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Sinodo dei vescovi
XI Assemblea Generale ordinaria

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  • 04 - lunedì, 03 ottobre 2005
    • PRIMA CONGREGAZIONE GENERALE (LUNEDÌ, 3 OTTOBRE 2005, ANTEMERIDIANO)
      • -- RELATIO ANTE DISCEPTATIONEM DEL RELATORE GENERALE, S.EM.R. IL SIG. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA (ITALIA)
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-- RELATIO ANTE DISCEPTATIONEM DEL RELATORE GENERALE,

S.EM.R. IL SIG. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA (ITALIA)

INTRODUZIONE
Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo

I. Stupore eucaristico
II. L’Eucaristia implica evangelizzazione
III. L’Eucaristia e la ratio sacramentalis della Rivelazione

CAPITOLO PRIMO
Il novum del culto cristiano

I. La “logikē latreía” (Rm 12, 1)
II. Il valore del rito eucaristico
III. La celebrazione eucaristica fa la Chiesa
1. Una prima conferma: il Vescovo, liturgo per eccellenza
2. Una seconda conferma: la natura del tempio cristiano
3. Una terza conferma: “Intercomunione”?

CAPITOLO SECONDO
L’azione eucaristica

I. Elementi distintivi della celebrazione eucaristica
1. Indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica
a. Il dono eucaristico: né diritto né possesso
a1. Assemblee domenicali in attesa di sacerdote
a2. Viri probati?
2. Adorazione
3. Atteggiamento di confessione e penitenza
a. I divorziati risposati e la comunione eucaristica
4. Ite missa est
II. Ars celebrandi e actuosa participatio

CAPITOLO TERZO
Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia

I. Due premesse
1. Eucaristia ed evangelizzazione
2. Eucaristia, interculturalità e inculturazione
II. Dimensione antropologica dell’Eucaristia
III. Dimensione cosmologica dell’Eucaristia
IV. Dimensione sociale dell’Eucaristia CONCLUSIONE
L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo

I. Ripresa sintetica
II. Un auspicio finale


INTRODUZIONE
Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo

I. Stupore eucaristico
Quando celebrano l’Eucaristia, “i fedeli possono rivivere in qualche modo l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24, 31) 1. Per questo Giovanni Paolo II afferma che l’azione eucaristica suscita stupore 2. Lo stupore è la risposta immediata dell’uomo alla realtà che lo interpella. Esprime il riconoscimento che la realtà gli è amica, è un positivo che incontra le sue attese costitutive. San Paolo, scrivendo ai Romani, ne spiega la ragione: la realtà custodisce il disegno buono del Creatore. A tal punto che l’Apostolo ha potuto dire degli uomini “che soffocano la verità nell’ingiustizia” che sono “inescusabili” perché “pur conoscendo Dio” - dal momento che “dalla creazione del mondo in poi le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute” - “non gli hanno reso gloria né gli hanno reso grazie come a Dio” (cfr. Rm 1, 19-21).
Incertezza e timore, invece, possono subentrare in un secondo tempo nell’esperienza dell’uomo, quando, a causa della finitudine e del male, in lui si fa strada la paura che la positività della realtà non permanga.
Così, da una parte, l’azione eucaristica, come del resto l’intero cristianesimo in quanto sorgente di stupore 3, si inscrive nell’esperienza umana come tale. Tuttavia, dall’altra, Essa si manifesta come un avvenimento inatteso e del tutto gratuito. Nell’Eucaristia si rivela che quello di Dio è un disegno di amore. In Essa il Deus Trinitas, che in Se stesso è amore (cfr. 1Gv 4, 7-8), si abbassa nel Corpo donato e nel Sangue versato da Cristo Gesù, fino a farsi cibo e bevanda che alimentano la vita dell’uomo (cfr. Lc 22, 14-20; 1Cor 11, 23-26).
Come i due di Emmaus, rigenerati dallo stupore eucaristico, ripresero il proprio cammino (cfr. Lc 24, 32-33) così, il popolo di Dio, abbandonandosi alla forza del sacramento, è sospinto a condividere la storia di tutti gli uomini.
Giovanni Paolo II con grande lungimiranza, subito fatta propria da Benedetto XVI, volle prolungare i benefici frutti del Grande Giubileo nello speciale Anno Eucaristico 4, stabilendo che questa XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi fosse dedicata a L’Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. La solenne celebrazione eucaristica con cui ieri l’abbiamo iniziata nella Basilica di San Pietro, ci ha oggettivamente aperti a quell’atteggiamento di stupore che, se opportunamente assecondato durante i nostri lavori, contribuirà a far riscoprire la centralità e la bellezza dell’Eucaristia alla Chiesa sparsa in tutto il mondo.
Perché l’Eucaristia è l’affascinante cuore della vita del popolo di Dio destinato alla salvezza dell’umanità intera? Perché essa svela e rende presente nell’oggi della storia Gesù Cristo come senso compiuto dell’umana esistenza in tutte le sue dimensioni personali e comunitarie 5. E lo documenta a livello antropologico, cosmologico e sociale.
“Nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” 6: nell’Eucaristia questa centrale affermazione conciliare rivela tutto il suo realismo. Nel pane e nel vino, frutti della terra e del lavoro, è ricapitolata l’offerta totale che l’uomo, uno di anima e di corpo 7, fa di sé, dei suoi affetti e del suo operare; è espresso il suo rapporto di permanente interazione col cosmo e, nello stesso tempo, si documenta la sua originaria solidarietà con tutti i fratelli uomini, a partire dalla famiglia e dalle comunità più prossime per giungere fino agli estremi confini della terra.
Nel dono eucaristico è consentito al credente l’accesso alla Verità vivente e personale che fa “liberi davvero” (cfr. Gv 8, 36). Nell’Eucaristia l’invito di Gesù “se vuoi essere perfetto” (Mt 19, 21) assume tutta la sua pregnanza. L’uomo è provocato ad uscire da se stesso verso gli altri e la realtà tutta, perché sia soddisfatto il desiderio inestirpabile di felicità che porta nel proprio cuore 8. Nell’Eucaristia Gesù diviene concretamente Via a quella Verità che dà la Vita (cfr. Gv 14, 6) 9.
In Essa, la Chiesa, realtà nello stesso tempo personale e sociale, diviene concretamente un popolo di popoli, quella mirabile entità etnica sui generis di cui parlava Paolo VI 10.
Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa “è l’intero Triduum Paschale, ma questo è come raccolto, anticipato e ‘concentrato’ per sempre nel dono eucaristico” in quanto attua “una misteriosa ‘contemporaneità’ tra quel Triduum e lo scorrere dei secoli” 11. Per questo, da duemila anni il popolo santo di Dio, a qualunque generazione, ceto, razza o cultura appartenga, conviene ogni domenica nell’ecclesia eucaristica, confessando pubblicamente la propria fede. L’Eucaristia, infatti, in se stessa e nella sua connessione con il settenario sacramentale, svela tutta la portata del mistero della fede 12. Ciò spiega concretamente la ragione per cui anche nei tempi e nei luoghi di maggior travaglio la Chiesa, sostenuta dallo Spirito, non è mai venuta meno. Ad impedirlo ha contribuito proprio la prassi bimillenaria 13 di porre al centro l’azione eucaristica domenicale.
Sono questi, in estrema sintesi, i motivi che possono suscitare lo stupore eucaristico in uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. La presente Relatio ante disceptationem intende illustrarli un poco. Nel quadro preparatorio tracciato dai Lineamenta prima e dall’Instrumentum laboris poi, senza pretesa di completezza, ma senza evitare i principali problemi, essa ha il solo scopo di aprire il dialogo tra i Padri Sinodali.
Per comodità ne anticipo le articolazioni. Dopo aver fatto riferimento allo stupore eucaristico, l’Introduzione (Eucaristia: la libertà di Dio viene incontro alla libertà dell’uomo) evidenzia il nesso dell’Eucaristia con l’evangelizzazione e con la ratio sacramentalis propria della Rivelazione. Nel Primo Capitolo (Il novum del culto cristiano) cercherò di mettere in luce la novità del culto cristiano. Il Secondo Capitolo (L’azione eucaristica) tratterà dell’azione eucaristica nei suoi elementi distintivi e nel necessario nesso tra ars celebrandi e actuosa participatio. Un Terzo Capitolo (Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia) vuole mostrare come l’Eucaristia possieda intrinsecamente una dimensione antropologica, una dimensione cosmologica e una dimensione sociale. La Conclusione (L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo) offrirà una ripresa sintetica della materia svolta per terminare con un breve auspicio circa i nostri lavori.

II. L’Eucaristia implica evangelizzazione
I dati raccolti dall’Instrumentum laboris preparato in vista di quest’Assemblea Sinodale mostrano che la pratica eucaristica è assai varia nelle grandi aree del globo. Questo ha certamente a che fare con le loro significative differenze culturali, che si esprimono in maniera evidente anche nella qualità della partecipazione all’Eucaristia che, a sua volta, è connessa all’autenticità dell’ars celebrandi.
Un rilievo generale, tuttavia, si impone. Lo spegnersi dello stupore eucaristico dipende, in ultima analisi, dalla finitudine e dal peccato del soggetto. Spesso però questo trova un terreno di coltura nel fatto che la comunità cristiana che celebra l’Eucaristia è distante dalla realtà. Vive astrattamente. Non parla più all’uomo concreto, ai suoi affetti, al suo lavoro, al suo riposo, alle sue esigenze di unità, di verità, di bontà, di bellezza. E così l’azione eucaristica, separata dall’esistenza quotidiana, non accompagna più il credente nel processo di maturazione del proprio io e nel suo rapporto con il cosmo e con la società.
L’Assemblea Sinodale dovrà indagare attentamente questo stato di cose e suggerire i rimedi possibili. Non potrà limitarsi a ribadire la centralità dell’Eucaristia e del dies Domini. Oggettivamente essa è fuori discussione, ma la difficoltà sta nel come ridestare lo stupore, generato dall’Eucaristia, nei tanti battezzati non praticanti (in taluni paesi europei possono superare l’80%). “Prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia - non dobbiamo dimenticarlo -, è necessario che siano chiamati alla fede e alla conversione” 14. Sono quindi indispensabili l’annuncio e la testimonianza personale e comunitaria di Gesù Cristo a tutti gli uomini ai fini di suscitare comunità cristiane vitali ed aperte. Inoltre la vita di tali comunità domanda una sistematica formazione al “pensiero di Cristo” (1Cor 2, 16) (catechesi - in modo del tutto particolare quella riguardante l’iniziazione cristiana dei bambini e degli adulti -, cultura). Passa attraverso l’educazione al gratuito (carità, impegno di condivisione sociale). Chiede una comunicazione universale della vita nuova in Cristo (missione). In una parola i fattori costitutivi dell’evangelizzazione e della nuova evangelizzazione sono essenziali implicazioni dell’azione eucaristica.

III. L’Eucaristia e la ratio sacramentalis della Rivelazione
Il Concilio Vaticano II, soprattutto nella Costituzione Dogmatica Dei Verbum, ha messo in evidenza il carattere di avvenimento proprio della Rivelazione. Ha così offerto una solida base dottrinale al realismo eucaristico che solo garantisce la contemporaneità tra il Triduum salvifico della Pasqua e l’uomo di ogni tempo. La Costituzione approfondisce l’insegnamento del Vaticano I in chiave cristocentrica. La Rivelazione si compie e completa nella Persona e nella storia di Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, crocifisso, morto e risorto per noi uomini e per la nostra salvezza 15. Nella Sua opera di redenzione Egli rivela il volto misericordioso del Padre che, mediante la potenza dello Spirito del Risorto, ci rende figli nel Figlio (cfr. Ef 1, 5). “Nomen Trinitatis publicando” 16 Gesù Cristo, attraverso il dono totale della Sua vita innocente, scioglie l’enigma dell’uomo e, in tal modo, valorizza la sua libertà abilitandolo a decidere su di sé. Gesù Cristo, infatti, domanda alla libertà di ogni uomo di accogliere, mediante l’obbedienza della fede, questo Suo dono in ogni atto della propria esistenza (cfr. Ap 3, 20). Tale accoglienza implica a sua volta, da parte dell’uomo, il dono totale di sé (cfr. Mt 19, 21). Ne consegue l’esclusione di ogni concezione magica del sacramento in generale e dell’Eucaristia in particolare.
L’evento unico e irrepetibile del Triduum Paschale è stato da Cristo stesso anticipato nella Cena con i Suoi, che Egli ha fortemente voluto (cfr. Lc 22, 15). Sedendo a mensa con gli apostoli nel cenacolo, Gesù ha istituito l’Eucaristia. Attraverso il dono dello Spirito Santo che rende possibile attuare efficacemente il comando “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19; 1Cor 11, 25), Egli apre al credente di ogni tempo la possibilità di aver parte alla salvezza.
Nell’azione eucaristica, pertanto, la libertà di Dio incontra effettivamente la libertà dell’uomo. A partire da questo incontro di libertà il cristiano, segnato dal riconoscimento del dono di Dio e della comunione con Lui e con i fratelli, è sospinto a dare a tutta la sua vita una forma eucaristica 17. E questo perché nell’Eucaristia si esprime in modo eminente quella che Fides et ratio chiama la “ratio sacramentalis della rivelazione” 18. Essa consente al fedele di scoprire che, attraverso tutte le circostanze e tutti i rapporti di cui è obiettivamente costituita l’esistenza umana, l’evento di Gesù Cristo chiama la sua libertà ad un progressivo coinvolgimento con la vita della Trinità. Ad accompagnarlo in questa esperienza è Gesù stesso: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20). Per questo Egli assicura alla comunità cristiana la Sua amorevole presenza: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 20). Così ha vissuto dall’inizio la comunità primitiva: “Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2, 42). E sulla vita di questo popolo di Dio che attraversa la storia getta una luce sfolgorante la prospettiva escatologica in cui Gesù ha collocato, fin dalla sua istituzione, l’azione eucaristica: “Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio” (Mt 26, 29; Mc 14, 25; Lc 22, 18).
La ratio sacramentalis implicata nel mistero della incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, mostra che la vita di ogni uomo è obiettivamente vocazione. Ogni stato di vita 19 - matrimonio, sacerdozio ministeriale, verginità consacrata - riceve dal mistero eucaristico la radice ultima della propria forma. Pertanto, nella convocazione eucaristica, ogni credente trova l’origine ed il senso della propria vocazione che imprime alla sua esistenza una forma eucaristica.


