-- RELATIO
ANTE DISCEPTATIONEM DEL RELATORE GENERALE,
S.EM.R. IL SIG. CARD. ANGELO SCOLA,
PATRIARCA DI VENEZIA (ITALIA)
INTRODUZIONE
Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo
I. Stupore eucaristico
II. L’Eucaristia implica evangelizzazione
III. L’Eucaristia e la ratio sacramentalis della Rivelazione
CAPITOLO PRIMO
Il novum del culto cristiano
I. La “logikē latreía” (Rm 12, 1)
II. Il valore del rito eucaristico
III. La celebrazione eucaristica fa la Chiesa
1. Una prima conferma: il Vescovo, liturgo per eccellenza
2. Una seconda conferma: la natura del tempio cristiano
3. Una terza conferma: “Intercomunione”?
CAPITOLO SECONDO
L’azione eucaristica
I. Elementi distintivi della celebrazione eucaristica
1. Indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica
a. Il dono eucaristico: né diritto né possesso
a1. Assemblee domenicali in attesa di sacerdote
a2. Viri probati?
2. Adorazione
3. Atteggiamento di confessione e penitenza
a. I divorziati risposati e la comunione eucaristica
4. Ite missa est
II. Ars celebrandi e actuosa participatio
CAPITOLO TERZO
Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia
I. Due premesse
1. Eucaristia ed evangelizzazione
2. Eucaristia, interculturalità e inculturazione
II. Dimensione antropologica dell’Eucaristia
III. Dimensione cosmologica dell’Eucaristia
IV. Dimensione sociale dell’Eucaristia CONCLUSIONE
L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo
I. Ripresa sintetica
II. Un auspicio finale
INTRODUZIONE
Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo
I. Stupore eucaristico
Quando celebrano l’Eucaristia, “i fedeli possono rivivere in qualche modo
l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “si aprirono loro gli occhi e lo
riconobbero” (Lc 24, 31) 1. Per questo Giovanni Paolo II afferma che
l’azione eucaristica suscita stupore 2. Lo stupore è la risposta
immediata dell’uomo alla realtà che lo interpella. Esprime il riconoscimento
che la realtà gli è amica, è un positivo che incontra le sue attese
costitutive. San Paolo, scrivendo ai Romani, ne spiega la ragione: la realtà
custodisce il disegno buono del Creatore. A tal punto che l’Apostolo ha potuto
dire degli uomini “che soffocano la verità nell’ingiustizia” che sono
“inescusabili” perché “pur conoscendo Dio” - dal momento che “dalla creazione
del mondo in poi le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con
l’intelletto nelle opere da Lui compiute” - “non gli hanno reso gloria né gli
hanno reso grazie come a Dio” (cfr. Rm 1, 19-21).
Incertezza e timore, invece, possono subentrare in un secondo tempo nell’esperienza
dell’uomo, quando, a causa della finitudine e del male, in lui si fa strada la
paura che la positività della realtà non permanga.
Così, da una parte, l’azione eucaristica, come del resto l’intero cristianesimo
in quanto sorgente di stupore 3, si inscrive nell’esperienza umana come
tale. Tuttavia, dall’altra, Essa si manifesta come un avvenimento inatteso e
del tutto gratuito. Nell’Eucaristia si rivela che quello di Dio è un disegno di
amore. In Essa il Deus Trinitas, che in Se stesso è amore (cfr. 1Gv 4, 7-8), si
abbassa nel Corpo donato e nel Sangue versato da Cristo Gesù, fino a farsi cibo
e bevanda che alimentano la vita dell’uomo (cfr. Lc 22, 14-20; 1Cor 11, 23-26).
Come i due di Emmaus, rigenerati dallo stupore eucaristico, ripresero il
proprio cammino (cfr. Lc 24, 32-33) così, il popolo di Dio, abbandonandosi alla
forza del sacramento, è sospinto a condividere la storia di tutti gli uomini.
Giovanni Paolo II con grande lungimiranza, subito fatta propria da Benedetto
XVI, volle prolungare i benefici frutti del Grande Giubileo nello speciale Anno
Eucaristico 4, stabilendo che questa XI Assemblea Generale Ordinaria
del Sinodo dei Vescovi fosse dedicata a L’Eucaristia, fonte e culmine della
vita e della missione della Chiesa. La solenne celebrazione eucaristica con cui
ieri l’abbiamo iniziata nella Basilica di San Pietro, ci ha oggettivamente
aperti a quell’atteggiamento di stupore che, se opportunamente assecondato
durante i nostri lavori, contribuirà a far riscoprire la centralità e la
bellezza dell’Eucaristia alla Chiesa sparsa in tutto il mondo.
Perché l’Eucaristia è l’affascinante cuore della vita del popolo di Dio
destinato alla salvezza dell’umanità intera? Perché essa svela e rende presente
nell’oggi della storia Gesù Cristo come senso compiuto dell’umana esistenza in
tutte le sue dimensioni personali e comunitarie 5. E lo documenta a
livello antropologico, cosmologico e sociale.
“Nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo”
6: nell’Eucaristia questa centrale affermazione conciliare rivela tutto
il suo realismo. Nel pane e nel vino, frutti della terra e del lavoro, è
ricapitolata l’offerta totale che l’uomo, uno di anima e di corpo 7, fa
di sé, dei suoi affetti e del suo operare; è espresso il suo rapporto di
permanente interazione col cosmo e, nello stesso tempo, si documenta la sua
originaria solidarietà con tutti i fratelli uomini, a partire dalla famiglia e
dalle comunità più prossime per giungere fino agli estremi confini della terra.
Nel dono eucaristico è consentito al credente l’accesso alla Verità vivente e
personale che fa “liberi davvero” (cfr. Gv 8, 36). Nell’Eucaristia l’invito di
Gesù “se vuoi essere perfetto” (Mt 19, 21) assume tutta la sua pregnanza.
L’uomo è provocato ad uscire da se stesso verso gli altri e la realtà tutta,
perché sia soddisfatto il desiderio inestirpabile di felicità che porta nel
proprio cuore 8. Nell’Eucaristia Gesù diviene concretamente Via a
quella Verità che dà la Vita (cfr. Gv 14, 6) 9.
In Essa, la Chiesa, realtà nello stesso tempo personale e sociale, diviene
concretamente un popolo di popoli, quella mirabile entità etnica sui generis di
cui parlava Paolo VI 10.
Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa “è l’intero Triduum
Paschale, ma questo è come raccolto, anticipato e ‘concentrato’ per sempre nel
dono eucaristico” in quanto attua “una misteriosa ‘contemporaneità’ tra quel
Triduum e lo scorrere dei secoli” 11. Per questo, da duemila anni il popolo
santo di Dio, a qualunque generazione, ceto, razza o cultura appartenga,
conviene ogni domenica nell’ecclesia eucaristica, confessando pubblicamente la
propria fede. L’Eucaristia, infatti, in se stessa e nella sua connessione con
il settenario sacramentale, svela tutta la portata del mistero della fede
12. Ciò spiega concretamente la ragione per cui anche nei tempi e nei
luoghi di maggior travaglio la Chiesa, sostenuta dallo Spirito, non è mai
venuta meno. Ad impedirlo ha contribuito proprio la prassi bimillenaria
13 di porre al centro l’azione eucaristica domenicale.
Sono questi, in estrema sintesi, i motivi che possono suscitare lo stupore
eucaristico in uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. La presente
Relatio ante disceptationem intende illustrarli un poco. Nel quadro
preparatorio tracciato dai Lineamenta prima e dall’Instrumentum laboris poi,
senza pretesa di completezza, ma senza evitare i principali problemi, essa ha
il solo scopo di aprire il dialogo tra i Padri Sinodali.
Per comodità ne anticipo le articolazioni. Dopo aver fatto riferimento allo
stupore eucaristico, l’Introduzione (Eucaristia: la libertà di Dio viene
incontro alla libertà dell’uomo) evidenzia il nesso dell’Eucaristia con
l’evangelizzazione e con la ratio sacramentalis propria della Rivelazione. Nel
Primo Capitolo (Il novum del culto cristiano) cercherò di mettere in luce la
novità del culto cristiano. Il Secondo Capitolo (L’azione eucaristica) tratterà
dell’azione eucaristica nei suoi elementi distintivi e nel necessario nesso tra
ars celebrandi e actuosa participatio. Un Terzo Capitolo (Dimensione
antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia) vuole mostrare come
l’Eucaristia possieda intrinsecamente una dimensione antropologica, una
dimensione cosmologica e una dimensione sociale. La Conclusione (L’esistenza
eucaristica nel travaglio contemporaneo) offrirà una ripresa sintetica della
materia svolta per terminare con un breve auspicio circa i nostri lavori.
II. L’Eucaristia implica evangelizzazione
I dati raccolti dall’Instrumentum laboris preparato in vista di quest’Assemblea
Sinodale mostrano che la pratica eucaristica è assai varia nelle grandi aree
del globo. Questo ha certamente a che fare con le loro significative differenze
culturali, che si esprimono in maniera evidente anche nella qualità della
partecipazione all’Eucaristia che, a sua volta, è connessa all’autenticità
dell’ars celebrandi.
Un rilievo generale, tuttavia, si impone. Lo spegnersi dello stupore
eucaristico dipende, in ultima analisi, dalla finitudine e dal peccato del
soggetto. Spesso però questo trova un terreno di coltura nel fatto che la
comunità cristiana che celebra l’Eucaristia è distante dalla realtà. Vive
astrattamente. Non parla più all’uomo concreto, ai suoi affetti, al suo lavoro,
al suo riposo, alle sue esigenze di unità, di verità, di bontà, di bellezza. E
così l’azione eucaristica, separata dall’esistenza quotidiana, non accompagna
più il credente nel processo di maturazione del proprio io e nel suo rapporto
con il cosmo e con la società.
