite, la fame, le violenze, si unisce alla Passione di
Gesù e la completa. C’è una profonda relazione tra il mistero dell’eucaristia e
Matteo 25, 31-46, “ho avuto fame, ho avuto sete, ero forestiero, nudo, malato,
carcerato e siete venuti a trovarmi”. “Signore, quando mai ti abbiamo veduto?”
... “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli
più piccoli, l’avete fatto a me.”
Riconoscerlo nell’Eucaristia e non in coloro che soffrono è come dividere
Cristo da se stesso. Una autentica vita eucaristica apre gli occhi e il cuore
per riconoscere Gesù nei “crocifissi” del nostro tempo. S. Paolo della Croce
vedeva scritto il nome di Gesù sulla fronte dei poveri.
Quale il ruolo di Maria nella liturgia Eucaristica? Il seme di senape che è il
suo fiat, ha avuto la sua crescita e germoglierà oltre che a Betlemme anche sul
Calvario. Gesù le donerà una nuova maternità: “Donna, ecco tuo figlio”. Ora
anche i peccatori incalliti avranno una madre in comune con Dio e perfino
Giuda, se lo volesse, avrebbe la più dolce delle madri. Un nuovo mondo nasce
nel cenacolo sotto la Croce. In principio era il Verbo e il Verbo si fece
carne, il Verbo si fece Eucaristia.
E allora è da chiedersi: Maria è “donna eucaristica” che contempla e adora
fermandosi alle soglie dell’eucaristia o con la sua maternità in modo mirabile
e misterioso ne è parte?
Nell’eucaristia è presente Gesù in totalità con il mistero della sua
incarnazione, passione, morte e resurrezione: Si può allora invocare Maria
anche con il titolo di Madre dell’Eucaristia?
[00300-01.03] [IN226] [Testo originale: italiano]
- S.E.R. Mons. Emile
DESTOMBES, M.E.P., Vescovo titolare di Altava, Vicario Apostolico di Phnom-Penh
(CAMBOGIA)
L’Eucaristia è il sacramento della presenza di Cristo morto e risorto. E’ la
celebrazione in memoria del sacrificio redentore di Cristo, unico e definitivo.
In un paese buddista Theravada, l’uomo può salvarsi unicamente da se stesso
contando sui suoi meriti che lo condurranno, attraverso successive rinascite,
al Nirvana, che è la liberazione dalla vita e la fusione con l’assoluto.
Gesù Cristo si è dichiarato via, verità e vita. Per chi Lo accoglie nella fede,
si tratta di lasciarsi amare e amare a propria volta. Dio che è amore ha
inviato suo Figlio, che ha tanto amato gli uomini da donare la propria vita per
riconciliarli col Padre. Questo amore del Padre rivelato a noi nel volto di
Gesù chiama tutti quelli che lo riconoscono a vederlo nel volto di tutti gli
uomini, in modo particolare dei più piccoli: “tutto quello che farete a uno fra
questi piccoli l’avrete fatto a Me”.
[00272-01.04] [IN214] [Testo originale: francese]
- S.E.R. Mons. Zygmunt
ZIMOWSKI, Vescovo di Radom (POLONIA)
È vero che nella parte II capitolo II e nella parte III capitolo I
dell’Instrumentum laboris si parla dei sacerdoti come ministri dell’Eucaristia
e della santità della loro vita. Mi sembra però che nella parte IV di questo
documento si dovrebbe accennare al tema della spiritualità eucaristica dei
sacerdoti e dei seminaristi. “Fate questo”. Cristo Signore non dice solo
“anunciate”, “raccontate”, ma dice “fate”. E questa parola è decisiva.
Il sacedozio è un sacramento di azione. È il sacramento dell’atto salvifico e
redentivo di Cristo, un atto che è stato lasciato in potere degli apostoli nel
Cenacolo: “Fate questo in memoria di me”. L’Eucaristia non rende soltanto
testimonianza a Colui che ci “ha amati sino alla fine”; essa educa ad un tale
amore. L’umanità odierna cerca testimoni della trasfigurazione.
Il Vescovo ricorda al Diacono che riceve l'Ordinazione presbiterale: “Imita ciò
che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore”.
Il sacerdote deve imitare l'Eucaristia che celebra; imitandola, diventa
testimone di Cristo eucaristico. San Tommaso d’Aquino ha scritto: «L'Eucaristia
è come il compimento della vita spirituale, e lo scopo di tutti i sacramenti».
Su queste parole si è basato il Concilio Vaticano II, il quale ha costatato che
“nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa,
cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua”.