CAPITOLO PRIMO
Il novum del culto cristiano


Il dato imponente della prassi bimillennaria della celebrazione eucaristica domenicale, decisivo per la genesi e la crescita delle comunità cristiane di ogni tempo e luogo, non è casuale. Questo primato dell’Eucaristia come azione si spiega esaurientemente a partire dalla ratio sacramentalis della rivelazione da cui sgorga la forma eucaristica dell’esistenza cristiana. Per questo occorre mettere con decisione al centro dei nostri lavori sull’Eucaristia, fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, l’approfondimento dell’azione eucaristica stessa. Questa scelta consente di superare ogni falsa opposizione tra teologia e liturgia.

I. La “logikē latreía” (Rm 12, 1)
Pur riconoscendo con gli studiosi una certa differenziata continuità antropologica con i riti propri delle svariate forme religiose, in modo particolare con i riti sacrificali dell’Antico Vicino Oriente, con le cene ellenistiche ed in specie con i pasti sacri del giudaismo di epoca ellenistica, è oggi da tutti riconosciuto che l’Eucaristia di Gesù nell’Ultima Cena ha dato vita ad un novum.
L’istituzione dell’Eucaristia si inserisce in una cena rituale, il cui contesto pasquale è ormai accertato (cfr. Mt 26, 19-20; Mc 16-18; Lc 22, 13-14; Gv 13, 1-2) 20, come quella singolare azione mediante la quale Gesù associa i Suoi alla Sua ora e missione anticipando il sacrificio della Sua Pasqua, strada definitiva per l’instaurarsi del Regno. Mangiando il Suo Corpo e bevendo il Suo Sangue, i discepoli sono incorporati a Cristo: in tal modo si attua quella comunione che costituisce la Chiesa.
Nell’Ultima Cena Gesù Cristo, “parlando ai discepoli anche con parole che contengono la somma della Legge e dei Profeti” 21, offre Se stesso come unica vittima proporzionata al Padre (cfr. Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22, 19-20; 1Cor 11, 23ss). In questo atto Egli coinvolge però anche i Suoi, non per un formale e triste ricordo della Sua persona e della Sua azione, ma per la permanente ed attiva partecipazione alla Sua offerta dei discepoli fino alla fine dei tempi: “fate questo in memoria di me” (Lc 22, 19).
Emerge così il vincolo indissolubile che lega l’Eucaristia alla Chiesa e la Chiesa all’Eucaristia. Non a caso ecclesia è il termine tecnico che, fin dall’inizio, indica l’azione del riunirsi eucaristico dei cristiani (cfr. 1Cor 11, 18; 14, 4-5.19.28). “La Chiesa vive dell’Eucaristia fin dalle sue origini. In essa trova la ragione della sua esistenza, la fonte inesauribile della sua santità, la forza dell’unità e il vincolo della comunione, l’impulso della sua vitalità evangelica, il principio della sua azione di evangelizzazione, la sorgente della carità e lo slancio della promozione umana, l’anticipo della sua gloria nel banchetto eterno delle Nozze dell’Agnello (cfr. Ap 19, 7-9)” 22.
Da quanto detto l’azione eucaristica emerge in tutta la sua forza di fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale del cristiano, perché esprime, nello stesso tempo, sia la genesi che il compimento del nuovo e definitivo culto, la logikē latreía: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale (tçn logiken latreían)” (Rm 12, 1). In questa visione paolina del nuovo culto come offerta totale della propria persona - “Egli faccia di noi un sacrificio perenne a Te gradito” 23 -, è definitivamente superata ogni separazione tra sacro e profano. Il culto cristiano non è una parentesi all’interno di un’esistenza vissuta in un orizzonte profano. Non è neppure un puro atto sacrificale e riparatorio delle offese o delle prese di distanza dallo sguardo di Dio. Il nuovo culto cristiano diventa espressione di tutta l’esistenza rinnovata: “sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1Cor 10, 31). Ogni atto di libertà del cristiano è chiamato così ad essere atto di culto. Da qui prende forma la natura intrinsecamente eucaristica della spiritualità cristiana.
In quanto assume l’umano in tutta la sua densità storica l’Eucaristia, vertice del settenario sacramentale 24, rende possibile, giorno dopo giorno, la progressiva trasfigurazione dell’uomo predestinato e chiamato per grazia ad essere ad immagine del Figlio stesso (cfr. Ef 1, 4-5). Si pensi alla straordinaria efficacia del Battesimo: scopriamo che i figli, incorporati a Cristo nella Chiesa, sono nostri perché sono figli del Padre nostro che è nei cieli. La Confermazione svela ai cresimandi, chiamati alla testimonianza, che gli affetti ed il lavoro ricevono la loro verità dal dono dello Spirito di Gesù Cristo morto e risorto. Attraverso il sacramento l’esperienza determinante della vita affettiva, il Matrimonio, viene affidata dalla Chiesa al Signore. Lui solo è in grado di realizzare il “per sempre” dell’amore che ogni sposa e ogni sposo, quando ama veramente, ha nel cuore. E non è forse la più umana e delicata attenzione alla libertà - spesso ferita dal peccato - quella che la Chiesa ci offre invitandoci alla riconciliazione con Dio e con i fratelli nel sacramento della Penitenza? Quando poi l’uomo viene ferito nella propria carne dalla inevitabile prova della malattia, l’Unzione degli infermi esprime la vicinanza speciale di Gesù che tanto ha patito ed è morto e risorto per noi. Una vicinanza del tutto particolare se accompagnata dalla regolare possibilità offerta agli ammalati di ricevere la Comunione e, quando è necessario, il Santo Viatico. E questo perché noi possiamo prontamente guarire e, in ogni caso, non perdiamo la speranza di risorgere con Lui e così di reincontrarLo e di reincontrarci nel nostro vero corpo. Taluni, poi, non per i loro meriti ma per iniziativa dello Spirito di Gesù, sono presi a servizio del popolo di Dio come ministri ordinati (sacramento dell’Ordine).
In tal modo la vita liturgica delle nostre comunità non fa altro che testimoniare come nel concreto snodarsi dell’umana esistenza - nascita, rapporti, amore, dolore, morte, vita dopo la morte - Gesù si faccia presente a tutti gli uomini ogni giorno, in ogni situazione 25. Nel quadro tracciato emerge qui nuovamente la forza della ratio sacramentalis propria del genio cattolico.

II. Il valore del rito eucaristico
In questa visione inaugurata dall’Eucaristia cristiana non solo il culto ma anche il rito viene ad assumere una fisionomia radicalmente nuova. Quella cioè dell’azione di Cristo stesso che, col dono del Suo Spirito, ammette i Suoi alla presenza del Padre per “compiere il servizio sacerdotale” 26.
Per la sua natura di sorgente della logikē latreía l’azione rituale eucaristica viene ad essere oggettivamente anche la più essenziale e decisiva di tutte le azioni umane. Nel rito eucaristico infatti fa irruzione, in un preciso istante del tempo, il significato compiuto della storia, e quindi la sua verità. In questo modo il rito eucaristico opera una discontinuità nel succedersi delle vicende quotidiane dell’uomo, ma è proprio nello spazio aperto da tale discontinuità che l’uomo impara a decidersi per la verità obiettivamente a lui donata nel rito stesso. Questa scelta avviene nella fede: si può rapportarsi alla verità donata solo nell’affidamento totale di sé. Pertanto l’azione eucaristica è fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale cristiana proprio in forza della celebrazione stessa del rito che, in tutta la sua sostanziale pienezza, esprime adeguatamente la fede vissuta del popolo cristiano.
Inserita temporalmente e spazialmente nella trama dell’esistenza quotidiana, ma nello stesso tempo proveniente “dall’alto” in quanto sacramento, cioè segno e strumento efficace della grazia divina, l’azione rituale eucaristica diventa paradigma dell’intera esistenza dell’uomo 27. Il rito eucaristico non è accidentale rispetto all’esistenza personale e sociale, né estrinseco all’inevitabile essere dell’uomo per il mondo, ma è centro della vita reale della nuova creatura (cfr. 2Cor 5, 17; Gal 6, 15). La sua esistenza è compiutamente umana perciò storica, ma nello stesso tempo, in forza della memoria eucaristica del Corpo donato e del Sangue versato del Crocifisso Risorto, essa già vive nella prospettiva eterna della risurrezione (cfr. 1Cor 15, 19-22) 28. Nell’azione eucaristica la liturgia terrestre è intimamente unita con quella celeste 29. Lo scambio di comunione tra i vivi e i morti di cui le Messe di suffragio per i defunti sono importante espressione, costituisce una testimonianza permanente della fede della Chiesa nel nesso inscindibile tra vita terrena e vita eterna 30.
Questa visione unitaria dell’azione eucaristica come cuore di tutta l’esistenza cristiana è sempre stata presente nella coscienza ecclesiale. Dall’immedesimazione con l’azione compiuta da Gesù così come ci è conservata dal canone biblico, alla traditio che nel suo incessante ritmo di trasmissione e di recezione la assicura lungo il tempo e lo spazio; dalle variegate forme liturgiche dei primi secoli, che ancora splendono nei riti liturgici delle antiche Chiese di Oriente, fino alla predominante fissazione del rito romano; dalle precise indicazioni del Concilio di Trento e del Messale di Pio V fino alla riforma liturgica del Vaticano II: Ogni tappa della vita della Chiesa conferma che l’azione eucaristica, fonte e culmine dell’esistenza ecclesiale cristiana, coincide con il rito sacramentale che genera e compie il culto nuovo e definitivo (logikē latreía).
La considerazione del rito in tutta la sua pienezza consente di evitare ogni frammentazione e giustapposizione tra l’azione eucaristica e le esigenze della nuova evangelizzazione, che vanno dall’annuncio testimoniale in ogni ambiente dell’umana esistenza fino alle necessarie implicazioni antropologiche, cosmologiche e sociali che l’Eucaristia obiettivamente mette in campo. Permette inoltre alla comunità cristiana di perseguire simultaneamente un’accurata fedeltà alle rubriche liturgiche ed un’attenta duttilità alle istanze di inculturazione. III. La celebrazione eucaristica fa la Chiesa
Lo stupore eucaristico dei due discepoli di Emmaus riverbera nella meraviglia dell’azione liturgica della celebrazione eucaristica. Essa è l’atto di culto chiamato ad esprimere in modo eminente l’unico evento pasquale.
Nell’Ultima Cena Gesù manifesta chiaramente coi Suoi gesti e con le Sue parole il legame intrinseco tra l’avvento del regno del Padre e il Suo destino personale (cfr. Mt 26, 29; Mc 14, 25, Lc 22, 15-16; Gv 12, 23-24). Nell’identificazione trasformatrice del pane e del vino con il Corpo e il Sangue di Cristo (presenza reale 31), l’Ultima Cena anticipa sacramentalmente il sacrificio della nuova pasqua come la forma mediante la quale il Padre compie, nel Figlio e con l’opera dello Spirito Santo, il Suo disegno redentivo di salvezza: “Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi"” (Lc 22, 19-20). A nessuno sfugge la difficoltà che il linguaggio sacrificale, impiegato dalla Scrittura e dalla tradizione della Chiesa 32, incontra nella cultura odierna 33. Tuttavia, se si vuol rispettare tutta la pregnanza del dono incondizionato che Gesù Cristo fa di Se stesso, appare oggi urgente riscoprire l’Eucaristia come sacrificio. Gesù Cristo chiama i Suoi a quella forma integrale di culto (logikē latreía) che è l’offerta di tutta la propria vita, in cui il cristiano viene plasmato progressivamente proprio mediante la piena, consapevole ed attiva partecipazione alla celebrazione eucaristica 34.
L’invito a mangiare il Suo Corpo e a bere il Suo Sangue (comunione) costituisce la via sicura alla salvezza (cfr. Gv 6, 47-58) 35. Il memoriale pertanto, in continuità con la pasqua ebraica (cfr. Dt 16, 1ss), possiede la fisica concretezza dell’assunzione delle specie eucaristiche, al riparo da ogni riduzione intellettualistica della fede. Il frutto di quest’azione è la comunione sacramentale con Cristo (cfr. 1Cor 10, 16), resa possibile dall’amore con cui lo Spirito glorifica la carne del Risorto. Lo stesso Spirito che mosse Cristo al dono totale di Sé muove i Suoi ad accoglierLo nell’obbedienza della fede, li muove a permanere in Lui ed a ricevere così la vita come Egli la riceve dal Padre (cfr. Gv 14, 26; 16, 13).
Questo sacramento è dato per la comunione degli uomini in Cristo. Per Paolo la koinonia è il frutto dell’Eucaristia mediante la quale i cristiani, incorporati a Cristo, diventano un solo corpo e partecipano di un solo Spirito (cfr. 1Cor 10, 16-17) 36. Essi costituiscono il nuovo popolo di Dio che, guidato dai successori degli apostoli cum et sub il successore di Pietro, attraversa la storia con la speranza certa che Gesù Risorto costituisce la caparra della loro personale risurrezione (cfr. 1Cor 15, 17-20).
Al di fuori di questa comunione eucaristica e sacramentale la Chiesa non è pienamente costituita 37: l’Eucaristia fa la Chiesa. Il nuovo popolo di Dio (corpo ecclesiale) si configura a partire dal Corpo eucaristico di Cristo che rende sacramentalmente presente il Corpo di Gesù nato dalla Santissima Vergine Maria 38. Il corpo ecclesiale viene così ad essere realmente plasmato come corpo di Cristo presente nel tempo e nella storia, in forza del vincolo che lo lega inscindibilmente con il Corpo eucaristico di Cristo 39. Proprio nella celebrazione rituale dell’eucaristia la Chiesa realizza la forma stessa della sua identità di popolo radunato dall’amore di Dio.