L’Assemblea Sinodale dovrà indagare attentamente questo stato di cose e
suggerire i rimedi possibili. Non potrà limitarsi a ribadire la centralità
dell’Eucaristia e del dies Domini. Oggettivamente essa è fuori discussione, ma
la difficoltà sta nel come ridestare lo stupore, generato dall’Eucaristia, nei
tanti battezzati non praticanti (in taluni paesi europei possono superare
l’80%). “Prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia - non dobbiamo
dimenticarlo -, è necessario che siano chiamati alla fede e alla conversione”
14. Sono quindi indispensabili l’annuncio e la testimonianza personale
e comunitaria di Gesù Cristo a tutti gli uomini ai fini di suscitare comunità
cristiane vitali ed aperte. Inoltre la vita di tali comunità domanda una
sistematica formazione al “pensiero di Cristo” (1Cor 2, 16) (catechesi - in
modo del tutto particolare quella riguardante l’iniziazione cristiana dei
bambini e degli adulti -, cultura). Passa attraverso l’educazione al gratuito
(carità, impegno di condivisione sociale). Chiede una comunicazione universale
della vita nuova in Cristo (missione). In una parola i fattori costitutivi
dell’evangelizzazione e della nuova evangelizzazione sono essenziali
implicazioni dell’azione eucaristica.
III. L’Eucaristia e la ratio sacramentalis della Rivelazione
Il Concilio Vaticano II, soprattutto nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum,
ha messo in evidenza il carattere di avvenimento proprio della Rivelazione. Ha
così offerto una solida base dottrinale al realismo eucaristico che solo
garantisce la contemporaneità tra il Triduum salvifico della Pasqua e l’uomo di
ogni tempo. La Costituzione approfondisce l’insegnamento del Vaticano I in
chiave cristocentrica. La Rivelazione si compie e completa nella Persona e
nella storia di Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, crocifisso, morto e risorto
per noi uomini e per la nostra salvezza 15. Nella Sua opera di
redenzione Egli rivela il volto misericordioso del Padre che, mediante la
potenza dello Spirito del Risorto, ci rende figli nel Figlio (cfr. Ef 1, 5).
“Nomen Trinitatis publicando” 16 Gesù Cristo, attraverso il dono totale
della Sua vita innocente, scioglie l’enigma dell’uomo e, in tal modo, valorizza
la sua libertà abilitandolo a decidere su di sé. Gesù Cristo, infatti, domanda
alla libertà di ogni uomo di accogliere, mediante l’obbedienza della fede,
questo Suo dono in ogni atto della propria esistenza (cfr. Ap 3, 20). Tale
accoglienza implica a sua volta, da parte dell’uomo, il dono totale di sé (cfr.
Mt 19, 21). Ne consegue l’esclusione di ogni concezione magica del sacramento
in generale e dell’Eucaristia in particolare.
L’evento unico e irrepetibile del Triduum Paschale è stato da Cristo stesso
anticipato nella Cena con i Suoi, che Egli ha fortemente voluto (cfr. Lc 22,
15). Sedendo a mensa con gli apostoli nel cenacolo, Gesù ha istituito
l’Eucaristia. Attraverso il dono dello Spirito Santo che rende possibile
attuare efficacemente il comando “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19;
1Cor 11, 25), Egli apre al credente di ogni tempo la possibilità di aver parte
alla salvezza.
Nell’azione eucaristica, pertanto, la libertà di Dio incontra effettivamente la
libertà dell’uomo. A partire da questo incontro di libertà il cristiano,
segnato dal riconoscimento del dono di Dio e della comunione con Lui e con i
fratelli, è sospinto a dare a tutta la sua vita una forma eucaristica
17. E questo perché nell’Eucaristia si esprime in modo eminente quella
che Fides et ratio chiama la “ratio sacramentalis della rivelazione”
18. Essa consente al fedele di scoprire che, attraverso tutte le
circostanze e tutti i rapporti di cui è obiettivamente costituita l’esistenza
umana, l’evento di Gesù Cristo chiama la sua libertà ad un progressivo
coinvolgimento con la vita della Trinità. Ad accompagnarlo in questa esperienza
è Gesù stesso: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt
28, 20). Per questo Egli assicura alla comunità cristiana la Sua amorevole
presenza: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”
(Mt 18, 20). Così ha vissuto dall’inizio la comunità primitiva: “Erano assidui
nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella
frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42). E sulla vita di questo popolo
di Dio che attraversa la storia getta una luce sfolgorante la prospettiva
escatologica in cui Gesù ha collocato, fin dalla sua istituzione, l’azione
eucaristica: “Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite
fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Mt 26,
29; Mc 14, 25; Lc 22, 18).
La ratio sacramentalis implicata nel mistero della incarnazione, morte e
risurrezione di Gesù Cristo, mostra che la vita di ogni uomo è obiettivamente
vocazione. Ogni stato di vita 19 - matrimonio, sacerdozio ministeriale,
verginità consacrata - riceve dal mistero eucaristico la radice ultima della
propria forma. Pertanto, nella convocazione eucaristica, ogni credente trova
l’origine ed il senso della propria vocazione che imprime alla sua esistenza
una forma eucaristica.
CAPITOLO PRIMO
Il novum del culto cristiano
Il dato imponente della prassi bimillennaria della celebrazione eucaristica
domenicale, decisivo per la genesi e la crescita delle comunità cristiane di
ogni tempo e luogo, non è casuale. Questo primato dell’Eucaristia come azione
si spiega esaurientemente a partire dalla ratio sacramentalis della rivelazione
da cui sgorga la forma eucaristica dell’esistenza cristiana. Per questo occorre
mettere con decisione al centro dei nostri lavori sull’Eucaristia, fonte e
culmine della vita e della missione della Chiesa, l’approfondimento dell’azione
eucaristica stessa. Questa scelta consente di superare ogni falsa opposizione
tra teologia e liturgia.
I. La “logikē latreía” (Rm 12, 1)
Pur riconoscendo con gli studiosi una certa differenziata continuità
antropologica con i riti propri delle svariate forme religiose, in modo
particolare con i riti sacrificali dell’Antico Vicino Oriente, con le cene
ellenistiche ed in specie con i pasti sacri del giudaismo di epoca ellenistica,
è oggi da tutti riconosciuto che l’Eucaristia di Gesù nell’Ultima Cena ha dato
vita ad un novum.
L’istituzione dell’Eucaristia si inserisce in una cena rituale, il cui contesto
pasquale è ormai accertato (cfr. Mt 26, 19-20; Mc 16-18; Lc 22, 13-14; Gv 13,
1-2) 20, come quella singolare azione mediante la quale Gesù associa i
Suoi alla Sua ora e missione anticipando il sacrificio della Sua Pasqua, strada
definitiva per l’instaurarsi del Regno. Mangiando il Suo Corpo e bevendo il Suo
Sangue, i discepoli sono incorporati a Cristo: in tal modo si attua quella
comunione che costituisce la Chiesa.
Nell’Ultima Cena Gesù Cristo, “parlando ai discepoli anche con parole che
contengono la somma della Legge e dei Profeti” 21, offre Se stesso come
unica vittima proporzionata al Padre (cfr. Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22,
19-20; 1Cor 11, 23ss). In questo atto Egli coinvolge però anche i Suoi, non per
un formale e triste ricordo della Sua persona e della Sua azione, ma per la
permanente ed attiva partecipazione alla Sua offerta dei discepoli fino alla
fine dei tempi: “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19).
Emerge così il vincolo indissolubile che lega l’Eucaristia alla Chiesa e la Chiesa
all’Eucaristia. Non a caso ecclesia è il termine tecnico che, fin dall’inizio,
indica l’azione del riunirsi eucaristico dei cristiani (cfr. 1Cor 11, 18; 14,
4-5.19.28). “La Chiesa vive dell’Eucaristia fin dalle sue origini. In essa
trova la ragione della sua esistenza, la fonte inesauribile della sua santità,
la forza dell’unità e il vincolo della comunione, l’impulso della sua vitalità
evangelica, il principio della sua azione di evangelizzazione, la sorgente
della carità e lo slancio della promozione umana, l’anticipo della sua gloria
nel banchetto eterno delle Nozze dell’Agnello (cfr. Ap 19, 7-9)” 22.
Da quanto detto l’azione eucaristica emerge in tutta la sua forza di fonte e
culmine dell’esistenza ecclesiale del cristiano, perché esprime, nello stesso
tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, la
logikē latreía: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio,
ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è
questo il vostro culto spirituale (tçn logiken latreían)” (Rm 12, 1). In questa
visione paolina del nuovo culto come offerta totale della propria persona -
“Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito” 23 -, è
definitivamente superata ogni separazione tra sacro e profano. Il culto
cristiano non è una parentesi all’interno di un’esistenza vissuta in un
orizzonte profano. Non è neppure un puro atto sacrificale e riparatorio delle
offese o delle prese di distanza dallo sguardo di Dio. Il nuovo culto cristiano
diventa espressione di tutta l’esistenza rinnovata: “sia dunque che mangiate
sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria
di Dio” (1Cor 10, 31). Ogni atto di libertà del cristiano è chiamato così ad
essere atto di culto. Da qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica
della spiritualità cristiana.
In quanto assume l’umano in tutta la sua densità storica l’Eucaristia, vertice
del settenario sacramentale 24, rende possibile, giorno dopo giorno, la
progressiva trasfigurazione dell’uomo predestinato e chiamato per grazia ad
essere ad immagine del Figlio stesso (cfr. Ef 1, 4-5). Si pensi alla
straordinaria efficacia del Battesimo: scopriamo che i figli, incorporati a
Cristo nella Chiesa, sono nostri perché sono figli del Padre nostro che è nei
cieli. La Confermazione svela ai cresimandi, chiamati alla testimonianza, che
gli affetti ed il lavoro ricevono la loro verità dal dono dello Spirito di Gesù
Cristo morto e risorto. Attraverso il sacramento l’esperienza determinante
della vita affettiva, il Matrimonio, viene affidata dalla Chiesa al Signore.
Lui solo è in grado di realizzare il “per sempre” dell’amore che ogni sposa e
ogni sposo, quando ama veramente, ha nel cuore. E non è forse la più umana e
delicata attenzione alla libertà - spesso ferita dal peccato - quella che la
Chiesa ci offre invitandoci alla riconciliazione con Dio e con i fratelli nel
sacramento della Penitenza? Quando poi l’uomo viene ferito nella propria carne
dalla inevitabile prova della malattia, l’Unzione degli infermi esprime la
vicinanza speciale di Gesù che tanto ha patito ed è morto e risorto per noi.