1. Spiritualità eucaristica dei Vescovi e dei Presbiteri
L'Eucaristia è la pienezza della vita spirituale, poiché in essa è concentrato
tutto ciò che Cristo ha fatto e vuol fare per gli uomini e con gli uomini.
Perciò l'Eucaristia deve formare la nostra vita spirituale. La spiritualità del
sacerdote dev'essere una spiritualità eucaristica, poiché il sacerdote è
ministro dell'Eucaristia. Ogni cristiano, ma in modo speciale il sacerdote,
dev'essere testimone dell'Eucaristia, cioé essere:
-- Olocausto offerto per gli altri
-- Pane per gli altri
-- Essere sempre con gli altri
2. Spiritualità eucaristica dei seminaristi
Per quanto riguarda l’educazione eucaristica nel seminario il Santo Padre
Giovanni Paolo II ricordava ai seminaristi tre cose:
Nella vita del seminarista e soprattutto nel sacerdozio, non dovrebbe manchare
mai il posto per la preghiera.
Si dovrebbe approfondire la consapevolezza che sui cammini del mondo esce il
Risolto stesso, il quale equipaggia della potenza dello Spirito Santo. Allora
la dedizione a Dio e agli uomini non sarà un peso, ma una fiduciosa e gioiosa
partecipazione all’eterno sacerdozio di Cristo.
La profonda spiritualità eucaristica dei futuri sacerdoti deve approfondire nei
loro cuori il vero spirito missionario. “Ite, misio est”. So bene che il Santo
Padre Benedetto XVI sempre conta su molte vocazioni missionarie dalla Polonia,
paese del Servo di Dio Giovanni Paolo II.
[00285-01.06] [IN219] [Testo originale: italiano]
- S.E.R. Mons. Franjo
KOMARICA, Vescovo di Banja Luka (BOSNIA ED ERZEGOVINA)
Persone eucaristiche - IL n. 76
Eucaristia e pace - IL nn. 83, 84
Nel mio intervento faccio riferimento ai numeri 76, 83 e 84 del IL.
Tra i molti nomi di santi e beati di tutti i secoli citati nel IL vi è anche
quello di un giovano laico, il beato Ivan Merz. E ciò evidentemente non senza
una ragione. Vista la sua attualità desidero dare qualche informazione su di
lui. Nato a Banja Luka, in Bosnia ed Erzegovina, verso la fine del XIX secolo,
ha vissuto per soli 32 anni ed è morto a Zagabria, nel 1928, professore e
insegnante dei giovani e dei laici cristiani.
Vista la sua origine multiculturale, la sua educazione intellettuale e la sua
formazione e la sua attività spirituale, egli riunisce in un’unica persona una
serie di popoli e di Stati europei: insieme alla Bosnia ed Erzegovina e la
Croazia, anche la Repubblica Ceca, la Germania, l’Ungheria, l’Austria, la
Francia e l’Italia.
Autentico europeo cristiano dotato di istruzione elevata ricevuta a Vienna e a
Parigi, è riuscito ad armonizzare la scienza e la fede. È divenuto un apostolo
instancabile della fede viva e dell’amore di Cristo, della Chiesa e del
Successore di Pietro, grazie anche soprattutto all’Azione Cattolica, istituita
da Papa Pio XI.
Quarant’anni prima del Concilio Vaticano II, egli ha testimoniato con il
proprio esempio e ha promosso molte cose della dottrina conciliare sulla
liturgia e sui laici.
In occasione della sua beatificazione, celebrata due anni fa, il Santo Padre
Giovanni Paolo II disse: “Alla scuola della liturgia [...] Ivan Merz crebbe
fino alla pienezza della maturità cristiana e divenne uno dei promotori del
rinnovamento liturgico nella sua Patria. Partecipando alla Messa, nutrendosi
del Corpo di Cristo e della Parola di Dio, egli trasse la spinta a farsi
apostolo dei giovani. Non a caso scelse come il motto ‘Sacrificio - Eucaristia
- Apostolato’”.
Papa Giovanni Paolo II sottolineò che: “Il nome Ivan Merz ha significato un
programma di vita e di azione per tutta una generazione di giovani cattolici.
Deve continuare a esserlo anche oggi!”.
Ai giorni nostri, la figura del beato Ivan Merz è una vera scoperta,
un’autentica ventata di freschezza, non solo per la Chiesa in Europa.