1. Una prima conferma: il Vescovo, liturgo per eccellenza
Ciò diventa ancora più chiaro se si guarda alla venerabile tradizione che ha sempre riconosciuto nel Vescovo il liturgo per eccellenza e l’amministratore dei sacramenti 40. Il Vescovo non presiede l'eucaristia, in forza di una ragione meramente giuridica, perché è il “capo” della chiesa locale, ma per fedeltà al comando stesso del Signore che ha affidato il memoriale della sua Pasqua a Pietro e agli apostoli. Li ha costituiti fedeli dispensatori dei Suoi misteri e, in forza di questo, primi responsabili dell’annuncio evangelico nel mondo intero. Per questa ragione “il Vescovo diocesano è la guida, il promotore e il custode di tutta la vita liturgica. Nelle celebrazioni che si compiono sotto la sua presidenza, soprattutto in quella eucaristica, celebrata con la partecipazione del presbiterio, dei diaconi e del popolo, si manifesta il mistero della Chiesa” 41. Questo è particolarmente evidente nell’ordinata concelebrazione eucaristica “che manifesta in modo appropriato l'unità del sacerdozio” 42. La comunione con il Vescovo è la condizione perché sia legittima la celebrazione eucaristica in favore del popolo di Dio.
Viene ancora una volta alla luce la fecondità della ratio sacramentalis della rivelazione: il soggetto ecclesiale (personale e comunitario) non partecipa compiutamente alla redenzione se non accoglie la modalità sacramentale che costituisce la forma che Gesù ha scelto per permanere all’interno delle vicende umane.

2. Una seconda conferma: la natura del tempio cristiano
Una seconda conferma di come in concreto la celebrazione eucaristica fa la Chiesa è la radicale diversità tra il tempio cristiano e quello pagano o lo stesso tempio giudaico. Mentre il tempio pagano e quello giudaico erano caratterizzati dalla presenza della divinità e per tale presenza erano considerati sacri e sacralizzanti, il “luogo” di culto cristiano consiste in un certo senso nella stessa azione della celebrazione del mistero. Il vocabolo ecclesia indica l’azione del riunirsi dei cristiani. Solo come conseguenza è passato ad indicare il luogo stesso in cui, in tale riunione, si realizza la presenza divina.
Inoltre mentre nel tempio pagano e, in un certo senso, anche in quello giudaico, l’incontro dei fedeli è in qualche modo casuale, nel luogo di culto cristiano esso è costitutivo del tempio stesso. I singoli fedeli sono le pietre vive del tempio (cfr. 1Pt 2, 5). Lo Spirito è il cemento che li unifica (cfr. Ef 2, 22).
Questo spiega la cura con cui la Chiesa non cessa di offrire indicazioni in merito all’architettura e all’arte sacra 43. I templi, infatti, vanno modellati sull’assemblea liturgica in actu celebrationis, come “epifania” della communio hierarchica che è la Chiesa.

3. Una terza conferma: “Intercomunione?”
Un problema pastorale assai delicato, legato all’ambito ecumenico, consente un’ulteriore verifica del fatto che, all’interno dell’inscindibile nesso tra Eucaristia e Chiesa, la causalità dell’Eucaristia sulla Chiesa (l’Eucaristia fa la Chiesa) è essenziale e prioritaria rispetto a quella della Chiesa sull’Eucaristia (la Chiesa fa l’Eucaristia) 44. Questo dato conduce a sottolineare il peso decisivo dell’Eucaristia nella prassi ecumenica.
Sono noti gli ormai numerosi sviluppi in materia 45. Essi sono, ad un tempo, conseguenza e causa dell’intenso lavoro ecumenico del XX secolo. Anzitutto va rilevata la sostanziale comunione di fede tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse in tema di Eucaristia e sacerdozio 46, comunione che, attraverso un maggiore reciproco approfondimento della Celebrazione Eucaristica e della Divina Liturgia, è destinata a crescere 47. Si deve inoltre salutare positivamente il nuovo clima a proposito dell’Eucaristia nelle comunità ecclesiali nate a partire dalla Riforma. Secondo gradi diversi e con qualche eccezione anche tali comunità sottolineano sempre di più la decisività dell’Eucaristia come elemento chiave nel dialogo e nella prassi ecumenica.
Sulla base di questi ed altri dati si può capire che, anche dopo i pronunciamenti del Magistero in proposito 48, non cessi di porsi la seguente questione: l’”intercomunione” di fedeli appartenenti a diverse Chiese e comunità ecclesiali può costituire uno strumento adeguato per favorire il cammino verso l’unità dei cristiani?
La risposta dipende da una attenta considerazione della natura dell’azione eucaristica in tutta la sua pienezza di mysterium fidei 49. La celebrazione eucaristica, infatti, è per sua natura professione di fede integrale della Chiesa.
Incastonando il sacrificio del Golgota nell’Ultima Cena il Signore realizza la comunione della Sua Persona con i Suoi discepoli e la rende possibile a tutti i fedeli di tutti i tempi e luoghi. La partecipazione a tale comunione supera la capacità dell’amore umano e delle sue pur nobili intenzioni. Mediante l’ascolto della Parola che si realizza pienamente nell’accogliere l’offerta del Corpo e del Sangue di Cristo, l’azione eucaristica esprime la pienezza della fede e l’unità visibile dei fedeli al cui servizio Gesù invia gli apostoli come sacerdoti e pastori.
Solo in quanto attua la piena professione di fede apostolica in questo mistero l’Eucaristia fa la Chiesa. Se è l’Eucaristia ad assicurare la vera unità della Chiesa, una celebrazione o una partecipazione all’Eucaristia che non implichi il rispetto di tutti i fattori che concorrono alla sua pienezza finirebbe, al di là di ogni buona intenzione, per dividere ulteriormente e all’origine la comunione ecclesiale. L’intercomunione, pertanto, non appare come un mezzo adeguato per raggiungere l’unità dei cristiani 50.
Questa affermazione circa l’intercomunione non esclude che, in circostanze del tutto speciali e nel rispetto di condizioni oggettive 51, si possano ammettere alla comunione eucaristica, in quanto panis viatorum, singole persone appartenenti a Chiese o comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso il necessario rigore esige che si parli di ospitalità eucaristica. Siamo in presenza della sollecitudine pastorale (storico-salvifica) della Chiesa che viene incontro ad una particolare circostanza di bisogno di un fedele battezzato 52. In questi casi la Chiesa cattolica ammette alla comunione eucaristica un fedele non cattolico se egli lo richiede spontaneamente, manifesta adesione alla fede cattolica circa il sacramento eucaristico ed è spiritualmente ben disposto.
Le problematiche sottostanti alla inadeguata categoria di “intercomunione” e la prassi dell’ospitalità eucaristica urgono un’ulteriore riflessione, a partire dall’intrinseco nesso tra Eucaristia e Chiesa, sul rapporto tra comunione eucaristica e comunione ecclesiale. In questo senso potrà essere utile che l’Assemblea Sinodale ritorni su questo argomento.
Nel rispondere all’improcrastinabile urgenza del cammino ecumenico non si deve tuttavia trascurare la via maestra. Il non poter accedere alla concelebrazione eucaristica e alla comunione eucaristica da parte di cristiani di diverse Chiese e comunità ecclesiali e l’eccezionalità dell’ospitalità eucaristica, non possono essere solo causa di dolore; piuttosto debbono rappresentare un pungolo permanente per il continuo e comune approfondimento del mysterium fidei che esige da tutti i cristiani l’unità nell’integrale professione di fede.


CAPITOLO SECONDO
L’azione eucaristica

Dopo aver suggerito taluni elementi di carattere metodologico per spiegare il novum del culto e del rito cristiano, è ora opportuno considerare da vicino l’azione eucaristica in se stessa. Anzitutto verranno presi in esame i principali elementi distintivi della celebrazione eucaristica. In una seconda parte saranno proposte talune riflessioni sull’ars celebrandi e l’actuosa participatio.

I. Elementi distintivi della celebrazione eucaristica
Uno sguardo sintetico agli elementi distintivi della celebrazione dell’Eucaristia rivela la forza dell’armoniosa ed articolata unità del rito eucaristico. In questa sede non si intende ripercorrere in modo completo la scansione dei diversi momenti della celebrazione eucaristica, ma limitarsi ad identificarne il nucleo essenziale: l’indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica. A partire da quanto esposto fino ad ora la considereremo nella sua natura essenziale di dono. Di conseguenza però si dovrà porre in rilievo come, di fronte alla presenza eucaristicamente elargita di Gesù, i fedeli siano chiamati all’adorazione, e come, davanti a un così grande mistero, debbano confessare i propri peccati invocando il perdono. Né si mancherà di far cenno al compito (ite missa est) che per sua natura un simile dono genera.

1. Indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica
Nell’evoluzione storica che va dall’Ultima Cena di Gesù Cristo all’Eucaristia di cui ancora oggi la Chiesa vive, il nucleo costitutivo e permanente dell’azione rituale è dato dalla stretta unità tra liturgia della parola e liturgia eucaristica 53.
In quest’unità “eulogia” ed “eucaristia” propongono alla fede dei seguaci di Cristo il mistero pasquale attraverso l’ascolto e la spiegazione delle Scritture (omelia 54), indisgiungibile dalla ripresentazione del sacrificio (preghiera eucaristica) che culmina nella comunione con il pane ed il vino trasformati nel Corpo e nel Sangue di Cristo 55. Lo si vede nella struttura comparata dei racconti di istituzione, lo si può cogliere nell’azione di Emmaus, se ne riceve conferma nella descrizione della vita comune dei primi cristiani che Atti 2, 42 ci offre. Così come, senza soluzione di continuità, ne dà testimonianza tutta la storia della celebrazione eucaristica fino a quella delineata nell’attuale Messale.
Da questa indisgiungibile unità emergono alcuni elementi costitutivi dell’unica Eucaristia di Gesù Cristo che attua la fede dei cristiani.
Innanzitutto il dato che il protagonista dell’azione liturgica è Gesù Cristo. Egli, concentrando la Sua Persona e la Sua storia nell’evento della Pasqua, si rivela nello stesso tempo come sacerdote, vittima ed altare.
In quanto sacerdote Gesù Cristo, per la potenza dello Spirito, diviene il pontefice tra Dio Padre ed il popolo (cfr. Eb 5, 5-10) 56. Come testimoniano i racconti della Cena, Egli stesso interpreta la Sua missione sacerdotale oggettivamente nell’eulogia scritturistica e nell’offerta sacrificale. Ma Gesù è, nello stesso tempo, vittima di propiziazione (cfr. 1Gv 2, 2; 4, 10) e in tal modo il Suo sacerdozio implica il dono totale di Sé che si manifesta nell’offerta del pane e del vino trasformati nel Suo Corpo donato e nel Suo Sangue versato (sacrificio 57), cui il popolo fisicamente prende parte (comunione 58). Questo sacerdote, che è anche vittima, offre il Suo sacrificio sulla croce 59. Inchiodato sulla croce abbassa il cielo sulla terra, riconciliando (redenzione) l’uomo con Dio (cfr. Ef 2, 14-16; Col 1, 19-20). La croce conficcata nel Golgota finisce per esprimere l’intero cosmo e Cristo, sacerdote e vittima, diventa una sola cosa con la croce cui è inchiodato. Si fa così anche altare cosmico.
La consapevolezza di questo dovrebbe impedire il progressivo affievolirsi del senso del mistero cui oggi sono esposte non poche comunità cristiane soprattutto nella celebrazione eucaristica. Per non cadere in una visione ‘sacrale’ certamente non cristiana, si rischia, per così dire, di fare della liturgia una mera espressione della dimensione “orizzontale” della comunità, dimenticando quella “verticale”.
Gesù Cristo, unico ed irripetibile protagonista del rito eucaristico, convoca nello Spirito l’assemblea dei cristiani, chiamata a prendere parte nella fede (Credo), in modo articolato ed ordinato, ai santi misteri celebrati in suo favore (Messe pro populo). Nel silenzio, nel dialogo, nel canto, nei gesti corporei si snoda l’azione eucaristica attraverso la quale all’assemblea dei fedeli è comunicata la salvezza 60. A proposito di quanto detto si avverte l’esigenza di un approfondimento della formazione liturgica indirizzata a tutto il popolo di Dio - la nostra catechesi dovrebbe ricuperare la fondamentale dimensione mistagogica dei primi secoli - e, in particolare, a tutti coloro che sono chiamati a svolgere ministeri o uffici durante la celebrazione (presbiteri, diaconi, lettori, accoliti, ministranti, schola cantorum).
Nell’articolarsi degli uffici della celebrazione, che si svolge all’interno del tempio cristiano orientato all’altare, cui sono coordinati l’ambone e la sede, il sacerdote compie il suo singolare ministero con la particolare assistenza del diacono. Nel momento decisivo della celebrazione egli agisce in persona Christi capitis 61 assicurando, in forza del sacramento dell’ordine, non a caso incastonato da Cristo stesso all’interno dell’istituzione eucaristica dell’Ultima Cena, ciò che la comune Tradizione dell’oriente e dell’occidente chiama l’economia sacramentale 62. Essa è opera dello Spirito Santo invocato durante l’Eucaristia attraverso l’epiclesi perché attui la conversione sostanziale del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo 63 e perché generi la res eucaristica che è l’unità della Chiesa 64.
Si capisce allora come l’indisgiungibile unità di liturgia della parola e liturgia eucaristica sfoci nella comunione sacramentale 65, alla quale i fedeli sono ammessi, con significativo realismo, attraverso l’atto fisico della processione. Mediante l’assimilazione delle sacre specie, in realtà, come ha sempre professato la Chiesa, i fedeli sono assimilati a Cristo, a Lui incorporati, per la loro salvezza 66 e per la salvezza del mondo 67. Tempo e spazio, insopprimibili coordinate della vita dell’uomo, sono assunti e trasformati dall’azione eucaristica in vista di questa salvezza. Se la configurazione del tempio manifesta questa trasformazione dello spazio, la bellezza e l’articolazione dell’Anno Liturgico a partire dal Triduo pasquale passando per il dies Domini e i tempi liturgici, esprimono eucaristicamente la redenzione del tempo: esso non è più una successione di istanti destinati a svanire, ma diventa sacramento dell’eterno.