Una vicinanza del tutto particolare se accompagnata dalla regolare possibilità
offerta agli ammalati di ricevere la Comunione e, quando è necessario, il Santo
Viatico. E questo perché noi possiamo prontamente guarire e, in ogni caso, non
perdiamo la speranza di risorgere con Lui e così di reincontrarLo e di
reincontrarci nel nostro vero corpo. Taluni, poi, non per i loro meriti ma per
iniziativa dello Spirito di Gesù, sono presi a servizio del popolo di Dio come
ministri ordinati (sacramento dell’Ordine).
In tal modo la vita liturgica delle nostre comunità non fa altro che
testimoniare come nel concreto snodarsi dell’umana esistenza - nascita, rapporti,
amore, dolore, morte, vita dopo la morte - Gesù si faccia presente a tutti gli
uomini ogni giorno, in ogni situazione 25. Nel quadro tracciato emerge
qui nuovamente la forza della ratio sacramentalis propria del genio cattolico.
II. Il valore del rito eucaristico
In questa visione inaugurata dall’Eucaristia cristiana non solo il culto ma
anche il rito viene ad assumere una fisionomia radicalmente nuova. Quella cioè
dell’azione di Cristo stesso che, col dono del Suo Spirito, ammette i Suoi alla
presenza del Padre per “compiere il servizio sacerdotale” 26.
Per la sua natura di sorgente della logikē latreía l’azione rituale
eucaristica viene ad essere oggettivamente anche la più essenziale e decisiva
di tutte le azioni umane. Nel rito eucaristico infatti fa irruzione, in un
preciso istante del tempo, il significato compiuto della storia, e quindi la
sua verità. In questo modo il rito eucaristico opera una discontinuità nel
succedersi delle vicende quotidiane dell’uomo, ma è proprio nello spazio aperto
da tale discontinuità che l’uomo impara a decidersi per la verità
obiettivamente a lui donata nel rito stesso. Questa scelta avviene nella fede:
si può rapportarsi alla verità donata solo nell’affidamento totale di sé.
Pertanto l’azione eucaristica è fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale
cristiana proprio in forza della celebrazione stessa del rito che, in tutta la
sua sostanziale pienezza, esprime adeguatamente la fede vissuta del popolo
cristiano.
Inserita temporalmente e spazialmente nella trama dell’esistenza quotidiana, ma
nello stesso tempo proveniente “dall’alto” in quanto sacramento, cioè segno e
strumento efficace della grazia divina, l’azione rituale eucaristica diventa
paradigma dell’intera esistenza dell’uomo 27. Il rito eucaristico non è
accidentale rispetto all’esistenza personale e sociale, né estrinseco
all’inevitabile essere dell’uomo per il mondo, ma è centro della vita reale
della nuova creatura (cfr. 2Cor 5, 17; Gal 6, 15). La sua esistenza è
compiutamente umana perciò storica, ma nello stesso tempo, in forza della
memoria eucaristica del Corpo donato e del Sangue versato del Crocifisso
Risorto, essa già vive nella prospettiva eterna della risurrezione (cfr. 1Cor
15, 19-22) 28. Nell’azione eucaristica la liturgia terrestre è
intimamente unita con quella celeste 29. Lo scambio di comunione tra i
vivi e i morti di cui le Messe di suffragio per i defunti sono importante
espressione, costituisce una testimonianza permanente della fede della Chiesa
nel nesso inscindibile tra vita terrena e vita eterna 30.
Questa visione unitaria dell’azione eucaristica come cuore di tutta l’esistenza
cristiana è sempre stata presente nella coscienza ecclesiale.
Dall’immedesimazione con l’azione compiuta da Gesù così come ci è conservata
dal canone biblico, alla traditio che nel suo incessante ritmo di trasmissione
e di recezione la assicura lungo il tempo e lo spazio; dalle variegate forme
liturgiche dei primi secoli, che ancora splendono nei riti liturgici delle antiche
Chiese di Oriente, fino alla predominante fissazione del rito romano; dalle
precise indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di Pio V fino alla
riforma liturgica del Vaticano II: Ogni tappa della vita della Chiesa conferma
che l’azione eucaristica, fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale cristiana,
coincide con il rito sacramentale che genera e compie il culto nuovo e
definitivo (logikē latreía).
La considerazione del rito in tutta la sua pienezza consente di evitare ogni
frammentazione e giustapposizione tra l’azione eucaristica e le esigenze della
nuova evangelizzazione, che vanno dall’annuncio testimoniale in ogni ambiente
dell’umana esistenza fino alle necessarie implicazioni antropologiche,
cosmologiche e sociali che l’Eucaristia obiettivamente mette in campo. Permette
inoltre alla comunità cristiana di perseguire simultaneamente un’accurata
fedeltà alle rubriche liturgiche ed un’attenta duttilità alle istanze di
inculturazione. III. La celebrazione eucaristica fa la Chiesa
Lo stupore eucaristico dei due discepoli di Emmaus riverbera nella meraviglia
dell’azione liturgica della celebrazione eucaristica. Essa è l’atto di culto
chiamato ad esprimere in modo eminente l’unico evento pasquale.
Nell’Ultima Cena Gesù manifesta chiaramente coi Suoi gesti e con le Sue parole
il legame intrinseco tra l’avvento del regno del Padre e il Suo destino
personale (cfr. Mt 26, 29; Mc 14, 25, Lc 22, 15-16; Gv 12, 23-24).
Nell’identificazione trasformatrice del pane e del vino con il Corpo e il
Sangue di Cristo (presenza reale 31), l’Ultima Cena anticipa
sacramentalmente il sacrificio della nuova pasqua come la forma mediante la
quale il Padre compie, nel Figlio e con l’opera dello Spirito Santo, il Suo
disegno redentivo di salvezza: “Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo
diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo
in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice
dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene
versato per voi"” (Lc 22, 19-20). A nessuno sfugge la difficoltà che il
linguaggio sacrificale, impiegato dalla Scrittura e dalla tradizione della
Chiesa 32, incontra nella cultura odierna 33. Tuttavia, se si
vuol rispettare tutta la pregnanza del dono incondizionato che Gesù Cristo fa
di Se stesso, appare oggi urgente riscoprire l’Eucaristia come sacrificio. Gesù
Cristo chiama i Suoi a quella forma integrale di culto (logikē latreía)
che è l’offerta di tutta la propria vita, in cui il cristiano viene plasmato
progressivamente proprio mediante la piena, consapevole ed attiva
partecipazione alla celebrazione eucaristica 34.
L’invito a mangiare il Suo Corpo e a bere il Suo Sangue (comunione) costituisce
la via sicura alla salvezza (cfr. Gv 6, 47-58) 35. Il memoriale
pertanto, in continuità con la pasqua ebraica (cfr. Dt 16, 1ss), possiede la
fisica concretezza dell’assunzione delle specie eucaristiche, al riparo da ogni
riduzione intellettualistica della fede. Il frutto di quest’azione è la
comunione sacramentale con Cristo (cfr. 1Cor 10, 16), resa possibile dall’amore
con cui lo Spirito glorifica la carne del Risorto. Lo stesso Spirito che mosse
Cristo al dono totale di Sé muove i Suoi ad accoglierLo nell’obbedienza della
fede, li muove a permanere in Lui ed a ricevere così la vita come Egli la
riceve dal Padre (cfr. Gv 14, 26; 16, 13).
Questo sacramento è dato per la comunione degli uomini in Cristo. Per Paolo la
koinonia è il frutto dell’Eucaristia mediante la quale i cristiani, incorporati
a Cristo, diventano un solo corpo e partecipano di un solo Spirito (cfr. 1Cor
10, 16-17) 36. Essi costituiscono il nuovo popolo di Dio che, guidato
dai successori degli apostoli cum et sub il successore di Pietro, attraversa la
storia con la speranza certa che Gesù Risorto costituisce la caparra della loro
personale risurrezione (cfr. 1Cor 15, 17-20).
Al di fuori di questa comunione eucaristica e sacramentale la Chiesa non è
pienamente costituita 37: l’Eucaristia fa la Chiesa. Il nuovo popolo di
Dio (corpo ecclesiale) si configura a partire dal Corpo eucaristico di Cristo
che rende sacramentalmente presente il Corpo di Gesù nato dalla Santissima
Vergine Maria 38. Il corpo ecclesiale viene così ad essere realmente
plasmato come corpo di Cristo presente nel tempo e nella storia, in forza del
vincolo che lo lega inscindibilmente con il Corpo eucaristico di Cristo
39. Proprio nella celebrazione rituale dell’eucaristia la Chiesa
realizza la forma stessa della sua identità di popolo radunato dall’amore di
Dio.
1. Una prima conferma: il Vescovo, liturgo per eccellenza
Ciò diventa ancora più chiaro se si guarda alla venerabile tradizione che ha
sempre riconosciuto nel Vescovo il liturgo per eccellenza e l’amministratore
dei sacramenti 40. Il Vescovo non presiede l'eucaristia, in forza di
una ragione meramente giuridica, perché è il “capo” della chiesa locale, ma per
fedeltà al comando stesso del Signore che ha affidato il memoriale della sua
Pasqua a Pietro e agli apostoli. Li ha costituiti fedeli dispensatori dei Suoi
misteri e, in forza di questo, primi responsabili dell’annuncio evangelico nel
mondo intero. Per questa ragione “il Vescovo diocesano è la guida, il promotore
e il custode di tutta la vita liturgica. Nelle celebrazioni che si compiono
sotto la sua presidenza, soprattutto in quella eucaristica, celebrata con la
partecipazione del presbiterio, dei diaconi e del popolo, si manifesta il
mistero della Chiesa” 41. Questo è particolarmente evidente
nell’ordinata concelebrazione eucaristica “che manifesta in modo appropriato
l'unità del sacerdozio” 42. La comunione con il Vescovo è la condizione
perché sia legittima la celebrazione eucaristica in favore del popolo di Dio.
Viene ancora una volta alla luce la fecondità della ratio sacramentalis della
rivelazione: il soggetto ecclesiale (personale e comunitario) non partecipa
compiutamente alla redenzione se non accoglie la modalità sacramentale che
costituisce la forma che Gesù ha scelto per permanere all’interno delle vicende
umane.
2. Una seconda conferma: la natura del tempio cristiano
Una seconda conferma di come in concreto la celebrazione eucaristica fa la
Chiesa è la radicale diversità tra il tempio cristiano e quello pagano o lo
stesso tempio giudaico. Mentre il tempio pagano e quello giudaico erano
caratterizzati dalla presenza della divinità e per tale presenza erano
considerati sacri e sacralizzanti, il “luogo” di culto cristiano consiste in un
certo senso nella stessa azione della celebrazione del mistero. Il vocabolo
ecclesia indica l’azione del riunirsi dei cristiani. Solo come conseguenza è
passato ad indicare il luogo stesso in cui, in tale riunione, si realizza la
presenza divina.