Nel paese natale del beato Ivan Merz, la Bosnia ed Erzegovina, per la loro
fedeltà a Cristo, soprattutto a quello presente nell’Eucaristia, e anche al
Successore di Pietro, per secoli, e fino a tempi recenti, i cattolici hanno
dovuto subire ripetute umiliazioni e persecuzioni. Anche durante le ultime
guerre, negli anni ’90 più della metà dei cattolici è stata cacciata dal Paese
e la maggior parte di loro ancora non ha potuto farvi ritorno. Solo nella mia
diocesi più di due terzi dei fedeli, persone pacifiche e promotrici della
riconciliazione, sono stati sterminati senza ragione, e questo con l’appoggio
dei rappresentanti internazionali.
Quasi un quinto dei miei parroci (7) sono stati assassinati (e a questi si
aggiungono un religioso e una religiosa), perché hanno rivelato la
riconciliazione e l’amore del nemico, predicandoli e testimoniandoli
instancabilmente, perché con i loro fedeli, nonostante le chiese distrutte,
hanno celebrato regolarmente la Messa.
Questi testimoni autentici della fedeltà a Cristo, alla Chiesa, al Vangelo
vissuto e al loro servizio sacerdotale hanno suggellato con il proprio sangue
la loro fede incrollabile nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.
Vogliamo credere che questi sacrifici cruenti dei nostri sacerdoti e dei nostri
religiosi, come pure il sacrificio di molti nostri fedeli laici di un’autentica
“Chiesa crocifissa” del presente in Europa, uniti all’unico sacrificio di Gesù
Cristo, siano fecondi per l’auspicabile riconciliazione, per la pace giusta e
per la salvezza di molte persone nella mia patria e altrove.
[00287-01.04] [IN221] [Testo originale: tedesco]
- S.E.R. Mons. Luigi
PADOVESE, O.F.M. CAP., Vescovo titolare di Monteverde, Vicario Apostolico di
Anatolia (TURCHIA)
Parlo come Vescovo della Chiesa d’Anatolia che ha visto la prima grande
espansione del messaggio di Gesù e nella quale i cristiani sono ormai poche
migliaia.
Nella città di Tarso, patria dell’apostolo Paolo, i soli cristiani sono le tre
suore che accolgono i pellegrini i quali, per poter celebrare l’Eucarestia
nell’unica chiesa-museo rimasta, hanno bisogno di un permesso. Lo stesso vale
anche per la chiesa-museo di San Pietro ad Antiochia.
In questa città è nato Giovanni Crisostomo del quale nel 2007 ricorrerà il 16°
centenario della morte in esilio. Proprio il Crisostomo, con le sue omelie, ci
rammenta che l’Eucarestia è stata ed è il luogo privilegiato della parresia. La
sua memoria, assieme a quella più recente di Vescovi come Clemens Von Galen e
Oscar Romero, è una testimonianza viva del legame tra il memoriale del
sacrificio di Gesù e quanti in esso hanno trovato le ragioni e la forza di un
annuncio fatto con intelligenza, coraggio e senza reticenze.
L’Eucarestia, quale memoriale dell’offerta di Cristo, impone che facciamo
scaturire il nostro annuncio da questo centro e impone che il nostro
insegnamento morale sia fondato su di esso come espressione della sequela di
Cristo.
L’Eucarestia può richiamarci allo specifico della morale cristiana che nasce da
una visione di fede e dove l’agire etico è vissuto come una risposta religiosa.
Da questo punto di vista è importante il richiamo all’esempio dei santi i quali
hanno scoperto quell’ “ancora di più” che la donazione totale di Cristo
nell’Eucarestia sostiene e sollecita.
[00288-01.05] [IN222] [Testo originale: italiano]
- S.Em.R. Card. Marc
OUELLET, P.S.S., Arcivescovo di Québec (CANADA)
L’anno dell’Eucaristia è una rampa di lancio per un movimento eucaristico a
lungo termine che permetterà l’evangelizzazione della cultura partendo dalla
famiglia, chiesa domestica. La crisi antropologica attuale emerge dalla
disgregazione dei rapporti familiari e sociali. Solo l’Eucaristia, fonte di
comunione trinitaria, può rispondere a questa crisi culturale e sociale. La
pratica assidua della Messa domenicale in famiglia è il modo comprovato e
sempre attuale di evangelizzare la cultura e la società. La preparazione del Congresso
eucaristico internazionale a Québec nel 2008 la promuove, alla luce
dell’insegnamento di Giovanni Paolo II che ci ha lasciato in eredità questa
certezza.
[00301-01.04] [IN227] [Testo originale: francese]
I riassiunti degli interventi di altri due Padri sinodali, pervenuti dopo la
chiusura della redazione del Bollettino, verranno pubblicati nel prossimo
Bollettino numero 20.
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