a. Il dono eucaristico: né diritto né possesso
Il carattere di dono proprio dell’azione eucaristica, che implica il comunicarsi della libertà del Deus Trinitas, in Gesù Cristo, alla libertà degli uomini domanda che la sua gratuità non sia mai misconosciuta. Anche se provoca grande sofferenza, la sua mancanza non conferisce al fedele e al popolo di Dio alcun diritto all’Eucaristia.
Per la stessa ragione il dono dell’Eucaristia non può mai essere idolatricamente “posseduto” da parte dell’uomo, non sopporta un’attitudine quasi gnostica di preteso dominio. Né l’adorazione eucaristica può risolversi in uno sguardo che pretenda di “comprendere” la latens deitas, anche se Gesù Cristo, in atto di estremo abbassamento, si lega alla permanenza delle specie.

a1. Assemblee domenicali in attesa di sacerdote
Il problema della scarsità di presbiteri va affrontato con coraggio nell’orizzonte dell’Eucaristia come dono. Questo stato di cose ha dato luogo ad un incremento considerevole delle Assemblee domenicali in attesa di sacerdote” (liturgie della Parola con o senza distribuzione della Comunione, celebrazioni della Liturgia delle Ore o di devozioni popolari) 68.
In proposito è importante innanzitutto ribadire l’appartenenza di ogni comunità, soprattutto parrocchiale, ad una diocesi 69. L’Eucaristia non è mai fatta mancare alla Chiesa particolare. Per questa ragione è buona prassi pastorale incoraggiare al massimo la partecipazione all’Eucaristia in una delle comunità della diocesi, anche quando ciò richieda un certo sacrificio.
In secondo luogo è utile sottolineare chiaramente per i fedeli il carattere propedeutico all’Eucaristia di ogni celebrazione domenicale in attesa di sacerdote. Là dove una certa mobilità non fosse agevole, la convenienza di queste assemblee si vedrà proprio dalla loro capacità di accentuare nel popolo l’ardente desiderio dell’Eucaristia.
I sacrifici e fino all’eroismo compiuti da non pochi cristiani perseguitati per vivere l’Eucaristia mostrano come la sua assenza non possa mai essere colmata da altre pur significative forme di culto. Vogliamo in proposito rendere omaggio alla straordinaria esperienza eucaristica del compianto Cardinale Van Thuan durante la sua prigionia.

a2. Viri probati?
Per sopperire alla scarsità di sacerdoti, taluni, guidati dal principio salus animarum suprema lex, avanzano la richiesta di ordinare fedeli sposati, di provata fede e virtù, i cosiddetti viri probati. La richiesta è spesso accompagnata dal positivo riconoscimento della bontà della secolare disciplina del celibato sacerdotale. Essi però affermano che questa legge non dovrebbe impedire di dotare la Chiesa di un numero adeguato di ministri ordinati, quando la penuria di candidati al sacerdozio celibatario assumesse proporzioni estremamente gravi.
È superfluo ribadire, in questa sede, i profondi motivi teologici che hanno condotto la Chiesa latina ad unire il conferimento del sacerdozio ministeriale al carisma del celibato. Si impone piuttosto la domanda: questa scelta e questa prassi sono pastoralmente valide anche in casi estremi come quelli cui si è fatto cenno?
Sembra ragionevole rispondere in senso positivo. Essendo intimamente correlato all’Eucaristia, il sacerdozio ordinato partecipa della sua natura di dono e non può essere oggetto di un diritto. Se è un dono il sacerdozio ordinato chiede di essere incessantemente domandato (cfr. Mt 9, 37-38). E diventa assai difficile stabilire il numero ideale di sacerdoti nella Chiesa, dal momento che essa non è una “azienda” che si debba dotare di una determinata quota di “quadri dirigenti”!
Sul piano pratico l’improcrastinabile urgenza della salus animarum spinge a ribadire con forza, soprattutto in questa sede, la responsabilità che ogni Chiesa particolare ha nei confronti della Chiesa universale e pertanto di tutte le altre Chiese particolari. Saranno, perciò, di grande utilità le proposte che in questa Assemblea Sinodale verranno fatte per individuare i criteri di una più adeguata distribuzione del clero nel mondo. In proposito la strada da percorrere appare ancora lunga.
Conviene forse anche ricordare che, lungo la storia, la Provvidenza ha sostenuto il valore profetico ed educativo del celibato anche domandando una speciale disponibilità per il ministero sacerdotale a realtà di vita consacrata, nel rispetto del loro carisma e della loro storia. Si può qui citare la prassi dell’ordinazione dei monaci nelle Chiese orientali o all’interno della tradizione benedettina 70.

2. Adorazione
Il carattere di dono proprio dell’Eucaristia permette di superare, proprio a partire da una attenta considerazione del rito della Messa nella sua natura di azione liturgica, una impropria contrapposizione, creatasi a volte a partire dall’epoca moderna, tra l’Eucaristia come cibo che deve essere mangiato (convito) e come presenza divina da adorare.
Se è vero che nel primo millennio l’adorazione eucaristica non si esprimeva nelle forme da noi oggi conosciute, tuttavia si deve affermare che, fin dall’origine, essa è stata ben presente alla coscienza del popolo di Dio. Il secondo millennio ne ha ulteriormente esplicitato il valore, non senza trarre beneficio dalla controversia sulla presenza reale nel medioevo e da quelle sulla permanenza di Cristo nelle specie eucaristiche con la Riforma.
Durante l’Ultima Cena, nei commensali la coscienza della concreta presenza di Cristo, che si identifica con il pane ed il vino consacrati (cfr. Mc 14, 22-24; Mt 26, 26-28; 1Cor 11, 24-25; Lc 22, 19-20) domandando adorazione, è imponente. È innegabile quindi che la pratica dell’adorazione eucaristica, così come si attua oggi nella Chiesa latina, ha reso più evidente un dato che appartiene all’essenza della fede nel mistero eucaristico 71.
Porre in alternativa il mangiare e l’adorare significa non tener conto dell’integralità e dell’articolata unità del mistero eucaristico 72. La Cena eucaristica non è unicamente un pasto in comune, ma è il dono che Cristo fa di Sé. Partecipare a questo dono mangiando il Suo Corpo implica già un essersi prostrato con fede in adorazione 73. Pertanto l’adorazione del Santissimo Sacramento è tutt’uno con la celebrazione da cui proviene e a cui rinvia 74: “Nell’Eucaristia l’adorazione deve diventare unione” 75. Questa piena coscienza del valore dell’adorazione deve esprimersi fin nella rilevanza artistico-architettonica che è dovuto alla custodia della Santissima Eucaristia nelle nostre chiese 76.
Ovviamente però occorre ribadire con decisione che, come la manducazione, così anche l’adorazione eucaristica è sempre un’azione ecclesiale 77. Non può essere concepita come una pratica di pietà individualistica. Adorare Cristo durante la consacrazione e la comunione ed adorarLo presente nel tabernacolo, significa riconoscersi e comportarsi come membro del Suo Corpo ecclesiale. Così quello eucaristico non è un incontro che si esaurisce nell’atto della manducazione, ma è un incontro permanente, come è permanente, in forza della presenza eucaristica, la continua venuta del Signore nella Sua Chiesa 78.
Alla luce della natura ecclesiale dell’adorazione si comprende meglio perché la pietà cristiana abbia unito all’adorazione eucaristica anche la ‘riparazione’ per i peccati del mondo: dinanzi al Signore noi tutti membra del Suo Corpo siamo responsabili gli uni degli altri 79.

3. Atteggiamento di confessione e penitenza
Ricevere, nella celebrazione eucaristica, il dono del Corpo e del Sangue del Signore Gesù è l’espressione culminante della sequela di chi si riconosce discepolo e si lascia introdurre alla comunione con Lui.
La differenza radicale tra Colui che si dona e colui che riceve il dono, ben documentata dalla sproporzione tra l’incommensurabile ricchezza dell’evento pasquale e l’estrema povertà delle specie del pane e del vino, apre il fedele alla coscienza del mysterium tremendum dell’Eucaristia. Non ci si può accostare ad Essa senza percepire tutta la propria indegnità e senza prepararvisi invocando il perdono dei peccati 80.
Emerge così non solo il significato dell’atto penitenziale dei riti di introduzione, reso solenne in casi particolari dall’aspersione con l’acqua benedetta che richiama il battesimo, ma soprattutto l’intrinseco rapporto tra l’Eucaristia e il sacramento della riconciliazione 81.
Quando i fedeli, incorporati a Cristo per il battesimo, commettono un peccato mortale si separano dalla comunione con Lui e con la Sua Chiesa, la cui espressione piena è la comunione sacramentale 82. Tuttavia il Padre misericordioso non li abbandona, ma attraverso la medicina voluta da Gesù stesso 83, li invita alla libera, personale, umile confessione delle colpe per riaccoglierli con un più intenso abbraccio - attraverso la contrizione, la confessione dei peccati, l’assoluzione da parte del ministro, che anche qui agisce in persona Christi capitis, e la penitenza 84 - nella comunione con Lui che si dilata a tutti i fratelli. Per questa ragione un’adeguata catechesi eucaristica non può mai essere disgiunta dalla proposta di un cammino penitenziale (cfr. 1Cor 11, 27-29) 85.
Nell’atteggiamento di confessione affonda le proprie radici anche la venerabile pratica del digiuno eucaristico, alla quale, in quest’Assemblea, sarà utile dedicare qualche riflessione.

a. I divorziati risposati e la comunione eucaristica
In quest’ottica merita particolare attenzione la singolare modalità con cui i divorziati risposati sono chiamati a vivere la comunione ecclesiale.
A nessuno sfugge la diffusa tendenza alla comunione eucaristica dei divorziati risposati, al di là di quanto indicato dall’insegnamento della Chiesa.
Bisogna constatare che alla base di questa tendenza non vi è solo superficialità. Al di là delle considerevoli diversità di situazioni nei vari continenti, si deve riconoscere che - soprattutto in paesi di lunga tradizione cristiana - non pochi battezzati si sono uniti in matrimonio sacramentale per meccanica adesione alla tradizione. Parecchi di questi divorziano e si risposano. Praticando la vita cristiana taluni manifestano grave disagio e talora notevole dolore di fronte al fatto che l’unione seguita al matrimonio impedisce loro la piena partecipazione alla riconciliazione sacramentale e alla comunione eucaristica. Preziose indicazioni dottrinali e pastorali sono state offerte da Familiaris consortio e da altri documenti 86. Occorre che tutta la comunità cristiana sostenga i divorziati risposati nella consapevolezza di non essere esclusi dalla comunione ecclesiale. La loro partecipazione alla celebrazione eucaristica consente, in ogni caso, quella comunione spirituale che, se ben vissuta, fa eco al sacrificio stesso di Gesù Cristo.
D’altra parte l’insegnamento del Magistero in proposito non è solo teso ad evitare il dilagare di una mentalità contraria all’indissolubilità del matrimonio e lo scandalo del popolo di Dio. Ci pone, invece, di fronte al riconoscimento del nesso oggettivo che unisce il sacramento dell’Eucaristia a tutta la vita del cristiano e, in particolare, al sacramento del matrimonio 87.
Infatti l’unità della Chiesa, che è sempre dono del Suo Sposo, scaturisce permanentemente dall’Eucaristia (cfr. 1Cor 10, 17). Perciò nel matrimonio cristiano, in forza del dono sacramentale dello Spirito, il vincolo coniugale, nella sua natura pubblica, fedele, indissolubile e feconda, è intrinsecamente connesso all’unità eucaristica tra Cristo sposo e la Chiesa sposa (cfr. Ef 5, 31-32) 88. In tal modo il reciproco consenso che marito e moglie si scambiano in Cristo e che li costituisce in comunità di vita e di amore coniugale ha, per così dire, una forma eucaristica.
Nella presente Assemblea saranno tuttavia da approfondire ulteriormente e prestando grande attenzione ai complessi e assai differenziati casi, le modalità oggettive per verificare l’ipotesi di nullità del matrimonio canonico. Verifica che per rispettare la natura pubblica, ecclesiale e sociale del consenso matrimoniale non potrà non avere a sua volta un carattere pubblico, ecclesiale e sociale 89. Quindi il riconoscimento della nullità del matrimonio deve implicare una istanza oggettiva che non può ridursi alla singola coscienza dei coniugi, neppure se sostenuta dal parere di una illuminata guida spirituale.
Proprio per questo tuttavia è indispensabile proseguire nell’opera di ripensamento della natura e dell’azione dei tribunali ecclesiastici perché siano sempre più un’espressione della normale vita pastorale della Chiesa locale 90. Oltre alla continua vigilanza sui tempi e sui costi, si potrà pensare a figure e procedure giuridiche semplificate e più efficacemente rispondenti alla cura pastorale. Non mancano significative esperienze in proposito in varie diocesi. I Padri sinodali, in questa stessa Assemblea, avranno occasione di farne conoscere altre.
Resta in ogni caso decisiva l’azione pastorale ordinaria di preparazione remota, prossima e immediata dei fidanzati al matrimonio cristiano, nonché l’accompagnamento quotidiano alla vita delle famiglie all’interno della grande dimora ecclesiale. Infine riveste particolare importanza la cura e la valorizzazione delle molte iniziative tese ad accompagnare i divorziati risposati a vivere, nel seno della comunità cristiana, con serenità il sacrificio obiettivamente richiesto dalla loro condizione.

4. Ite missa est
L’Eucaristia è cibo viatorum per i fedeli in cammino nella storia verso la vita eterna. Si tratta di una verità che, in particolare, la tradizione liturgica delle Chiese Ortodosse non ha cessato di riproporre 91. L’azione di lode e di grazia che si attua nella celebrazione eucaristica, memoriale sacramentale della Pasqua di Cristo, riempie il fedele di una singolare gratitudine. Essa non si manifesta solo nel “ringraziamento” devoto dopo la comunione, che la prassi ecclesiale raccomanda attraverso il silenzio e che può essere accompagnato dal canto meditativo, ma si esprime pienamente nel mandato a dilatare questa comunione a tutti i fratelli uomini. Questo esito missionario della partecipazione eucaristica non ha anzitutto il carattere di un “dovere”, ma quello della testimonianza gratuita della progressiva trasformazione di tutta la propria esistenza resa possibile dal dono sacramentale, accolto dall’umana libertà, a favore di tutti 92.
La testimonianza viene allora a coincidere con quella logikē latreía mediante la quale la comunione con Cristo investe tutte le circostanze e tutti i rapporti che si instaurano negli ambiti dell’umana esistenza. Nella vita passata e presente della Chiesa, figura emblematica di una tale testimonianza è il martire. Come Cristo stesso egli, per pura grazia, fa della consegna eucaristica della propria vita un’offerta gradita al Padre.
In tal modo e con naturalezza l’Eucaristia attraversa e trasforma la storia personale, comunitaria e sociale. In questo consiste primariamente la missione evangelizzatrice della Chiesa 93.