Inoltre mentre nel tempio pagano e, in un certo senso, anche in quello
giudaico, l’incontro dei fedeli è in qualche modo casuale, nel luogo di culto
cristiano esso è costitutivo del tempio stesso. I singoli fedeli sono le pietre
vive del tempio (cfr. 1Pt 2, 5). Lo Spirito è il cemento che li unifica (cfr.
Ef 2, 22).
Questo spiega la cura con cui la Chiesa non cessa di offrire indicazioni in
merito all’architettura e all’arte sacra 43. I templi, infatti, vanno
modellati sull’assemblea liturgica in actu celebrationis, come “epifania” della
communio hierarchica che è la Chiesa.
3. Una terza conferma: “Intercomunione?”
Un problema pastorale assai delicato, legato all’ambito ecumenico, consente
un’ulteriore verifica del fatto che, all’interno dell’inscindibile nesso tra
Eucaristia e Chiesa, la causalità dell’Eucaristia sulla Chiesa (l’Eucaristia fa
la Chiesa) è essenziale e prioritaria rispetto a quella della Chiesa
sull’Eucaristia (la Chiesa fa l’Eucaristia) 44. Questo dato conduce a
sottolineare il peso decisivo dell’Eucaristia nella prassi ecumenica.
Sono noti gli ormai numerosi sviluppi in materia 45. Essi sono, ad un
tempo, conseguenza e causa dell’intenso lavoro ecumenico del XX secolo.
Anzitutto va rilevata la sostanziale comunione di fede tra la Chiesa cattolica
e le Chiese ortodosse in tema di Eucaristia e sacerdozio 46, comunione
che, attraverso un maggiore reciproco approfondimento della Celebrazione
Eucaristica e della Divina Liturgia, è destinata a crescere 47. Si deve
inoltre salutare positivamente il nuovo clima a proposito dell’Eucaristia nelle
comunità ecclesiali nate a partire dalla Riforma. Secondo gradi diversi e con
qualche eccezione anche tali comunità sottolineano sempre di più la decisività
dell’Eucaristia come elemento chiave nel dialogo e nella prassi ecumenica.
Sulla base di questi ed altri dati si può capire che, anche dopo i
pronunciamenti del Magistero in proposito 48, non cessi di porsi la
seguente questione: l’”intercomunione” di fedeli appartenenti a diverse Chiese
e comunità ecclesiali può costituire uno strumento adeguato per favorire il
cammino verso l’unità dei cristiani?
La risposta dipende da una attenta considerazione della natura dell’azione
eucaristica in tutta la sua pienezza di mysterium fidei 49. La
celebrazione eucaristica, infatti, è per sua natura professione di fede
integrale della Chiesa.
Incastonando il sacrificio del Golgota nell’Ultima Cena il Signore realizza la
comunione della Sua Persona con i Suoi discepoli e la rende possibile a tutti i
fedeli di tutti i tempi e luoghi. La partecipazione a tale comunione supera la
capacità dell’amore umano e delle sue pur nobili intenzioni. Mediante l’ascolto
della Parola che si realizza pienamente nell’accogliere l’offerta del Corpo e
del Sangue di Cristo, l’azione eucaristica esprime la pienezza della fede e
l’unità visibile dei fedeli al cui servizio Gesù invia gli apostoli come
sacerdoti e pastori.
Solo in quanto attua la piena professione di fede apostolica in questo mistero
l’Eucaristia fa la Chiesa. Se è l’Eucaristia ad assicurare la vera unità della
Chiesa, una celebrazione o una partecipazione all’Eucaristia che non implichi
il rispetto di tutti i fattori che concorrono alla sua pienezza finirebbe, al
di là di ogni buona intenzione, per dividere ulteriormente e all’origine la comunione
ecclesiale. L’intercomunione, pertanto, non appare come un mezzo adeguato per
raggiungere l’unità dei cristiani 50.
Questa affermazione circa l’intercomunione non esclude che, in circostanze del
tutto speciali e nel rispetto di condizioni oggettive 51, si possano
ammettere alla comunione eucaristica, in quanto panis viatorum, singole persone
appartenenti a Chiese o comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con
la Chiesa cattolica. In questo caso il necessario rigore esige che si parli di
ospitalità eucaristica. Siamo in presenza della sollecitudine pastorale
(storico-salvifica) della Chiesa che viene incontro ad una particolare
circostanza di bisogno di un fedele battezzato 52. In questi casi la
Chiesa cattolica ammette alla comunione eucaristica un fedele non cattolico se
egli lo richiede spontaneamente, manifesta adesione alla fede cattolica circa
il sacramento eucaristico ed è spiritualmente ben disposto.
Le problematiche sottostanti alla inadeguata categoria di “intercomunione” e la
prassi dell’ospitalità eucaristica urgono un’ulteriore riflessione, a partire
dall’intrinseco nesso tra Eucaristia e Chiesa, sul rapporto tra comunione
eucaristica e comunione ecclesiale. In questo senso potrà essere utile che
l’Assemblea Sinodale ritorni su questo argomento.
Nel rispondere all’improcrastinabile urgenza del cammino ecumenico non si deve
tuttavia trascurare la via maestra. Il non poter accedere alla concelebrazione
eucaristica e alla comunione eucaristica da parte di cristiani di diverse
Chiese e comunità ecclesiali e l’eccezionalità dell’ospitalità eucaristica, non
possono essere solo causa di dolore; piuttosto debbono rappresentare un pungolo
permanente per il continuo e comune approfondimento del mysterium fidei che
esige da tutti i cristiani l’unità nell’integrale professione di fede.
CAPITOLO SECONDO
L’azione eucaristica
Dopo aver suggerito taluni elementi di carattere metodologico per spiegare il
novum del culto e del rito cristiano, è ora opportuno considerare da vicino
l’azione eucaristica in se stessa. Anzitutto verranno presi in esame i
principali elementi distintivi della celebrazione eucaristica. In una seconda
parte saranno proposte talune riflessioni sull’ars celebrandi e l’actuosa
participatio.
I. Elementi distintivi della celebrazione eucaristica
Uno sguardo sintetico agli elementi distintivi della celebrazione
dell’Eucaristia rivela la forza dell’armoniosa ed articolata unità del rito
eucaristico. In questa sede non si intende ripercorrere in modo completo la
scansione dei diversi momenti della celebrazione eucaristica, ma limitarsi ad
identificarne il nucleo essenziale: l’indisgiungibile unità di liturgia della
parola e liturgia eucaristica. A partire da quanto esposto fino ad ora la
considereremo nella sua natura essenziale di dono. Di conseguenza però si dovrà
porre in rilievo come, di fronte alla presenza eucaristicamente elargita di
Gesù, i fedeli siano chiamati all’adorazione, e come, davanti a un così grande
mistero, debbano confessare i propri peccati invocando il perdono. Né si
mancherà di far cenno al compito (ite missa est) che per sua natura un simile
dono genera.
1. Indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica
Nell’evoluzione storica che va dall’Ultima Cena di Gesù Cristo all’Eucaristia
di cui ancora oggi la Chiesa vive, il nucleo costitutivo e permanente
dell’azione rituale è dato dalla stretta unità tra liturgia della parola e
liturgia eucaristica 53.
In quest’unità “eulogia” ed “eucaristia” propongono alla fede dei seguaci di
Cristo il mistero pasquale attraverso l’ascolto e la spiegazione delle
Scritture (omelia 54), indisgiungibile dalla ripresentazione del
sacrificio (preghiera eucaristica) che culmina nella comunione con il pane ed
il vino trasformati nel Corpo e nel Sangue di Cristo 55. Lo si vede
nella struttura comparata dei racconti di istituzione, lo si può cogliere
nell’azione di Emmaus, se ne riceve conferma nella descrizione della vita
comune dei primi cristiani che Atti 2, 42 ci offre. Così come, senza soluzione
di continuità, ne dà testimonianza tutta la storia della celebrazione
eucaristica fino a quella delineata nell’attuale Messale.
Da questa indisgiungibile unità emergono alcuni elementi costitutivi dell’unica
Eucaristia di Gesù Cristo che attua la fede dei cristiani.
Innanzitutto il dato che il protagonista dell’azione liturgica è Gesù Cristo.
Egli, concentrando la Sua Persona e la Sua storia nell’evento della Pasqua, si
rivela nello stesso tempo come sacerdote, vittima ed altare.
In quanto sacerdote Gesù Cristo, per la potenza dello Spirito, diviene il
pontefice tra Dio Padre ed il popolo (cfr. Eb 5, 5-10) 56. Come
testimoniano i racconti della Cena, Egli stesso interpreta la Sua missione
sacerdotale oggettivamente nell’eulogia scritturistica e nell’offerta
sacrificale. Ma Gesù è, nello stesso tempo, vittima di propiziazione (cfr. 1Gv
2, 2; 4, 10) e in tal modo il Suo sacerdozio implica il dono totale di Sé che
si manifesta nell’offerta del pane e del vino trasformati nel Suo Corpo donato
e nel Suo Sangue versato (sacrificio 57), cui il popolo fisicamente
prende parte (comunione 58). Questo sacerdote, che è anche vittima,
offre il Suo sacrificio sulla croce 59. Inchiodato sulla croce abbassa
il cielo sulla terra, riconciliando (redenzione) l’uomo con Dio (cfr. Ef 2,
14-16; Col 1, 19-20). La croce conficcata nel Golgota finisce per esprimere
l’intero cosmo e Cristo, sacerdote e vittima, diventa una sola cosa con la
croce cui è inchiodato. Si fa così anche altare cosmico.
La consapevolezza di questo dovrebbe impedire il progressivo affievolirsi del
senso del mistero cui oggi sono esposte non poche comunità cristiane
soprattutto nella celebrazione eucaristica. Per non cadere in una visione
‘sacrale’ certamente non cristiana, si rischia, per così dire, di fare della
liturgia una mera espressione della dimensione “orizzontale” della comunità,
dimenticando quella “verticale”.
Gesù Cristo, unico ed irripetibile protagonista del rito eucaristico, convoca
nello Spirito l’assemblea dei cristiani, chiamata a prendere parte nella fede
(Credo), in modo articolato ed ordinato, ai santi misteri celebrati in suo
favore (Messe pro populo). Nel silenzio, nel dialogo, nel canto, nei gesti
corporei si snoda l’azione eucaristica attraverso la quale all’assemblea dei
fedeli è comunicata la salvezza 60. A proposito di quanto detto si
avverte l’esigenza di un approfondimento della formazione liturgica indirizzata
a tutto il popolo di Dio - la nostra catechesi dovrebbe ricuperare la
fondamentale dimensione mistagogica dei primi secoli - e, in particolare, a
tutti coloro che sono chiamati a svolgere ministeri o uffici durante la
celebrazione (presbiteri, diaconi, lettori, accoliti, ministranti, schola
cantorum).
Nell’articolarsi degli uffici della celebrazione, che si svolge all’interno del
tempio cristiano orientato all’altare, cui sono coordinati l’ambone e la sede,
il sacerdote compie il suo singolare ministero con la particolare assistenza
del diacono. Nel momento decisivo della celebrazione egli agisce in persona
Christi capitis 61 assicurando, in forza del sacramento dell’ordine,
non a caso incastonato da Cristo stesso all’interno dell’istituzione
eucaristica dell’Ultima Cena, ciò che la comune Tradizione dell’oriente e
dell’occidente chiama l’economia sacramentale 62. Essa è opera dello
Spirito Santo invocato durante l’Eucaristia attraverso l’epiclesi perché attui
la conversione sostanziale del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo
63 e perché generi la res eucaristica che è l’unità della Chiesa
64.
Si capisce allora come l’indisgiungibile unità di liturgia della parola e
liturgia eucaristica sfoci nella comunione sacramentale 65, alla quale
i fedeli sono ammessi, con significativo realismo, attraverso l’atto fisico
della processione. Mediante l’assimilazione delle sacre specie, in realtà, come
ha sempre professato la Chiesa, i fedeli sono assimilati a Cristo, a Lui
incorporati, per la loro salvezza 66 e per la salvezza del mondo
67. Tempo e spazio, insopprimibili coordinate della vita dell’uomo,
sono assunti e trasformati dall’azione eucaristica in vista di questa salvezza.
Se la configurazione del tempio manifesta questa trasformazione dello spazio,
la bellezza e l’articolazione dell’Anno Liturgico a partire dal Triduo pasquale
passando per il dies Domini e i tempi liturgici, esprimono eucaristicamente la
redenzione del tempo: esso non è più una successione di istanti destinati a
svanire, ma diventa sacramento dell’eterno.
a. Il dono eucaristico: né diritto né possesso
Il carattere di dono proprio dell’azione eucaristica, che implica il
comunicarsi della libertà del Deus Trinitas, in Gesù Cristo, alla libertà degli
uomini domanda che la sua gratuità non sia mai misconosciuta. Anche se provoca
grande sofferenza, la sua mancanza non conferisce al fedele e al popolo di Dio
alcun diritto all’Eucaristia.
Per la stessa ragione il dono dell’Eucaristia non può mai essere
idolatricamente “posseduto” da parte dell’uomo, non sopporta un’attitudine
quasi gnostica di preteso dominio. Né l’adorazione eucaristica può risolversi
in uno sguardo che pretenda di “comprendere” la latens deitas, anche se Gesù
Cristo, in atto di estremo abbassamento, si lega alla permanenza delle specie.
a1. Assemblee domenicali in attesa di sacerdote
Il problema della scarsità di presbiteri va affrontato con coraggio
nell’orizzonte dell’Eucaristia come dono. Questo stato di cose ha dato luogo ad
un incremento considerevole delle Assemblee domenicali in attesa di sacerdote”
(liturgie della Parola con o senza distribuzione della Comunione, celebrazioni
della Liturgia delle Ore o di devozioni popolari) 68.
In proposito è importante innanzitutto ribadire l’appartenenza di ogni
comunità, soprattutto parrocchiale, ad una diocesi 69. L’Eucaristia non
è mai fatta mancare alla Chiesa particolare. Per questa ragione è buona prassi
pastorale incoraggiare al massimo la partecipazione all’Eucaristia in una delle
comunità della diocesi, anche quando ciò richieda un certo sacrificio.
In secondo luogo è utile sottolineare chiaramente per i fedeli il carattere
propedeutico all’Eucaristia di ogni celebrazione domenicale in attesa di
sacerdote. Là dove una certa mobilità non fosse agevole, la convenienza di
queste assemblee si vedrà proprio dalla loro capacità di accentuare nel popolo
l’ardente desiderio dell’Eucaristia.
I sacrifici e fino all’eroismo compiuti da non pochi cristiani perseguitati per
vivere l’Eucaristia mostrano come la sua assenza non possa mai essere colmata
da altre pur significative forme di culto. Vogliamo in proposito rendere
omaggio alla straordinaria esperienza eucaristica del compianto Cardinale Van
Thuan durante la sua prigionia.
a2. Viri probati?
Per sopperire alla scarsità di sacerdoti, taluni, guidati dal principio salus
animarum suprema lex, avanzano la richiesta di ordinare fedeli sposati, di
provata fede e virtù, i cosiddetti viri probati. La richiesta è spesso
accompagnata dal positivo riconoscimento della bontà della secolare disciplina
del celibato sacerdotale. Essi però affermano che questa legge non dovrebbe
impedire di dotare la Chiesa di un numero adeguato di ministri ordinati, quando
la penuria di candidati al sacerdozio celibatario assumesse proporzioni
estremamente gravi.
È superfluo ribadire, in questa sede, i profondi motivi teologici che hanno
condotto la Chiesa latina ad unire il conferimento del sacerdozio ministeriale
al carisma del celibato. Si impone piuttosto la domanda: questa scelta e questa
prassi sono pastoralmente valide anche in casi estremi come quelli cui si è
fatto cenno?
Sembra ragionevole rispondere in senso positivo. Essendo intimamente correlato
all’Eucaristia, il sacerdozio ordinato partecipa della sua natura di dono e non
può essere oggetto di un diritto. Se è un dono il sacerdozio ordinato chiede di
essere incessantemente domandato (cfr. Mt 9, 37-38). E diventa assai difficile
stabilire il numero ideale di sacerdoti nella Chiesa, dal momento che essa non
è una “azienda” che si debba dotare di una determinata quota di “quadri
dirigenti”!
Sul piano pratico l’improcrastinabile urgenza della salus animarum spinge a
ribadire con forza, soprattutto in questa sede, la responsabilità che ogni
Chiesa particolare ha nei confronti della Chiesa universale e pertanto di tutte
le altre Chiese particolari. Saranno, perciò, di grande utilità le proposte che
in questa Assemblea Sinodale verranno fatte per individuare i criteri di una
più adeguata distribuzione del clero nel mondo. In proposito la strada da percorrere
appare ancora lunga.
Conviene forse anche ricordare che, lungo la storia, la Provvidenza ha
sostenuto il valore profetico ed educativo del celibato anche domandando una
speciale disponibilità per il ministero sacerdotale a realtà di vita
consacrata, nel rispetto del loro carisma e della loro storia. Si può qui
citare la prassi dell’ordinazione dei monaci nelle Chiese orientali o
all’interno della tradizione benedettina 70.
2. Adorazione
Il carattere di dono proprio dell’Eucaristia permette di superare, proprio a
partire da una attenta considerazione del rito della Messa nella sua natura di
azione liturgica, una impropria contrapposizione, creatasi a volte a partire
dall’epoca moderna, tra l’Eucaristia come cibo che deve essere mangiato (convito)
e come presenza divina da adorare.
Se è vero che nel primo millennio l’adorazione eucaristica non si esprimeva
nelle forme da noi oggi conosciute, tuttavia si deve affermare che, fin
dall’origine, essa è stata ben presente alla coscienza del popolo di Dio. Il
secondo millennio ne ha ulteriormente esplicitato il valore, non senza trarre
beneficio dalla controversia sulla presenza reale nel medioevo e da quelle
sulla permanenza di Cristo nelle specie eucaristiche con la Riforma.
Durante l’Ultima Cena, nei commensali la coscienza della concreta presenza di
Cristo, che si identifica con il pane ed il vino consacrati (cfr. Mc 14, 22-24;
Mt 26, 26-28; 1Cor 11, 24-25; Lc 22, 19-20) domandando adorazione, è imponente.
È innegabile quindi che la pratica dell’adorazione eucaristica, così come si
attua oggi nella Chiesa latina, ha reso più evidente un dato che appartiene
all’essenza della fede nel mistero eucaristico 71.
Porre in alternativa il mangiare e l’adorare significa non tener conto
dell’integralità e dell’articolata unità del mistero eucaristico 72. La
Cena eucaristica non è unicamente un pasto in comune, ma è il dono che Cristo
fa di Sé. Partecipare a questo dono mangiando il Suo Corpo implica già un
essersi prostrato con fede in adorazione 73. Pertanto l’adorazione del
Santissimo Sacramento è tutt’uno con la celebrazione da cui proviene e a cui
rinvia 74: “Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione”
75. Questa piena coscienza del valore dell’adorazione deve esprimersi
fin nella rilevanza artistico-architettonica che è dovuto alla custodia della
Santissima Eucaristia nelle nostre chiese 76.
Ovviamente però occorre ribadire con decisione che, come la manducazione, così
anche l’adorazione eucaristica è sempre un’azione ecclesiale 77. Non
può essere concepita come una pratica di pietà individualistica. Adorare Cristo
durante la consacrazione e la comunione ed adorarLo presente nel tabernacolo,
significa riconoscersi e comportarsi come membro del Suo Corpo ecclesiale. Così
quello eucaristico non è un incontro che si esaurisce nell’atto della
manducazione, ma è un incontro permanente, come è permanente, in forza della
presenza eucaristica, la continua venuta del Signore nella Sua Chiesa
78.
Alla luce della natura ecclesiale dell’adorazione si comprende meglio perché la
pietà cristiana abbia unito all’adorazione eucaristica anche la ‘riparazione’
per i peccati del mondo: dinanzi al Signore noi tutti membra del Suo Corpo
siamo responsabili gli uni degli altri 79.