II. Ars celebrandi e actuosa participatio
Da questa visione centrata sull’Eucaristia come azione ecclesiale che si esprime nell’unità del rito eucaristico - il cui cuore è la liturgia della parola intrinsecamente ordinata a quella eucaristica 94, dono accolto in spirito adorante, che domanda un atteggiamento di confessione ed urge alla missione -, emerge un dato che merita di essere rimarcato con decisione.
Affermare che l’Eucaristia è fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa significa anzitutto riconoscere la necessaria obbedienza della Chiesa stessa nei confronti del sacramento eucaristico. Vi si esprime il primato della traditio sulla receptio: nell’Ultima Cena l’iniziativa è di Gesù che si consegna ai Suoi; nel passaggio dalla Cena alla liturgia ecclesiale Paolo ci attesta che egli tramanda ciò che ha ricevuto (cfr. 1Cor 11, 23); nel differenziarsi dei riti e nel susseguirsi delle riforme liturgiche il criterio guida è sempre quello del primato della traditio 95. Pertanto in ogni celebrazione eucaristica la comunità vive l’esperienza che fu già degli apostoli nel cenacolo: i fedeli sono chiamati a ricevere Colui che si dona.
Questo elemento costitutivo dell’azione eucaristica conduce ad una conseguenza pastorale decisiva: la necessità di superare ogni dualismo tra l’ars celebrandi e l’actuosa participatio. La partecipazione consapevole, attiva e fruttuosa del popolo di Dio 96 - soprattutto in occasione del precetto domenicale - coincide infatti con l’adeguata celebrazione dei santi misteri. Ancora una volta viene in primo piano il carattere di dono proprio dell’Eucaristia. Se si cura e quando si cura oggettivamente l’arte della celebrazione la partecipazione può diventare veramente plena, conscia ed actuosa 97. Si tratta di obbedire al rito eucaristico nella sua straordinaria completezza, riconoscendone la forza canonica e costitutiva dal momento che, non a caso, da duemila anni assicura l’esistenza della Santa Chiesa di Dio.
Questo criterio deve orientare, nel rispetto delle svariate sensibilità culturali, le modalità con cui sollecitare la partecipazione di tutti i fedeli al rito stesso. Per non ridursi a mera ripetizione di formule e di gesti, essa domanda la consapevole offerta di sé da parte di ogni fedele che attua in tal modo il sacerdozio battesimale del popolo di Dio. In questo contesto si comprende anche la preziosa utilità delle norme liturgiche che la Santa Sede, le Conferenze Episcopali e gli Ordinari mettono a disposizione delle Chiese.
Nel quadro tracciato vanno intesi e vissuti anche tutti i ministeri e gli uffici connessi al rito liturgico. La loro funzione non è quella di gratificare chi li svolge come suggerisce un’impropria idea di partecipazione attiva dei fedeli, invero assai esteriore. La loro azione essenziale ha come scopo di assicurare a tutta l’assemblea la bellezza e la dignità oggettiva della celebrazione 98.
Senza poter entrare negli importanti problemi specifici, in questa relazione sarà utile richiamare che anche l’arte posta a servizio dell’azione eucaristica - soprattutto per quanto riguarda gli arredi sacri 99 -, così come i canti e la musica, ricevono a loro volta piena luce dall’ars celebrandi. Concorrono all’actuosa participatio se rispettano questa oggettiva ars celebrandi 100.


CAPITOLO TERZO
Dimensione antropologica, cosmologica e sociale dell’Eucaristia

I. Due premesse
La considerazione del rito eucaristico come azione sacramentale che sola è in grado di rendere ragione dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, non sarebbe completa se non si mostrasse la sua forza di trasformazione della vita personale e comunitaria dei fedeli e, attraverso di essa, la sua fecondità nei confronti di tutta la famiglia degli uomini e dei popoli. In altre parole l’Eucaristia, conferendo all’esistenza cristiana forma eucaristica, influenza non solo le persone e le comunità ecclesiali, ma attraverso di esse anche le società, le culture, così come determina l’interazione dell’uomo con il cosmo.

1. Eucaristia ed evangelizzazione
L’unicità dell’evento pasquale, che dà origine all’intrinseca unità di Eucaristia e Chiesa documentata in quell’unitario atto di culto che è il rito eucaristico, genera anche la profonda unità tra la vita e la missione del cristiano e quella della Chiesa tutta. La testimonianza comune del gratuito e soddisfacente incontro con Cristo sfocia nell’annuncio e nell’invito a tutti i fratelli uomini, nessuno escluso, a prendere parte alla vita della comunità cristiana. Perseguendo nella comunità l’educazione alla gratuità, al pensiero di Cristo e all’universalità, i cristiani sono spinti ad impegnarsi con tutti gli uomini a livello culturale, ecologico e sociale.
Così concepita la vita quotidiana del soggetto cristiano (spiritualità eucaristica), sempre personale e comunitario, attua in concreto l’evangelizzazione e la nuova evangelizzazione in cui è sempre implicata la promozione umana. 2. Eucaristia, interculturalità e inculturazione

L’evangelizzazione, per la natura dell’uomo e in forza del dinamismo dell’Incarnazione, è sempre storicamente situata ed è chiamata ad interagire con le più diverse culture. Si capisce bene pertanto la cura che, dopo il Concilio Vaticano II, è stata posta dalle varie Chiese al processo di inculturazione dei riti liturgici. Tale urgenza è stata ribadita dal Magistero molte volte negli ultimi decenni 101. Vale la pena ricordare che la condizione decisiva per il necessario sviluppo di questo importante processo che, per sua natura, richiede di essere sottoposto a continua verifica, è il riconoscimento previo della originaria interculturalità dell’evento celebrato. La celebrazione eucaristica ripresenta l’evento pasquale che pone, per se stesso, le condizioni della sua comunicabilità a tutte le culture umane. Essa è resa possibile dalla universale singolarità della Persona e della storia di Gesù Cristo che proprio attraverso l’incarnazione assume l’intera condizione umana. Per esprimere la dimensione interculturale dell’Eucaristia è prezioso - soprattutto in occasione di grandi celebrazioni internazionali o nelle Chiese dove sia rilevante l’afflusso di visitatori stranieri - l’impiego della lingua latina.
Nel rispetto di questa prospettiva, l’uso delle lingue vernacole ed il ponderato ricorso a forme espressive peculiari nel rito, nei templi, negli arredi e nei canti per celebrare l’azione eucaristica, che deve rimanere in ogni caso sempre ed a qualunque latitudine l’unica Eucaristia istituita da Cristo 102, possono diventare feconda e paradigmatica espressione della necessità dell’inculturazione per l’evangelizzazione 103.
Se condizione per l’inculturazione è il riconoscimento dell’interculturalità del mistero celebrato, allora per sua natura ogni inculturazione implica una continua evangelizzazione della cultura stessa. Questa non sarà priva di un’inevitabile istanza “critica” nei confronti della cultura in cui una determinata comunità cristiana si trova a vivere e a celebrare.
Nell’equilibrato nesso tra evangelizzazione e inculturazione assicurato dalla natura interculturale dell’Eucaristia, trova spazio anche il dialogo interreligioso 104. Si tratta di un momento intrinseco alla fede della comunità cristiana decisivo in contesto missionario e soprattutto nel popolato continente asiatico. In questo ambito conviene guardare con attenzione alle Chiese di Oriente per trarre profitto dalla loro esperienza.

II. Dimensione antropologica dell’Eucaristia
Se l’Eucaristia è il dono dell’incontro sacramentale tra l’uomo e il Dio di Gesù Cristo che rende “liberi davvero” (Gv 8, 36), allora tale evento possiede per sua natura una fondamentale dimensione antropologica.
La trasformazione dell’esistenza ad opera dell’azione eucaristica si documenta anzitutto nella tensione dei cristiani alla sequela di Cristo. Più volte san Paolo afferma che l’esistenza della nuova creatura si svolge tutta in Cristo (cfr. Rm 6, 11; Gal 2, 20) 105. Nella comunione al Corpo e al Sangue di Cristo il Deus Trinitas viene incontro all’uomo. La Sua irruzione nel quotidiano offre all’uomo la possibilità di non farsi richiudere nella propria finitudine e nel proprio peccato.
Questo dono personale si espande con naturalezza nella comunione tra i cristiani: l’unità della Chiesa è, come abbiamo già ricordato, la res del sacramento. Come documentano le narrazioni neotestamentarie circa la comunità primitiva, la genesi sacramentale assicura l’oggettività della comunione che tende a permeare tutti gli aspetti spirituali e materiali dell’esistenza dei cristiani (cfr. At 2, 42-44; 4, 32-33)106.
Dottrina, morale, ascesi e spiritualità non sono espressioni di una generica religiosità, ma in forza della loro radice eucaristica, diventano articolazioni unitarie del compiersi del disegno di Dio su ogni persona e su tutta la storia: “fare di Cristo il cuore del mondo” 107. In tal modo tutta la vita è concepita come vocazione e questo consente quell’imitatio Christi testimoniata lungo i secoli dai santi nei diversi stati di vita. L’esistenza cristiana trascorre sulle orme di quella del Maestro, tesa all’eternità eppure responsabilmente e costruttivamente attenta ad ogni risvolto della storia 108.
Annuncio e testimonianza, catechesi, educazione cristiana personale e comunitaria, condivisione con l’uomo e le sue espressioni fatte di affetti, di lavoro e di riposo, fino ad affrontare delle scottanti questioni antropologiche che oggi scuotono l’humanum (amore, matrimonio, famiglia, vita, malattia e morte), sono per il cristiano aspetti obiettivamente implicati nella celebrazione eucaristica domenicale.

III. Dimensione cosmologica dell’Eucaristia
Nell’azione eucaristica, che in ultima istanza poggia sull’unità in Cristo Gesù di sacerdote, vittima ed altare, la nuova creatura è condotta a rinnovare continuamente il suo rapporto con la materia e col cosmo 109. San Paolo mette in evidenza la relazione tra il fecondo travaglio della nuova creatura e quello della nuova creazione (cfr. Rm 8, 19-23; 2Cor 5, 17). Travaglio antropologico e travaglio cosmologico sono uniti nella sempre incombente prospettiva escatologica. È importante evidenziare la dimensione cosmologica dell’Eucaristia, come documenta fin dall’antichità l’orientamento stesso del tempio cristiano.
La forma eucaristica dell’esistenza consente di evitare alla radice, almeno in linea di principio, due gravi rischi che comprometterebbero pesantemente il rapporto uomo-cosmo.
Da un lato quello di un antropocentrismo esasperato che fa dell’uomo il padrone assoluto del creato. Nella presentazione dei doni (i frutti della terra e del lavoro umano: il pane e il vino a cui si unisce l’acqua) si esprime esplicitamente che i protagonisti del rapporto uomo-creato non sono semplicemente due, la comunità degli uomini ed il cosmo, ma tre. Confermando quanto già contenuto nel secondo racconto della creazione (cfr. Gn 2, 4b-25) vi è un Terzo che mette in relazione uomo e creato: Dio che, fin dall’inizio, pose l’uomo nel “giardino” perché lo coltivasse e lo custodisse. Uomo e cosmo sono uniti nell’unica historia salutis guidata da Dio. Nella redenzione, Cristo apre la prospettiva della glorificazione finale all’uomo e al cosmo, ridimensionando definitivamente ogni pretesa antropocentristica.
Dall’altro lato l’equilibrato rapporto tra Dio, uomo e cosmo - esplicitato dall’Eucaristia - esclude ogni biocentrismo o ecocentrismo che conduca ad eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi 110.
La dimensione cosmologica dell’Eucaristia trova un emblema assai significativo nella vita di san Francesco d’Assisi. Il famoso Cantico di frate sole appare come una documentazione potente, poeticamente efficace, della posizione dell’uomo che vive una esistenza determinata eucaristicamente e che, per questo, sa riconoscere ogni creatura nel suo nesso con Dio: “Laudato sii mi’ Signore cum tucte le tue creature”. La coscienza di san Francesco esprime l’atteggiamento di gratitudine a Dio per e con tutte le cose. Gratitudine che egli impara proprio nel mistero eucaristico, di cui nel suo tempo non a caso fu mirabile cantore e difensore, in obbedienza ai decreti del Concilio Laterano IV 111.
La dimensione comunitaria dell’azione eucaristica consente inoltre ai cristiani di non dimenticare che il creato-cosmo è un bene comune ed universale e che l’impegno verso di esso si estende non solo alle esigenze del presente, ma anche a quelle del futuro. Pertanto la responsabilità verso il creato prende la fisionomia di una cura verso questa nostra dimora che in un certo senso prolunga il corpo, e deve trovare adeguate traduzioni a livello educativo, sociale e giuridico che ne rispettino il valore simultaneamente di dimora e di risorsa 112.
Anche il tempio cristiano ed in esso la cappella o l’ambito riservato alla custodia e all’adorazione con il tabernacolo, esprimendo la cura per la dimora del Corpo eucaristico ed ecclesiale di Gesù Cristo, possono diventare preziose risorse educative dell’assemblea ecclesiale ad un corretto rapporto tra l’uomo ed il creato.

IV. Dimensione sociale dell’Eucaristia
Il dono totale di Sé, assicurato eucaristicamente da Cristo all’uomo di ogni tempo, è per la salvezza di tutti. In questo senso l’Eucaristia è per il mondo. I Vangeli sinottici ricordano nella decisiva parabola del buon grano e della zizzania che l’impegno del seguace di Cristo ha come campo il mondo (cfr. Mt 13 38). Balza così agli occhi come l’Eucaristia possieda un’intrinseca dimensione sociale inseparabile da quella cosmologica ed antropologica.
La storia della Chiesa, ricca di opere di carità e fermento creativo di istituzioni di rilevanza civile e politica, lo documenta con dovizia di elementi. Né mancherà, nei lavori di questi giorni, l’occasione per averne ulteriore conferma dalle Chiese particolari qui rappresentate.
La carità è essenzialmente eucaristica 113, così come l’Eucaristia è carità 114. L’elemosina che i fedeli compiono in occasione della celebrazione domenicale indica con chiarezza l’importanza di questo nesso. Tra le innumerevoli testimonianze di santità legate alla carità vogliamo ricordare quella della Beata Teresa di Calcutta. Il suo carisma, profondamente marcato dal rapporto con il sacramento eucaristico, seppe riconoscere l’amore di Cristo come sorgente inestinguibile di condivisione nei confronti dei moribondi più miseri ed abbandonati.
Nel frangente attuale, contrassegnato dalla violenta transizione dalla modernità ad una nuova configurazione culturale e geopolitica (post-modernità?), le urgenze sociali, cui il cristiano che vive la propria esistenza in forma eucaristica deve far fronte, appaiono particolarmente acute e differenziate. La globalizzazione, la società delle reti, i nuovi orizzonti aperti dalle bio-tecnologie e il processo di inevitabile mescolanza tra popoli e culture, purtroppo accompagnato da guerre, terrorismo e violenze disumane, rendono improrogabile l’urgenza di giustizia sociale e di pace.
La situazione di povertà e, non di rado, di endemica miseria, cui un’ampia fetta della popolazione del globo, soprattutto in Africa, è condannata, costituisce una ferita che inesorabilmente giudica l’autenticità con cui i cristiani di ogni latitudine vivono l’Eucaristia. Riunirsi ogni domenica, in qualunque luogo della terra, per aver parte allo stesso Corpo e allo stesso Sangue di Cristo, impone il dovere di una lotta tenace a tutte le forme di emarginazione e di ingiustizia economica, sociale e politica cui sono sottoposti i nostri fratelli e sorelle, soprattutto i bambini e le donne. Le forme di questa lotta esigono criteri adeguati derivanti dal proporzionato rapporto tra carità e giustizia che fin dai tempi apostolici l’Eucaristia ha reclamato come necessario per la vita associata (cfr. 1Cor 11, 17-22; Gc 2, 1-6). La comunità cristiana, cosciente della sua singolare natura, deve continuare, con appropriate analisi e operando le debite distinzioni, a cercare i mezzi adeguati per far fronte ad un male che oggi ha assunto dimensioni planetarie e più che mai grida vendetta al cospetto di Dio (cfr. Gen 4, 10).
Appare evidente che l’affronto di una questione così rilevante, come quella della giustizia sociale, non può essere disgiunto dall’instancabile dovere di perseguire la pace. Del resto il rapporto pace-Eucaristia, ben espresso nel rito latino dall’abbraccio fraterno che precede la comunione, si fonda sull’incrollabile convinzione che “Cristo stesso è la nostra pace” (Ef 2, 14). La radice eucaristica dell’azione del cristiano per la pace lo porrà al riparo da due gravi insidie in proposito. Quella del pacifismo utopico, da una parte, e quella di una sorta di Realpolitik che considera inevitabile la guerra, dall’altra. La pace invece è un compito difficile e gravoso che ci sta sempre davanti e va pazientemente perseguito ogni giorno nella propria persona e in tutti i rapporti, cominciando da quelli familiari, per passare dalle comunità intermedie, fino a giungere a quelle internazionali.
Queste decisive implicazioni sociali dell’azione eucaristica richiedono il contributo dei cristiani per l’edificazione di una società civile, nelle diverse aree culturali dell’umanità. Basandosi sui principi di solidarietà e di sussidiarietà, costitutivi dell’insegnamento sociale della Chiesa, i cristiani promuovono una società civile che poggi sulla dignità e sui diritti della persona, anzitutto sul diritto alla libertà religiosa, e su quelli di tutti i corpi intermedi, in particolare della famiglia.
Nella stessa direzione i cristiani contribuiscono, con tutti gli uomini di buona volontà e nel rispetto della natura oggi per lo più plurale delle società, alla promozione di istituzioni statali e internazionali che favoriscano un buon governo. Oltre a promuovere e regolare una vita buona a livello delle singole nazioni, queste debbono concorrere all’ormai improrogabile necessità di costruire un nuovo ordine mondiale basato su regole condivise e vincolanti che garantiscano a tutti i popoli la possibilità di uno sviluppo equilibrato ed integrale delle risorse naturali e umane.


CONCLUSIONE
L’esistenza eucaristica nel travaglio contemporaneo

I. Ripresa sintetica
Nell’incontro di libertà che l’azione liturgica propizia, da duemila anni nel rito eucaristico per l’uomo si rinnova, con particolare intensità, l’esperienza dello stupore. Proprio nell’attuarsi del rito, per l’abbassamento del Figlio morto in croce e risorto e attraverso il dono dello Spirito, il Padre si mostra, si dona e si dice all’uomo. Nell’eulogia e nell’eucaristia, nell’ascolto della parola e nella consumazione del sacrificio, il fedele adoratore del Dio vero, dopo il confiteor, è ammesso a comunicare al Corpo che redime in forza dell’irrepetibile avvenimento della Pasqua di Gesù, ed è inviato a testimoniare la redenzione al mondo intero.
L’Eucaristia diviene simultaneamente fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa nell’azione stessa in cui viene celebrata. Evento pasquale, Eucaristia e Chiesa realizzano in tal modo la forma concreta mediante la quale, lungo la storia, la Trinità viene incontro agli uomini per salvarli.
Le meraviglie della grazia divina sono racchiuse nelle sacre specie del pane e del vino convertite nel Corpo e nel Sangue di Cristo. In esse il Figlio di Dio, umanato, “passo” e risorto, resta volontariamente consegnato in attesa del libero coinvolgimento dell’uomo. La Chiesa celebra questi misteri, si alimenta a questo cibo celeste e lo adora riconoscendo in Gesù sacramentato la Via alla Verità e alla Vita.
L’uomo che per grazia accoglie questo dono fa ogni volta una singolare esperienza. La misericordia amorevole della Trinità irrompe nel susseguirsi meccanico degli instanti del suo tempo, vi opera una benefica discontinuità che lo provoca ad una decisione. Accorgendosi allora dell’abissale differenza tra l’infinita libertà di Dio che si dona eucaristicamente e la pochezza dell’umana libertà il fedele si abbandona a Cristo, trasforma la sua esistenza in offerta vivente.
Questa assume una vera e propria forma eucaristica a livello personale e a livello sociale. La fisionomia del cristiano e della comunità dei fedeli vive di questa forma eucaristica che progressivamente trasfigura i ritmi dell’esistenza personale, mentre contribuisce all’edificazione di una vita buona anche a livello sociale. Il nascere, il crescere, l’educare, l’amare, il soffrire e il morire sono segnati dalla potenza eucaristica che si articola in tutto il settenario sacramentale e, in forza dell’Eucaristia, la vita dei cristiani e delle comunità trae benefico influsso dall’accoglienza dei doni dello Spirito, dall’incremento delle virtù, dalla scoperta che i comandamenti di Dio, autenticamente obbediti, sono il compimento dell’amore. Si rinnova in profondità il rapporto dell’uomo redento con il cosmo, mentre con energia sempre risorgente i cristiani sono sospinti ad un radicale impegno per la giustizia sociale e per l’edificazione della pace.
Soprattutto in questo tempo di singolare travaglio in cui versano tutte le aree culturali del mondo, il cristiano che vive la propria esistenza comunitaria in forma eucaristica, si fa instancabile annunciatore e testimone di Gesù Cristo e del Suo Vangelo in tutti gli ambienti dell’umana esistenza: dal quartiere alla scuola, al lavoro, al mondo della cultura, dell’economia, della politica, delle comunicazioni sociali ecc.
Le comunità cristiane, fondate eucaristicamente, diventano luoghi in cui ogni uomo può fare esperienza che la sequela di Cristo apre alla vita eterna offrendo, già dall’interno della storia, il centuplo (cfr. Mt 19, 29). Donne ed uomini di ogni ceto, etnia e cultura possono, in ogni momento della loro vita, incontrare altri uomini e donne, i cristiani, che in forza dell’esistenza eucaristica, si propongono loro come compagni discreti di un cammino di libertà.

II. Un auspicio finale
Questa forma eucaristica della personalità e della comunità cristiana non è un’utopia. Già vive pienamente in Maria, donna eucaristica. Per il suo fiat Maria è l’emblema del dono eucaristico di sé e della Chiesa immacolata. I Padri e il Magistero della Chiesa hanno sempre sottolineato l’indisgiungibile rapporto tra Maria e la Chiesa 115. Giovanni Paolo II, definendola donna eucaristica 116, ha chiamato per nome la forma di questo rapporto. Esso fiorisce infatti sulla partecipazione del tutto singolare della Madre all’offerta compiuta di Sé fatta dal Figlio.
Chiediamo alla Vergine Immacolata e a tutti i Santi che i lavori di quest’Assemblea Sinodale possano svolgersi nell’orizzonte benefico di questa forma eucaristica.

Note

 





1 Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 6.


2 Cfr. ibid., 5-6.


3 Cfr. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 10.


4 Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 6: “Questo ‘stupore’ eucaristico desidero ridestare con la presente Lettera enciclica, in continuità con l'eredità giubilare”.


5 Cfr. Missale Romanum, Oratio Post Communionem, I Dominica Adventus.


6 Gaudium et spes 22.


7 Cfr. Gaudium et spes 14.


8 Tommaso ci ricorda che con il battesimo l’uomo è rigenerato in Cristo (regeneratur in Christo), mentre con l’Eucaristia l’uomo porta a perfezione la sua unione con Cristo (perficitur in unione ad Christum). “Ecco perché mentre il battesimo viene denominato ‘il sacramento della fede’ (sacramentum fidei), la quale è il fondamento della vita spirituale; l’Eucaristia viene chiamata ‘il sacramento della carità’ (sacramentum caritatis) la quale è il ‘legame perfetto’ (vinculum perfectionis) secondo S. Paolo (Col 3, 14)”, Tommaso, Summa Theologiae III, q. 73, a. 3.


9 Cfr. Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni 69, 2.


10 “Dov’è il ‘Popolo di Dio’ del quale tanto si è parlato, e tutt’ora si parla, dov’è? Questa entità etnica sui generis che si distingue e si qualifica per il suo carattere religioso o messianico (sacerdotale e profetico, se volete), che tutto converge verso Cristo, come suo centro focale, e che tutto da Cristo deriva? Com’è compaginato? Com’è caratterizzato? Com’è organizzato? Come esercita la sua missione ideale e tonificante nella società, nella quale è immerso? Bene sappiamo che il popolo di Dio ora, storicamente, ha un nome a tutti più familiare; è la Chiesa”, Paolo VI, Udienza generale, 23 luglio 1975.


11 Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 5.


12 “Nell’Eucaristia si compendia tutto il mistero della nostra salvezza (totum mysterium nostrae salutis comprehenditur)”, Tommaso, Summa Theologiae III, q. 83, a. 4. “L’Eucaristia è la più grande di tutte le meraviglie operate dal Cristo, il mirabile documento del suo immenso amore per gli uomini”, Tommaso, Opusc. 57, nella Festa del Corpus Domini.


13 “Riuniti nel giorno del Signore, la domenica, spezzate il pane e rendete grazie, dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro”, Didachè 14, 1. Inoltre cfr. Giustino, I Apologia 67.


14 Sacrosanctum Concilium 9.


15 Dei Verbum 4: “Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio ‘alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio’ (Eb 1, 1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1, 1-18). Gesù Cristo dunque, Verbo fatto carne, mandato come ‘uomo agli uomini’, ‘parla le parole di Dio’ (Gv 3, 34) e porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr. Gv 5, 36; 17, 4). Perciò egli, vedendo il quale si vede anche il Padre (cfr. Gv 14, 9), col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione e la corrobora con la testimonianza divina, che cioè Dio è con noi per liberarci dalle tenebre del peccato e della morte e risuscitarci per la vita eterna”.


16 Tommaso, In I Sent., Prol.: “‘Ego sapientia effudi flumina”’ Sir 24, 40 - Venit Filius et illa flumina olim occulta effudit nomen Trinitatis publicando”.


17 Giovanni Paolo II, Lettera ai Sacerdoti per il Giovedì Santo 2005 n. 1.


18 Giovanni Paolo II, Fides et ratio 13: “Si è rimandati, in qualche modo, all'orizzonte [ratio] sacramentale della Rivelazione e, in particolare, al segno eucaristico dove l'unità inscindibile tra la realtà e il suo significato permette di cogliere la profondità del mistero. Cristo nell'Eucaristia è veramente presente e vivo, opera con il suo Spirito, ma, come aveva ben detto san Tommaso, ‘tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi’. Gli fa eco il filosofo Pascal: ‘Come Gesù Cristo è rimasto sconosciuto tra gli uomini, così la sua verità resta, tra le opinioni comuni, senza differenza esteriore. Così resta l'Eucaristia tra il pane comune’.”


19 Cfr. Instrumentum laboris 25.


20 “Insieme con i discepoli Egli celebrò la cena pasquale d’Israele, il memoriale dell’azione liberatrice di Dio che aveva guidato Israele dalla schiavitù alla libertà”, Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa per la celebrazione della XX Giornata Mondiale della Gioventù nella spianata di Marienfeld (21 agosto 2005).


21 Ibidem.


22 Instrumentum laboris, Prefazione.


23 Preghiera eucaristica III.


24 Cfr. Tommaso, Summa Theologiae III, q. 63, a. 6; q. 65, a. 3; q. 75, a. 1 ed a. 3. Inoltre cfr. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 20.


25 “Il condurre una vita basata sui sacramenti, animata dal sacerdozio comune, significa anzitutto, da parte del cristiano, desiderare che Dio agisca in lui per farlo giungere nello Spirito ‘alla piena maturità di Cristo’ (Ef 4, 13). Dio, da parte sua, non lo tocca solo attraverso gli avvenimenti e con la sua grazia interna, ma agisce in lui, con maggiore certezza e forza, attraverso i sacramenti. Essi danno alla sua vita uno stile sacramentale. Orbene, tra tutti i sacramenti, è la santissima eucaristia che porta a pienezza la sua iniziazione di cristiano e che conferisce all'esercizio del sacerdozio comune questa forma sacramentale ed ecclesiale che lo aggancia [...] a quello del sacerdozio ministeriale. In tal modo il culto eucaristico è centro e fine di tutta la vita sacramentale (cfr. AG, 9 et 13; PO, 5)”, Giovanni Paolo II, Dominicae Cenae 7.