3. Atteggiamento di confessione e penitenza
Ricevere, nella celebrazione eucaristica, il dono del Corpo e del Sangue del
Signore Gesù è l’espressione culminante della sequela di chi si riconosce
discepolo e si lascia introdurre alla comunione con Lui.
La differenza radicale tra Colui che si dona e colui che riceve il dono, ben
documentata dalla sproporzione tra l’incommensurabile ricchezza dell’evento
pasquale e l’estrema povertà delle specie del pane e del vino, apre il fedele
alla coscienza del mysterium tremendum dell’Eucaristia. Non ci si può accostare
ad Essa senza percepire tutta la propria indegnità e senza prepararvisi
invocando il perdono dei peccati 80.
Emerge così non solo il significato dell’atto penitenziale dei riti di
introduzione, reso solenne in casi particolari dall’aspersione con l’acqua
benedetta che richiama il battesimo, ma soprattutto l’intrinseco rapporto tra
l’Eucaristia e il sacramento della riconciliazione 81.
Quando i fedeli, incorporati a Cristo per il battesimo, commettono un peccato
mortale si separano dalla comunione con Lui e con la Sua Chiesa, la cui
espressione piena è la comunione sacramentale 82. Tuttavia il Padre
misericordioso non li abbandona, ma attraverso la medicina voluta da Gesù
stesso 83, li invita alla libera, personale, umile confessione delle
colpe per riaccoglierli con un più intenso abbraccio - attraverso la
contrizione, la confessione dei peccati, l’assoluzione da parte del ministro,
che anche qui agisce in persona Christi capitis, e la penitenza 84 -
nella comunione con Lui che si dilata a tutti i fratelli. Per questa ragione
un’adeguata catechesi eucaristica non può mai essere disgiunta dalla proposta
di un cammino penitenziale (cfr. 1Cor 11, 27-29) 85.
Nell’atteggiamento di confessione affonda le proprie radici anche la venerabile
pratica del digiuno eucaristico, alla quale, in quest’Assemblea, sarà utile
dedicare qualche riflessione.
a. I divorziati risposati e la comunione eucaristica
In quest’ottica merita particolare attenzione la singolare modalità con cui i
divorziati risposati sono chiamati a vivere la comunione ecclesiale.
A nessuno sfugge la diffusa tendenza alla comunione eucaristica dei divorziati
risposati, al di là di quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa.
Bisogna constatare che alla base di questa tendenza non vi è solo
superficialità. Al di là delle considerevoli diversità di situazioni nei vari
continenti, si deve riconoscere che - soprattutto in paesi di lunga tradizione
cristiana - non pochi battezzati si sono uniti in matrimonio sacramentale per
meccanica adesione alla tradizione. Parecchi di questi divorziano e si
risposano. Praticando la vita cristiana taluni manifestano grave disagio e
talora notevole dolore di fronte al fatto che l’unione seguita al matrimonio
impedisce loro la piena partecipazione alla riconciliazione sacramentale e alla
comunione eucaristica. Preziose indicazioni dottrinali e pastorali sono state
offerte da Familiaris consortio e da altri documenti 86. Occorre che
tutta la comunità cristiana sostenga i divorziati risposati nella
consapevolezza di non essere esclusi dalla comunione ecclesiale. La loro
partecipazione alla celebrazione eucaristica consente, in ogni caso, quella
comunione spirituale che, se ben vissuta, fa eco al sacrificio stesso di Gesù
Cristo.
D’altra parte l’insegnamento del Magistero in proposito non è solo teso ad
evitare il dilagare di una mentalità contraria all’indissolubilità del
matrimonio e lo scandalo del popolo di Dio. Ci pone, invece, di fronte al
riconoscimento del nesso oggettivo che unisce il sacramento dell’Eucaristia a
tutta la vita del cristiano e, in particolare, al sacramento del matrimonio
87.
Infatti l’unità della Chiesa, che è sempre dono del Suo Sposo, scaturisce
permanentemente dall’Eucaristia (cfr. 1Cor 10, 17). Perciò nel matrimonio
cristiano, in forza del dono sacramentale dello Spirito, il vincolo coniugale,
nella sua natura pubblica, fedele, indissolubile e feconda, è intrinsecamente connesso
all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (cfr. Ef 5, 31-32)
88. In tal modo il reciproco consenso che marito e moglie si scambiano
in Cristo e che li costituisce in comunità di vita e di amore coniugale ha, per
così dire, una forma eucaristica.
Nella presente Assemblea saranno tuttavia da approfondire ulteriormente e
prestando grande attenzione ai complessi e assai differenziati casi, le
modalità oggettive per verificare l’ipotesi di nullità del matrimonio canonico.
Verifica che per rispettare la natura pubblica, ecclesiale e sociale del
consenso matrimoniale non potrà non avere a sua volta un carattere pubblico,
ecclesiale e sociale 89. Quindi il riconoscimento della nullità del
matrimonio deve implicare una istanza oggettiva che non può ridursi alla
singola coscienza dei coniugi, neppure se sostenuta dal parere di una
illuminata guida spirituale.
Proprio per questo tuttavia è indispensabile proseguire nell’opera di
ripensamento della natura e dell’azione dei tribunali ecclesiastici perché
siano sempre più un’espressione della normale vita pastorale della Chiesa
locale 90. Oltre alla continua vigilanza sui tempi e sui costi, si
potrà pensare a figure e procedure giuridiche semplificate e più efficacemente
rispondenti alla cura pastorale. Non mancano significative esperienze in
proposito in varie diocesi. I Padri sinodali, in questa stessa Assemblea,
avranno occasione di farne conoscere altre.
Resta in ogni caso decisiva l’azione pastorale ordinaria di preparazione
remota, prossima e immediata dei fidanzati al matrimonio cristiano, nonché
l’accompagnamento quotidiano alla vita delle famiglie all’interno della grande
dimora ecclesiale. Infine riveste particolare importanza la cura e la
valorizzazione delle molte iniziative tese ad accompagnare i divorziati
risposati a vivere, nel seno della comunità cristiana, con serenità il
sacrificio obiettivamente richiesto dalla loro condizione.
4. Ite missa est
L’Eucaristia è cibo viatorum per i fedeli in cammino nella storia verso la vita
eterna. Si tratta di una verità che, in particolare, la tradizione liturgica
delle Chiese Ortodosse non ha cessato di riproporre 91. L’azione di
lode e di grazia che si attua nella celebrazione eucaristica, memoriale
sacramentale della Pasqua di Cristo, riempie il fedele di una singolare
gratitudine. Essa non si manifesta solo nel “ringraziamento” devoto dopo la
comunione, che la prassi ecclesiale raccomanda attraverso il silenzio e che può
essere accompagnato dal canto meditativo, ma si esprime pienamente nel mandato
a dilatare questa comunione a tutti i fratelli uomini. Questo esito missionario
della partecipazione eucaristica non ha anzitutto il carattere di un “dovere”,
ma quello della testimonianza gratuita della progressiva trasformazione di
tutta la propria esistenza resa possibile dal dono sacramentale, accolto
dall’umana libertà, a favore di tutti 92.
La testimonianza viene allora a coincidere con quella logikē latreía
mediante la quale la comunione con Cristo investe tutte le circostanze e tutti
i rapporti che si instaurano negli ambiti dell’umana esistenza. Nella vita
passata e presente della Chiesa, figura emblematica di una tale testimonianza è
il martire. Come Cristo stesso egli, per pura grazia, fa della consegna
eucaristica della propria vita un’offerta gradita al Padre.
In tal modo e con naturalezza l’Eucaristia attraversa e trasforma la storia
personale, comunitaria e sociale. In questo consiste primariamente la missione
evangelizzatrice della Chiesa 93.
II. Ars celebrandi e actuosa participatio
Da questa visione centrata sull’Eucaristia come azione ecclesiale che si
esprime nell’unità del rito eucaristico - il cui cuore è la liturgia della
parola intrinsecamente ordinata a quella eucaristica 94, dono accolto
in spirito adorante, che domanda un atteggiamento di confessione ed urge alla
missione -, emerge un dato che merita di essere rimarcato con decisione.
Affermare che l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della
Chiesa significa anzitutto riconoscere la necessaria obbedienza della Chiesa
stessa nei confronti del sacramento eucaristico. Vi si esprime il primato della
traditio sulla receptio: nell’Ultima Cena l’iniziativa è di Gesù che si
consegna ai Suoi; nel passaggio dalla Cena alla liturgia ecclesiale Paolo ci
attesta che egli tramanda ciò che ha ricevuto (cfr. 1Cor 11, 23); nel
differenziarsi dei riti e nel susseguirsi delle riforme liturgiche il criterio
guida è sempre quello del primato della traditio 95. Pertanto in ogni
celebrazione eucaristica la comunità vive l’esperienza che fu già degli
apostoli nel cenacolo: i fedeli sono chiamati a ricevere Colui che si dona.
Questo elemento costitutivo dell’azione eucaristica conduce ad una conseguenza
pastorale decisiva: la necessità di superare ogni dualismo tra l’ars celebrandi
e l’actuosa participatio. La partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa del
popolo di Dio 96 - soprattutto in occasione del precetto domenicale -
coincide infatti con l’adeguata celebrazione dei santi misteri. Ancora una
volta viene in primo piano il carattere di dono proprio dell’Eucaristia. Se si
cura e quando si cura oggettivamente l’arte della celebrazione la
partecipazione può diventare veramente plena, conscia ed actuosa 97. Si
tratta di obbedire al rito eucaristico nella sua straordinaria completezza,
riconoscendone la forza canonica e costitutiva dal momento che, non a caso, da
duemila anni assicura l’esistenza della Santa Chiesa di Dio.
Questo criterio deve orientare, nel rispetto delle svariate sensibilità
culturali, le modalità con cui sollecitare la partecipazione di tutti i fedeli
al rito stesso. Per non ridursi a mera ripetizione di formule e di gesti, essa
domanda la consapevole offerta di sé da parte di ogni fedele che attua in tal
modo il sacerdozio battesimale del popolo di Dio. In questo contesto si
comprende anche la preziosa utilità delle norme liturgiche che la Santa Sede,
le Conferenze Episcopali e gli Ordinari mettono a disposizione delle Chiese.
Nel quadro tracciato vanno intesi e vissuti anche tutti i ministeri e gli
uffici connessi al rito liturgico. La loro funzione non è quella di gratificare
chi li svolge come suggerisce un’impropria idea di partecipazione attiva dei
fedeli, invero assai esteriore. La loro azione essenziale ha come scopo di
assicurare a tutta l’assemblea la bellezza e la dignità oggettiva della
celebrazione 98.