26 Preghiera eucaristica II.


27 “Tu doni alla Chiesa di Cristo di celebrare misteri ineffabili nei quali la nostra esiguità di creature mortali si insublima in un rapporto eterno, e la nostra esistenza nel tempo comincia a fiorire nella vita senza fine”, Prefazio della XIX Settimana Per Annum del Messale Ambrosiano.


28 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica 1402-1405.


29 Preghiera Eucaristica I: “Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull’altare del cielo davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del corpo e sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo”. Inoltre cfr. Sacrosanctum Concilium 8.


30 Cfr. Institutio Generalis Missalis Romani (20 aprile 2000) 379-385.


31 Cfr. Paolo VI, Mysterium fidei 35-46; Catechismo della Chiesa Cattolica 1373-1381; Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 15.


32 I testi di Marco e di Matteo (Mc 14, 22-24; Mt 26, 26-28) fanno riferimento all’alleanza sinaitica (cfr. Ex 24, 8), mentre quelli lucano e paolino (Lc 22, 19-20; 1Cor 11, 23ss) alla promessa di un’’alleanza nuova (cfr. Ger 31, 31-34). Per quanto riguarda il magistero cfr.: Concilio di Trento, Sessio XXII. Doctrina de Ss. Missae sacrificio, DS 1738-1759; Pio XII, Mediator Dei, Parte II; Paolo VI, Mysterium fidei, 27-32; Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 12-13.


33 Cfr. Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 13.


34 Cfr. Sacrosanctum Concilium 14.


35 “‘Se non mangiate - dice - la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi’ (Gv 6, 53). Sembra comandare un crimine o un’azione assolutamente ripugnante. In realtà è invece un’espressione figurata con la quale si comanda di partecipare alla passione del Signore”, Agostino, La dottrina cristiana, III, 16, 24.


36 “Viene dunque lo Spirito Santo, il fuoco dopo l’acqua e così voi diventate pane, cioè corpo di Cristo”, Agostino, Discorsi, 227, 1. “Questo è il sacrificio dei cristiani, l’essere cioè molti e un solo corpo in Cristo. La Chiesa celebra questo mistero col sacramento dell’altare, che i fedeli ben conoscono, e nel quale le si mostra chiaramente che nella cosa che si offre essa stessa è offerta”, Agostino, La città di Dio, X, 6.


37 L’Eucaristia diventa immagine dell’unità della Chiesa come il pane deriva da molti grani che, macinati insieme, formano una cosa sola, cfr. Didachè, 9, 4; Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, 26, 17.


38 “Ciò che noi consacriamo è il corpo nato dalla Vergine”, Tommaso, Summa Theologiae III, q. 75, a. 4. L’Aquinate cita esplicitamente il De Sacramentis di sant’Ambrogio. Cfr. anche Pascasio Radberto, De corpore et sanguine Domini, VII: “Quibus modis dicitur corpus Christi”: CChCM, 16, 37-40.


39 “La virtù propria di questo pane è l’unità, nel senso che, trasformati in corpo di Cristo, divenuti sue membra, siamo ciò che riceviamo. Allora esso sarà veramente il nostro pane quotidiano”, Agostino, Discorsi, 57, 7, 7.


40 Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis sacramentum (25 marzo 2004) 19-25.


41 Institutio Generalis Missalis Romani (20 aprile 2000) 22.


42 Sacrosanctum Concilium 57.


43 Cfr. Sacrosanctum Concilium 122-129; Sacra Congregazione dei Riti, Inter Oecumenici 90-99; Sacra Congregatio Rituum, Eucharisticum Mysterium 24, 52-57; Congregazione per il Culto Divino, Liturgiae instaurationes 70; Catechismo della Chiesa Cattolica 1179-1186; Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 49.


44 Cfr. Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 21-23.


45 Oltre all’importante invito di Unitatis redintegratio 22 ci limitiamo a ricordare qui i principali documenti dei vari dialoghi interconfessionali sull’Eucaristia. Cfr. Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolico romana e la Chiesa ortodossa, Il mistero della chiesa e dell’Eucaristia alla luce del mistero della santa trinità (Monaco 30 giugno - 6 luglio 1982), in Enchiridion Oecumenicum 1/2183-2197; Anglican-Roman Catholic International Commission, Dottrina sull’eucaristia: Dichiarazione di Windsor 1971, in Enchridion Oecumenicum 1/16-28; Anglican Consultative council - Pontifical Council for Promoting Christian Unity, La Chiesa come comunione (Dichiarazione congiunta 1990), in Enchiridion Oecumenicum 3/38-106; Clarifications of Certain Aspects of the Agreed Statements on Eucharist and Ministry of the First Anglican-Roman Catholic International Commission, together with a Letter from Cardinal Edward Idris Cassidy, President of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity (1993), in Enchiridion Oecumenicum 3/107-124; Clarifications of Certain Aspects of the Agreed Statements on Eucharist and Ministry of the First Anglican-Roman Catholic International Commission, together with a Letter from Cardinal Edward Idris Cassidy, President of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity (Dichiarazione dei copresidenti, 1994), Enchiridion Oecumenicum 3/305-314; Clarifications of Certain Aspects of the Agreed Statements on Eucharist and Ministry of the First Anglican-Roman Catholic International Commission, together with a Letter from Cardinal Edward Idris Cassidy, President of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity (Lettera del card. Cassidy ai copresidenti dell’ARCIC II, 1994), in Enchiridion Oecumenicum 3/315-317; Gemeinsame römisch-katholische/evangelisch-lutherische Kommission, Das Herrenmahl (1978), in Enchiridion Oecumenicum 1/1207-1307; Commissione mista di studio cattolico romana-riformata, Rapporto ufficiale del dialogo (1979-1977) su La presenza di Cristo nella Chiesa e nel mondo, Roma, marzo 1977, in Enchiridion Oecumenicum 1/2383-2408; Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle chiese, One baptism, one Eucharist and a Mutually Recognized Ministry. Three agreed statements, Accra 23 luglio - 5 agosto 1974, in Enchiridion Oecumenicum 1/2860-3031; Id., Baptism, Eucharist and Ministry (Documento di Lima), in Enchiridion Oecumenicum 1/3032-3181; Segretariato per l’unione dei cristiani, “Baptism, Eucharist and Ministry”, Faith and Order Paper n. 111 (BEM). A catholic response (21 luglio 1987), in Enchiridion Vaticanum 10/1914-2078.


46 Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Communionis notio (28 maggio 1992) 17.


47 “Anche se ancora non concordiamo nella questione dell'interpretazione e della portata del ministero petrino, stiamo però insieme nella successione apostolica, siamo profondamente uniti gli uni con gli altri per il ministero vescovile e per il sacramento del sacerdozio e confessiamo insieme la fede degli Apostoli come ci è donata nella Scrittura e come è interpretata nei grandi Concili. In quest'ora del mondo piena di scetticismo e di dubbi, ma anche ricca di desiderio di Dio, riconosciamo nuovamente la nostra missione comune di testimoniare insieme Cristo Signore e, sulla base di quell'unità che già ci è donata, di aiutare il mondo perché creda. E supplichiamo il Signore con tutto il cuore perché ci guidi all'unità piena in modo che lo splendore della verità, che sola può creare l'unità, diventi di nuovo visibile nel mondo”, Benedetto XVI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (29 giugno 2005).


48 Insegna il Concilio Vaticano II: “Questa ‘communicatio’ è regolata soprattutto da due principi: esprimere l'unità della Chiesa; far partecipare ai mezzi della grazia. Essa è, per lo più, impedita dal punto di vista dell'espressione dell'unità; la necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda”, Unitatis redintegratio 8. Inoltre cfr.: Orientalium Ecclesiarum 26-29; Secretariatus ad christianorum unitatem fovendam, Directorium ad ea quae a Concilio Vaticano II de re oecumenica promulgata sunt exsequenda, Pars prima Ad totam Ecclesiam (14 maggio 1967); Pars altera Spiritus Domini (16 aprile 1970); Instructio In quibus rerum circumstantiis de peculiaribus casibus admittendi alios christianos ad communionem eucharisticam in Ecclesia cattolica (1 giugno 1972); Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’Ecumenismo III (25 marzo 1993); Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 43-46.


49 Catechismo della Chiesa Cattolica 1327: “In breve, l’Eucaristia è il compendio e la somma della nostra fede: ‘il nostro modo di pensare è conforme all’Eucaristia, e l’Eucaristia, a sua volta, coincide con il nostro modo di pensare’ (Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 18, 5)”.


50 Cfr. Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 44.


51 Cfr. Codex Iuris Canonici 844; Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium 671; Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’Ecumenismo nn. 123-125, 130-132. “In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza dei singoli fedeli, non di realizzare una intercomunione, impossibile fintanto che non siano appieno annodati i legami visibili della comunione ecclesiale”, Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 45.


52 Cfr. Giovanni Paolo II, Ut Unum sint 46.


53 Sacrosanctum Concilium 56: “Le due parti che costituiscono in certo modo la Messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto”.


54 La delicatezza e la straordinaria importanza della questione dovrebbero dar luogo, nella presente Assemblea Sinodale, ad un ampio confronto teso a raccogliere e valorizzare le più diverse testimonianze circa la preparazione, i contenuti e le modalità di comunicazione propri dell’omelia.


55 È importante segnalare in merito al rapporto tra Scrittura ed Eucaristia il fatto che la celebrazione sacramentale costituisce il contesto paradigmatico della lettura della Sacra Scrittura e della sua interpretazione.


56 “Habens ergo novus sacerdos, non iam vetus Melchisedech, neque natus caro de carne, non de sudore suo, neque de terra, cui misere et multiplicate servit; sed novus Iesus natus de Spiritu spiritus, de donis ac datis divinis, de coelo coelestem hostiam carnis et sanguinis offert, dicens, non ut prius timide, neque hostiam servitutis, sed cum exsultatione et laetitia”, Isacco della Stella, Epistola De officio missae: PL 194, 1894 B-C.


57 Cfr. Paolo VI, Mysterium fidei 26-34; Catechismo della Chiesa Cattolica 1362-1372; Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 12-13.


58 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica 1384-1390; Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 16-17.


59 “La vittima da ammazzare non è più scelta tra i greggi di animali; ai sacri altari non si conducono più pecore o capri: il sacrificio dei nostri giorni è ormai il corpo e il sangue del Sacerdote stesso. E certamente già dal tempo dei Salmi era stato profetizzato di lui: ‘Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech’ (Sal 109, 4)”, Agostino, Discorsi 228/B, 1. “Fu prima consumato dalle sue mani nella mistica cena, quando appunto prese e spezzò il pane, e poi dalla croce, quando fu affisso su di essa. In quel momento, ricevuta la dignità del sacerdozio o, meglio, poiché da sempre già la possedeva, realizzandola anche con la sua opera, consumò il sacrificio che doveva essere offerto per noi”, Esichio di Gerusalemme, Commento al Levitico, 1, 4.


60 “In questo sacrificio, o Padre, noi tuoi ministri e il tuo popolo santo celebriamo il memoriale della beata passione, della risurrezione dai morti e della gloriosa ascensione al cielo del Cristo tuo Figlio e nostro Signore; e offriamo alla tua maestà divina, tra i doni che ci hai dato, la vittima pura, santa e immacolata, pane santo della vita eterna e calice dell'eterna salvezza”, Preghiera eucaristica I.


61 Cfr. Pier Damiani, Liber qui appellatur, Dominus vobiscum, X: PL 144, 238 D - 239 A.


62 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1076.


63 Cfr. Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogica, 5, 7.


64 “[...] ut omnes in Christo unum simus [Gal 3, 38]. [...] Unitas Ecclesiae ex personis innumerabilibus, diversi sexus, diversae conditionis, diversi ordinis, diversaeque professionis, multis modis solet significari. Hoc autem loco ab Apostolo significatur per unitatem panis et unitatem corporis”, Baldovino di Ford, Il sacramento dell’altare, II, 4: SC 94, 362. Inoltre cfr. Giovanni Crisostomo, Omelia sulla Pentecoste, 1, 4.


65 Cfr. Sacra Congregatio Rituum, Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967) 31-41; Sacra Congregatio de Disciplina Sacramentorum, Immensae caritatis (29 gennaio 1973); Sacra Congregatione pro Cultu Divino, Eucharistiae sacramentum (21 giugno 1973) 13-78; Sacra Congregatio pro Sacramentis et Cultu Divino, Inaestimabile donum (3 aprile 1980) 1-19; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis sacramentum (25 marzo 2004) 80-107.


66 “Novum plane quod carnis Dominicae substantia, in aliena specie sumpta, sanctificationis virtutem animae confert”, Gilberto di Hoyland, In cantica. Sermo VIII, 8: PL 184, 46 D.


67 “Grande davvero ed ineffabile è il sacramento, nel quale mangiamo veramente la tua carne e beviamo veramente il tuo sangue: mistero che incute spavento e tremore, la cui altezza respinge lo sguardo umano che intende scrutarlo. [...] Il sacrificio della nostra redenzione, per l’esercizio del mio ministero, si dilati per tua compassione e tuo dono fino a recare salvezza a tutti i fedeli, vivi e defunti”, Giovanni di Fecamp, Confessione teologica, III parte, 28.


68 Cfr. Congregatio pro Clericis et Aliae, Instr. Ecclesiae de Mysterio (15 agosto 1997); Congregatio pro Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum, Directorium de celebrationibus dominicalibus absente presbytero (2 giugno 1988).


69 La diocesi, come insegna il Concilio Vaticano II, è quella “porzione del popolo di Dio affidata alle cure pastorali del vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore, e da questi radunata nello Spirito Santo per mezzo del Vangelo e della Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica”, Christus Dominus 11.


70 Cfr. Regola di San Benedetto 62, 1.


71 La tradizione teologica e magisteriale ha fatto ricorso alla categoria di transustanziazione anche per esprimere più adeguatamente questo aspetto essenziale della fede eucaristica. Cfr. Concilio di Trento, Sessio XIII. Decretum de Ss. Eucharistia, DS 1642 e 1652; Paolo VI, Mysterium fidei 40 e 47; Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 15.