Senza poter entrare negli importanti problemi specifici, in questa relazione
sarà utile richiamare che anche l’arte posta a servizio dell’azione eucaristica
- soprattutto per quanto riguarda gli arredi sacri 99 -, così come i
canti e la musica, ricevono a loro volta piena luce dall’ars celebrandi.
Concorrono all’actuosa participatio se rispettano questa oggettiva ars
celebrandi 100.
CAPITOLO TERZO
Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia
I. Due premesse
La considerazione del rito eucaristico come azione sacramentale che sola è in
grado di rendere ragione dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita e
della missione della Chiesa, non sarebbe completa se non si mostrasse la sua
forza di trasformazione della vita personale e comunitaria dei fedeli e,
attraverso di essa, la sua fecondità nei confronti di tutta la famiglia degli
uomini e dei popoli. In altre parole l’Eucaristia, conferendo all’esistenza
cristiana forma eucaristica, influenza non solo le persone e le comunità
ecclesiali, ma attraverso di esse anche le società, le culture, così come
determina l’interazione dell’uomo con il cosmo.
1. Eucaristia ed evangelizzazione
L’unicità dell’evento pasquale, che dà origine all’intrinseca unità di
Eucaristia e Chiesa documentata in quell’unitario atto di culto che è il rito
eucaristico, genera anche la profonda unità tra la vita e la missione del
cristiano e quella della Chiesa tutta. La testimonianza comune del gratuito e
soddisfacente incontro con Cristo sfocia nell’annuncio e nell’invito a tutti i
fratelli uomini, nessuno escluso, a prendere parte alla vita della comunità
cristiana. Perseguendo nella comunità l’educazione alla gratuità, al pensiero
di Cristo e all’universalità, i cristiani sono spinti ad impegnarsi con tutti
gli uomini a livello culturale, ecologico e sociale.
Così concepita la vita quotidiana del soggetto cristiano (spiritualità
eucaristica), sempre personale e comunitario, attua in concreto
l’evangelizzazione e la nuova evangelizzazione in cui è sempre implicata la
promozione umana. 2. Eucaristia, interculturalità e inculturazione
L’evangelizzazione, per la natura dell’uomo e in forza del dinamismo
dell’Incarnazione, è sempre storicamente situata ed è chiamata ad interagire
con le più diverse culture. Si capisce bene pertanto la cura che, dopo il
Concilio Vaticano II, è stata posta dalle varie Chiese al processo di inculturazione
dei riti liturgici. Tale urgenza è stata ribadita dal Magistero molte volte
negli ultimi decenni 101. Vale la pena ricordare che la condizione
decisiva per il necessario sviluppo di questo importante processo che, per sua
natura, richiede di essere sottoposto a continua verifica, è il riconoscimento
previo della originaria interculturalità dell’evento celebrato. La celebrazione
eucaristica ripresenta l’evento pasquale che pone, per se stesso, le condizioni
della sua comunicabilità a tutte le culture umane. Essa è resa possibile dalla
universale singolarità della Persona e della storia di Gesù Cristo che proprio
attraverso l’incarnazione assume l’intera condizione umana. Per esprimere la
dimensione interculturale dell’Eucaristia è prezioso - soprattutto in occasione
di grandi celebrazioni internazionali o nelle Chiese dove sia rilevante
l’afflusso di visitatori stranieri - l’impiego della lingua latina.
Nel rispetto di questa prospettiva, l’uso delle lingue vernacole ed il
ponderato ricorso a forme espressive peculiari nel rito, nei templi, negli
arredi e nei canti per celebrare l’azione eucaristica, che deve rimanere in
ogni caso sempre ed a qualunque latitudine l’unica Eucaristia istituita da
Cristo 102, possono diventare feconda e paradigmatica espressione della
necessità dell’inculturazione per l’evangelizzazione 103.
Se condizione per l’inculturazione è il riconoscimento dell’interculturalità
del mistero celebrato, allora per sua natura ogni inculturazione implica una continua
evangelizzazione della cultura stessa. Questa non sarà priva di un’inevitabile
istanza “critica” nei confronti della cultura in cui una determinata comunità
cristiana si trova a vivere e a celebrare.
Nell’equilibrato nesso tra evangelizzazione e inculturazione assicurato dalla
natura interculturale dell’Eucaristia, trova spazio anche il dialogo
interreligioso 104. Si tratta di un momento intrinseco alla fede della
comunità cristiana decisivo in contesto missionario e soprattutto nel popolato continente
asiatico. In questo ambito conviene guardare con attenzione alle Chiese di
Oriente per trarre profitto dalla loro esperienza.
II. Dimensione antropologica dell’Eucaristia
Se l’Eucaristia è il dono dell’incontro sacramentale tra l’uomo e il Dio di
Gesù Cristo che rende “liberi davvero” (Gv 8, 36), allora tale evento possiede
per sua natura una fondamentale dimensione antropologica.
La trasformazione dell’esistenza ad opera dell’azione eucaristica si documenta
anzitutto nella tensione dei cristiani alla sequela di Cristo. Più volte san
Paolo afferma che l’esistenza della nuova creatura si svolge tutta in Cristo
(cfr. Rm 6, 11; Gal 2, 20) 105. Nella comunione al Corpo e al Sangue di
Cristo il Deus Trinitas viene incontro all’uomo. La Sua irruzione nel
quotidiano offre all’uomo la possibilità di non farsi richiudere nella propria
finitudine e nel proprio peccato.
Questo dono personale si espande con naturalezza nella comunione tra i
cristiani: l’unità della Chiesa è, come abbiamo già ricordato, la res del
sacramento. Come documentano le narrazioni neotestamentarie circa la comunità
primitiva, la genesi sacramentale assicura l’oggettività della comunione che
tende a permeare tutti gli aspetti spirituali e materiali dell’esistenza dei
cristiani (cfr. At 2, 42-44; 4, 32-33)106.
Dottrina, morale, ascesi e spiritualità non sono espressioni di una generica
religiosità, ma in forza della loro radice eucaristica, diventano articolazioni
unitarie del compiersi del disegno di Dio su ogni persona e su tutta la storia:
“fare di Cristo il cuore del mondo” 107. In tal modo tutta la vita è
concepita come vocazione e questo consente quell’imitatio Christi testimoniata
lungo i secoli dai santi nei diversi stati di vita. L’esistenza cristiana trascorre
sulle orme di quella del Maestro, tesa all’eternità eppure responsabilmente e
costruttivamente attenta ad ogni risvolto della storia 108.
Annuncio e testimonianza, catechesi, educazione cristiana personale e
comunitaria, condivisione con l’uomo e le sue espressioni fatte di affetti, di
lavoro e di riposo, fino ad affrontare delle scottanti questioni antropologiche
che oggi scuotono l’humanum (amore, matrimonio, famiglia, vita, malattia e
morte), sono per il cristiano aspetti obiettivamente implicati nella
celebrazione eucaristica domenicale.
III. Dimensione cosmologica dell’Eucaristia
Nell’azione eucaristica, che in ultima istanza poggia sull’unità in Cristo Gesù
di sacerdote, vittima ed altare, la nuova creatura è condotta a rinnovare
continuamente il suo rapporto con la materia e col cosmo 109. San Paolo
mette in evidenza la relazione tra il fecondo travaglio della nuova creatura e
quello della nuova creazione (cfr. Rm 8, 19-23; 2Cor 5, 17). Travaglio
antropologico e travaglio cosmologico sono uniti nella sempre incombente
prospettiva escatologica. È importante evidenziare la dimensione cosmologica
dell’Eucaristia, come documenta fin dall’antichità l’orientamento stesso del
tempio cristiano.
La forma eucaristica dell’esistenza consente di evitare alla radice, almeno in
linea di principio, due gravi rischi che comprometterebbero pesantemente il
rapporto uomo-cosmo.
Da un lato quello di un antropocentrismo esasperato che fa dell’uomo il padrone
assoluto del creato. Nella presentazione dei doni (i frutti della terra e del
lavoro umano: il pane e il vino a cui si unisce l’acqua) si esprime
esplicitamente che i protagonisti del rapporto uomo-creato non sono
semplicemente due, la comunità degli uomini ed il cosmo, ma tre. Confermando
quanto già contenuto nel secondo racconto della creazione (cfr. Gn 2, 4b-25) vi
è un Terzo che mette in relazione uomo e creato: Dio che, fin dall’inizio, pose
l’uomo nel “giardino” perché lo coltivasse e lo custodisse. Uomo e cosmo sono
uniti nell’unica historia salutis guidata da Dio. Nella redenzione, Cristo apre
la prospettiva della glorificazione finale all’uomo e al cosmo, ridimensionando
definitivamente ogni pretesa antropocentristica.
Dall’altro lato l’equilibrato rapporto tra Dio, uomo e cosmo - esplicitato dall’Eucaristia
- esclude ogni biocentrismo o ecocentrismo che conduca ad eliminare la
differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi
110.
La dimensione cosmologica dell’Eucaristia trova un emblema assai significativo
nella vita di san Francesco d’Assisi. Il famoso Cantico di frate sole appare
come una documentazione potente, poeticamente efficace, della posizione
dell’uomo che vive una esistenza determinata eucaristicamente e che, per
questo, sa riconoscere ogni creatura nel suo nesso con Dio: “Laudato sii mi’
Signore cum tucte le tue creature”. La coscienza di san Francesco esprime
l’atteggiamento di gratitudine a Dio per e con tutte le cose. Gratitudine che
egli impara proprio nel mistero eucaristico, di cui nel suo tempo non a caso fu
mirabile cantore e difensore, in obbedienza ai decreti del Concilio Laterano IV
111.
La dimensione comunitaria dell’azione eucaristica consente inoltre ai cristiani
di non dimenticare che il creato-cosmo è un bene comune ed universale e che
l’impegno verso di esso si estende non solo alle esigenze del presente, ma
anche a quelle del futuro. Pertanto la responsabilità verso il creato prende la
fisionomia di una cura verso questa nostra dimora che in un certo senso
prolunga il corpo, e deve trovare adeguate traduzioni a livello educativo,
sociale e giuridico che ne rispettino il valore simultaneamente di dimora e di
risorsa 112.
Anche il tempio cristiano ed in esso la cappella o l’ambito riservato alla
custodia e all’adorazione con il tabernacolo, esprimendo la cura per la dimora
del Corpo eucaristico ed ecclesiale di Gesù Cristo, possono diventare preziose
risorse educative dell’assemblea ecclesiale ad un corretto rapporto tra l’uomo
ed il creato.
IV. Dimensione sociale dell’Eucaristia
Il dono totale di Sé, assicurato eucaristicamente da Cristo all’uomo di ogni
tempo, è per la salvezza di tutti. In questo senso l’Eucaristia è per il mondo.
I Vangeli sinottici ricordano nella decisiva parabola del buon grano e della
zizzania che l’impegno del seguace di Cristo ha come campo il mondo (cfr. Mt 13
38). Balza così agli occhi come l’Eucaristia possieda un’intrinseca dimensione
sociale inseparabile da quella cosmologica ed antropologica.
La storia della Chiesa, ricca di opere di carità e fermento creativo di
istituzioni di rilevanza civile e politica, lo documenta con dovizia di
elementi. Né mancherà, nei lavori di questi giorni, l’occasione per averne
ulteriore conferma dalle Chiese particolari qui rappresentate.
La carità è essenzialmente eucaristica 113, così come l’Eucaristia è
carità 114. L’elemosina che i fedeli compiono in occasione della
celebrazione domenicale indica con chiarezza l’importanza di questo nesso. Tra
le innumerevoli testimonianze di santità legate alla carità vogliamo ricordare
quella della Beata Teresa di Calcutta. Il suo carisma, profondamente marcato
dal rapporto con il sacramento eucaristico, seppe riconoscere l’amore di Cristo
come sorgente inestinguibile di condivisione nei confronti dei moribondi più
miseri ed abbandonati.
Nel frangente attuale, contrassegnato dalla violenta transizione dalla
modernità ad una nuova configurazione culturale e geopolitica
(post-modernità?), le urgenze sociali, cui il cristiano che vive la propria
esistenza in forma eucaristica deve far fronte, appaiono particolarmente acute
e differenziate. La globalizzazione, la società delle reti, i nuovi orizzonti
aperti dalle bio-tecnologie e il processo di inevitabile mescolanza tra popoli
e culture, purtroppo accompagnato da guerre, terrorismo e violenze disumane,
rendono improrogabile l’urgenza di giustizia sociale e di pace.
La situazione di povertà e, non di rado, di endemica miseria, cui un’ampia
fetta della popolazione del globo, soprattutto in Africa, è condannata, costituisce
una ferita che inesorabilmente giudica l’autenticità con cui i cristiani di
ogni latitudine vivono l’Eucaristia. Riunirsi ogni domenica, in qualunque luogo
della terra, per aver parte allo stesso Corpo e allo stesso Sangue di Cristo,
impone il dovere di una lotta tenace a tutte le forme di emarginazione e di
ingiustizia economica, sociale e politica cui sono sottoposti i nostri fratelli
e sorelle, soprattutto i bambini e le donne. Le forme di questa lotta esigono
criteri adeguati derivanti dal proporzionato rapporto tra carità e giustizia
che fin dai tempi apostolici l’Eucaristia ha reclamato come necessario per la
vita associata (cfr. 1Cor 11, 17-22; Gc 2, 1-6). La comunità cristiana,
cosciente della sua singolare natura, deve continuare, con appropriate analisi
e operando le debite distinzioni, a cercare i mezzi adeguati per far fronte ad
un male che oggi ha assunto dimensioni planetarie e più che mai grida vendetta
al cospetto di Dio (cfr. Gen 4, 10).
Appare evidente che l’affronto di una questione così rilevante, come quella
della giustizia sociale, non può essere disgiunto dall’instancabile dovere di
perseguire la pace. Del resto il rapporto pace-Eucaristia, ben espresso nel
rito latino dall’abbraccio fraterno che precede la comunione, si fonda sull’incrollabile
convinzione che “Cristo stesso è la nostra pace” (Ef 2, 14). La radice
eucaristica dell’azione del cristiano per la pace lo porrà al riparo da due
gravi insidie in proposito. Quella del pacifismo utopico, da una parte, e
quella di una sorta di Realpolitik che considera inevitabile la guerra,
dall’altra. La pace invece è un compito difficile e gravoso che ci sta sempre
davanti e va pazientemente perseguito ogni giorno nella propria persona e in
tutti i rapporti, cominciando da quelli familiari, per passare dalle comunità
intermedie, fino a giungere a quelle internazionali.
Queste decisive implicazioni sociali dell’azione eucaristica richiedono il
contributo dei cristiani per l’edificazione di una società civile, nelle
diverse aree culturali dell’umanità. Basandosi sui principi di solidarietà e di
sussidiarietà, costitutivi dell’insegnamento sociale della Chiesa, i cristiani
promuovono una società civile che poggi sulla dignità e sui diritti della
persona, anzitutto sul diritto alla libertà religiosa, e su quelli di tutti i
corpi intermedi, in particolare della famiglia.
Nella stessa direzione i cristiani contribuiscono, con tutti gli uomini di
buona volontà e nel rispetto della natura oggi per lo più plurale delle
società, alla promozione di istituzioni statali e internazionali che
favoriscano un buon governo. Oltre a promuovere e regolare una vita buona a
livello delle singole nazioni, queste debbono concorrere all’ormai
improrogabile necessità di costruire un nuovo ordine mondiale basato su regole
condivise e vincolanti che garantiscano a tutti i popoli la possibilità di uno
sviluppo equilibrato ed integrale delle risorse naturali e umane.
CONCLUSIONE
L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo
I. Ripresa sintetica
Nell’incontro di libertà che l’azione liturgica propizia, da duemila anni nel
rito eucaristico per l’uomo si rinnova, con particolare intensità, l’esperienza
dello stupore. Proprio nell’attuarsi del rito, per l’abbassamento del Figlio
morto in croce e risorto e attraverso il dono dello Spirito, il Padre si
mostra, si dona e si dice all’uomo. Nell’eulogia e nell’eucaristia,
nell’ascolto della parola e nella consumazione del sacrificio, il fedele
adoratore del Dio vero, dopo il confiteor, è ammesso a comunicare al Corpo che
redime in forza dell’irrepetibile avvenimento della Pasqua di Gesù, ed è
inviato a testimoniare la redenzione al mondo intero.
L’Eucaristia diviene simultaneamente fonte e culmine della vita e della
missione della Chiesa nell’azione stessa in cui viene celebrata. Evento
pasquale, Eucaristia e Chiesa realizzano in tal modo la forma concreta mediante
la quale, lungo la storia, la Trinità viene incontro agli uomini per salvarli.
Le meraviglie della grazia divina sono racchiuse nelle sacre specie del pane e
del vino convertite nel Corpo e nel Sangue di Cristo. In esse il Figlio di Dio,
umanato, “passo” e risorto, resta volontariamente consegnato in attesa del
libero coinvolgimento dell’uomo. La Chiesa celebra questi misteri, si alimenta
a questo cibo celeste e lo adora riconoscendo in Gesù sacramentato la Via alla
Verità e alla Vita.
L’uomo che per grazia accoglie questo dono fa ogni volta una singolare
esperienza. La misericordia amorevole della Trinità irrompe nel susseguirsi
meccanico degli instanti del suo tempo, vi opera una benefica discontinuità che
lo provoca ad una decisione. Accorgendosi allora dell’abissale differenza tra
l’infinita libertà di Dio che si dona eucaristicamente e la pochezza dell’umana
libertà il fedele si abbandona a Cristo, trasforma la sua esistenza in offerta
vivente.
Questa assume una vera e propria forma eucaristica a livello personale e a
livello sociale. La fisionomia del cristiano e della comunità dei fedeli vive
di questa forma eucaristica che progressivamente trasfigura i ritmi dell’esistenza
personale, mentre contribuisce all’edificazione di una vita buona anche a
livello sociale. Il nascere, il crescere, l’educare, l’amare, il soffrire e il
morire sono segnati dalla potenza eucaristica che si articola in tutto il
settenario sacramentale e, in forza dell’Eucaristia, la vita dei cristiani e
delle comunità trae benefico influsso dall’accoglienza dei doni dello Spirito,
dall’incremento delle virtù, dalla scoperta che i comandamenti di Dio,
autenticamente obbediti, sono il compimento dell’amore. Si rinnova in
profondità il rapporto dell’uomo redento con il cosmo, mentre con energia
sempre risorgente i cristiani sono sospinti ad un radicale impegno per la
giustizia sociale e per l’edificazione della pace.
Soprattutto in questo tempo di singolare travaglio in cui versano tutte le aree
culturali del mondo, il cristiano che vive la propria esistenza comunitaria in
forma eucaristica, si fa instancabile annunciatore e testimone di Gesù Cristo e
del Suo Vangelo in tutti gli ambienti dell’umana esistenza: dal quartiere alla
scuola, al lavoro, al mondo della cultura, dell’economia, della politica, delle
comunicazioni sociali ecc.
Le comunità cristiane, fondate eucaristicamente, diventano luoghi in cui ogni
uomo può fare esperienza che la sequela di Cristo apre alla vita eterna
offrendo, già dall’interno della storia, il centuplo (cfr. Mt 19, 29). Donne ed
uomini di ogni ceto, etnia e cultura possono, in ogni momento della loro vita,
incontrare altri uomini e donne, i cristiani, che in forza dell’esistenza
eucaristica, si propongono loro come compagni discreti di un cammino di
libertà.
II. Un auspicio finale
Questa forma eucaristica della personalità e della comunità cristiana non è
un’utopia. Già vive pienamente in Maria, donna eucaristica. Per il suo fiat
Maria è l’emblema del dono eucaristico di sé e della Chiesa immacolata. I Padri
e il Magistero della Chiesa hanno sempre sottolineato l’indisgiungibile
rapporto tra Maria e la Chiesa 115. Giovanni Paolo II, definendola
donna eucaristica 116, ha chiamato per nome la forma di questo
rapporto. Esso fiorisce infatti sulla partecipazione del tutto singolare della
Madre all’offerta compiuta di Sé fatta dal Figlio.
Chiediamo alla Vergine Immacolata e a tutti i Santi che i lavori di quest’Assemblea
Sinodale possano svolgersi nell’orizzonte benefico di questa forma eucaristica.
Note
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