72 Cfr. XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi: L’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. Lineamenta 60.


73 Per cui Agostino può dire “nessuno mangia quella carne senza averla prima adorata”, aggiungendo che se si mangia quella carne senza adorarla si pecca, cfr. Agostino, Esposizioni sui Salmi 98, 9.


74 Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 25: “Il culto reso all'Eucaristia fuori della Messa è di un valore inestimabile nella vita della Chiesa. Tale culto è strettamente congiunto con la celebrazione del Sacrificio eucaristico. La presenza di Cristo sotto le sacre specie che si conservano dopo la Messa - presenza che perdura fintanto che sussistono le specie del pane e del vino - deriva dalla celebrazione del Sacrificio e tende alla comunione, sacramentale e spirituale [...]. Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l'arte della preghiera (NMI 32), come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento?”.


75 Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa per la celebrazione della XX Giornata Mondiale della Gioventù nella spianata di Marienfeld (21 agosto 2005).


76 Cfr. Codex Iuris Canonici 938.


77 Cfr. Sacra Congregatio Rituum, Eucharisticum mysterium (25 maggio 1967) 49-67; Sacra Congregatione pro Cultu Divino, Eucharistiae sacramentum (21 giugno1973) 1-12, 79-112; Sacra Congregatio pro Sacramentis et Cultu Divino, Inaestimabile donum (3 aprile 1980) 20-27; Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis sacramentum (25 marzo 2004) 129-145.


78 “La presenza eucaristica di Cristo - il suo sacramentale ‘sono con voi’ - permette alla Chiesa di scoprire sempre più profondamente il proprio mistero, come attesta tutta l’ecclesiologia del Vaticano II, per il quale ‘la Chiesa è in Cristo come un sacramento, o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’ (LG 1). Come sacramento la Chiesa si sviluppa dal mistero pasquale della ‘dipartita’ di Cristo, vivendo della sempre nuova sua ‘venuta’ per opera della Spirito Santo, all’interno della stessa missione del Paraclito-Spirito di verità”, Giovanni Paolo II, Dominum et vivificantem 63.


79 Giovanni Paolo II, Mane Nobiscum Domine 18: “Restiamo prostrati a lungo davanti a Gesù presente nell'Eucaristia, riparando con la nostra fede e il nostro amore le trascuratezze, le dimenticanze e persino gli oltraggi che il nostro Salvatore deve subire in tante parti del mondo”.


80 “Chi si accosta all’Eucaristia nello stato di peccato è peggiore del demonio”, Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, 82, 6. “Dappertutto, pertanto, viene rispettato l’ordinato svolgimento del mistero: prima si procede al rimedio delle ferite mediante la remissione dei peccati, successivamente l’alimento della mensa celeste vien dato in abbondanza”, Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo san Luca, 6, 71.


81 Cfr. Concilio di Trento, Sessio XIII. Decretum de Ss. Eucharistia, DS 1661.


82 Cfr. Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia 17 e 27; Catechismo della Chiesa Cattolica 1385.


83 “Non tutte le medicine vanno bene per tutte le malattie. [...] Similmente il battesimo e la penitenza sono come delle medicine depuranti (medicinae purgativae) che si somministrano per togliere la febbre del peccato. L’Eucaristia è invece un ricostituente (medicina confortativa) che non dev’essere concesso, se non a quanti sono già liberi dal peccato”, Tommaso, Summa Theologiae III, q. 80, a. 4, ad 2um.


84 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica 1449-1460.


85 Giovanni Paolo II, Redemptor hominis 20: “Senza questo costante e sempre rinnovato sforzo per la conversione, la partecipazione all'Eucaristia sarebbe priva della sua piena efficacia redentrice, verrebbe meno o, comunque, sarebbe in essa indebolita quella particolare disponibilità di rendere a Dio il sacrificio spirituale, in cui si esprime in modo essenziale e universale la nostra partecipazione al sacerdozio di Cristo”.


86 Cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 84; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14 settembre 1994.


87 Cfr. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 57.


88 Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem 26: “Ci troviamo al centro stesso del Mistero pasquale, che rivela fino in fondo l'amore sponsale di Dio. Cristo è lo Sposo perché ‘ha dato se stesso’: il suo corpo è stato ‘dato’, il suo sangue è stato ‘versato’ (cf. Lc 22, 19-20). In questo modo ‘amò sino alla fine’ (Gv 13, 1). Il ‘dono sincero’, contenuto nel sacrificio della Croce, fa risaltare in modo definitivo il senso sponsale dell'amore di Dio. Cristo è lo Sposo della Chiesa, come redentore del mondo. L'Eucaristia è il sacramento della nostra redenzione. È il sacramento dello Sposo, della Sposa. L'Eucaristia rende presente e in modo sacramentale realizza di nuovo l'atto redentore di Cristo, che ‘crea’ la Chiesa suo corpo (...) Prima di tutto nell'Eucaristia si esprime in modo sacramentale l'atto redentore di Cristo Sposo nei riguardi della Chiesa Sposa. Ciò diventa trasparente ed univoco, quando il servizio sacramentale dell'Eucaristia, in cui il sacerdote agisce ‘in persona Christi’, viene compiuto dall'uomo”. Inoltre cfr. Concilio di Trento, Sessio XXII. Decretum de Missa, DS 1740; Catechismo della Chiesa Cattolica 1617.


89 Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati (14 settembre 1994) 7-8.


90 Cfr. Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi, Dignitas connubii, 25 gennaio 2005.


91 Dopo la comunione, nel rito bizantino, il sacerdote implora: “O nostra santissima Pasqua, Cristo, Sapienza, Verbo e Potenza di Dio, fa che possiamo partecipare a te in un modo ancora più perfetto, nella luce inesauribile del tuo Regno a venire”, La Liturgie de saint Jean Chrysostome, Ed. des Bénédictins de Chèvetogne, 19574, 60.


92 “‘Quando ti siedi alla mensa di un potente, considera bene che cosa hai davanti; metti un freno alla tua gola, sapendo che dovrai ricambiare’ (Pr 23, 1-2). Voi conoscete qual è la mensa del Potente; su di essa c’è il corpo e il sangue di Cristo, chi si accosta a tale mensa, si appresti a ricambiare. E che significa: si appresti a ricambiare? Significa che come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi per edificare il popolo e confermare la fede, dobbiamo dare le nostre vite per i fratelli”, Agostino, Commento al Vangelo di San Giovanni, 47, 2.


93 Giovanni Paolo II, Mane nobiscum Domine 24-25: “Entrare in comunione con Cristo nel memoriale della Pasqua significa, nello stesso tempo, sperimentare il dovere di farsi missionari dell'evento che quel rito attualizza. Il congedo alla fine di ogni Messa costituisce una consegna, che spinge il cristiano all'impegno per la propagazione del Vangelo e la animazione cristiana della società. Per tale missione l'Eucaristia non fornisce solo la forza interiore, ma anche - in certo senso - il progetto. Essa infatti è un modo di essere, che da Gesù passa nel cristiano e, attraverso la sua testimonianza, mira ad irradiarsi nella società e nella cultura”.


94 “Si deve quindi sempre tener presente che la parola di Dio, dalla Chiesa letta e annunziata nella liturgia, porta in qualche modo, come al suo stesso fine, al sacrificio dell’alleanza e al convito della grazia, cioè all’Eucaristia. Pertanto la celebrazione della Messa, nella quale si ascolta la parola e si offre e si riceve l’Eucaristia, costituisce un unico atto del culto divino, con il quale si offre a Dio il sacrificio di lode e si comunica all’uomo la pienezza della redenzione”, Ordo Lectionum Missae 10.


95 “Alcuni però per ignoranza o anche per semplicità d’animo non ripetono nella consacrazione del calice e nella distribuzione dell’Eucaristia quello che Gesù Cristo, nostro Signore e Dio, ha fatto ed ha prescritto di ripetere. Ho tenuto quindi necessario e conforme alla pietà cristiana scriverti una lettera a questo proposito, anche se qualcuno commette ancora questo errore affinché possa scoprire la verità in tutta la sua luce e possa ritornare alle origini dell’insegnamento divino”, Cipriano, Lettera “De sacramento calicis Dominici”, 63, 1. Cfr. anche Basilio, Sullo Spirito Santo, 27, 66.


96 Cfr. Sacrosanctum Concilium 11.


97 Cfr. Sacrosanctum Concilium 14.


98 Cfr. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis sacramentum (25 marzo 2004) 43-47.


99 Cfr. Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Redemptionis sacramentum (25 marzo 2004) 117-128.


100 È opportuno ricordare che l’ars celebrandi necessita di luoghi paradigmatici di riferimento che possano aiutare tutto il popolo cristiano. A questo proposito è opportuno richiamare l’importanza delle celebrazioni dei Vescovi nelle Chiese Cattedrali (cfr. Institutio Generalis Missalis Romani [20 aprile 2000] 22), nonché la singolare funzione che possono svolgere gli istituti di vita consacrata, in particolare le comunità monastiche (cfr. Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte 32-34; Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, Istruzione Ripartire da Cristo 8, 25-26, 31).


101 Cfr. Ad gentes 22; Congregazione del Culto Divino, Varietates legitimae (25 gennaio 1994); Giovanni Paolo II, Redemptoris missio 25, 52-54, 76, 85; Id., Fides et ratio 61 e 72; Id., Ecclesia de Eucharistia 51.


102 In questa direzione va la raccomandazione di Sacrosanctum Concilium 38: “Salva la sostanziale unità del rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni; e sarà bene tener opportunamente presente questo principio nella struttura dei riti e nell'ordinamento delle rubriche”.


103 Si veda in proposito il Missel romain pour les diocèses du Zaïre e l’approvazione dell’Ordo Missae per l’India. Tentativi in questo senso sono stati fatti anche in America Latina.


104 Cfr. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio 52-55.


105 “‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui’ (Gv 6, 56). Mangiare questo cibo e bere questa bevanda, vuol dire dimorare in Cristo ed averlo sempre in noi”, Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 26, 18.


106 Come dice la lettera a Diogneto: “I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera”, Lettera a Diogneto V, 1-5.


107 Liturgia delle Ore, Lunedì della Seconda Settimana, Vespri, Antifona 3.


108 Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, n. 20: “Conseguenza significativa della tensione escatologica insita nell'Eucaristia è anche il fatto che essa dà impulso al nostro cammino storico, ponendo un seme di vivace speranza nella quotidiana dedizione di ciascuno ai propri compiti. Se infatti la visione cristiana porta a guardare ai ‘cieli nuovi’ e alla ‘terra nuova’ (cf. Ap 21, 1), ciò non indebolisce, ma piuttosto stimola il nostro senso di responsabilità verso la terra presente [...] annunziare la morte del Signore ‘finché egli venga’ (1 Cor 11, 26) comporta, per quanti partecipano all'Eucaristia l'impegno di trasformare la vita, perché essa diventi, in certo modo, tutta ‘eucaristica’. Proprio questo frutto di trasfigurazione dell'esistenza e l'impegno a trasformare il mondo secondo il Vangelo fanno risplendere la tensione escatologica della Celebrazione eucaristica e dell'intera vita cristiana: ‘Vieni, Signore Gesù!’ (Ap 22, 20)”.


109 Giovanni Damasceno, seguito dalla tradizione ortodossa, non esita ad affermare: “E io onoro e tratto con venerazione la materia; attraverso essa è stata operata la mia salvezza”, Giovanni Damasceno, Orationes de imaginibus I, 16.


110 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un convegno su ambiente e salute, 24 marzo 1997, n. 5.


111 Cfr. Francesco d’Assisi, Prima Ammonizione: “O figli degli uomini, sino a quando avrete un cuore duro (Sal 4, 3)? Perché non conoscete la verità e non credete nel Figlio di Dio (Gv 9, 35)? Ecco, ogni giorno egli si umilia (Fil 2, 8), come quando dalle sedi regali (Sap 18, 15) scese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in umili apparenze; ogni giorno discende dal seno del Padre (Gv 1, 18; 6, 38) sull’altare nelle mani del sacerdote. E, come ai santi apostoli apparve in vera carne, così ora a noi si mostra nel pane sacro. E come essi, con i loro occhi corporei, vedevano soltanto la sua carne ma lo credevano Dio poiché lo contemplavano con gli occhi dello spirito, così pure noi, vedendo con gli occhi del corpo il pane e il vino, dobbiamo vedere e credere fermamente che sono il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero. In tal modo il Signore è sempre con i suoi fedeli, così come egli dice: Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo (Mt 28, 20)”, Fonti Francescane, Edizioni Messaggero, Padova 1980, 138.


112 Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un convegno su ambiente e salute, 24 marzo 1997, n. 2.


113 Giovanni Paolo II, Dominicae Cenae 5: “Il culto eucaristico costituisce l'anima di tutta la vita cristiana. Se infatti la vita cristiana si esprime nell'adempimento del più grande comandamento, e cioè nell'amore di Dio e del prossimo, questo amore trova la sua sorgente proprio nel santissimo sacramento, che comunemente è chiamato: sacramento dell'amore. L'eucaristia significa questa carità, e perciò la ricorda, la rende presente e insieme la realizza”.


114 “Vi è inoltre ben noto, venerabili fratelli, che l’Eucaristia è conservata nei templi e negli oratori come centro spirituale della comunità religiosa e parrocchiale, anzi della Chiesa universale e di tutta l’umanità, perché sotto il velo delle sacre specie contiene Cristo capo invisibile della Chiesa, redentore del mondo, centro di tutti i cuori, ‘per cui sono tutte le cose e noi per lui’ (1Cor 8, 6). Ne consegue che il culto eucaristico muove fortemente l’animo a coltivare l’amore ‘sociale’, col quale si antepone al bene privato il bene comune; facciamo nostra la causa della comunità, della parrocchia, della Chiesa universale; ed estendiamo la carità a tutto il mondo, perché dappertutto sappiamo che ci sono membra di Cristo”, Paolo VI, Mysterium fidei, 68 e 69.


115 Cfr. Lumen gentium 52-69.


116 Cfr. Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia 53-58.
[00009-01.16] [NNNNN] [Testo originale: latino]





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