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Platone Il Fedone IntraText CT - Lettura del testo |
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Se ben ricordo, dopo che fummo d'accordo con lui e ammettemmo che ogni Idea ha una sua esistenza reale e che tutte le cose sensibili, partecipando di queste Idee, ne prendono il nome, egli riprese, ponendo questa domanda: «Se tu condividi tutto questo,» disse, «quando affermi che Simmia è più grande di Socrate ma più piccolo di Fedone, non vieni a dire che in Simmia vi sono, nello stesso tempo, l'una e l'altra cosa, cioè la Grandezza e la Piccolezza?» «Sicuro.» «Ma, in realtà sei d'accordo che quando dici che Simmia è più grande di Socrate, le parole non corrispondono alla verità dei fatti? E che, in effetti, non è della natura di Simmia l'essere più grande per questo, cioè, per il fatto che è Simmia, ma perché ha in sé, per caso, la Grandezza e che, d'altronde, supera Socrate non in quanto Socrate è Socrate ma perché questi ha la Piccolezza in confronto alla Grandezza di lui?» «È vero.» «E che se a sua volta è più basso di Fedone, questo non dipende dal fatto che Fedone è Fedone ma perché Fedone ha in sé la Grandezza rispetto alla Piccolezza di Simmia? Così che, possiamo dire che Simmia è grande e piccolo nello stesso tempo essendo la sua statura intermedia, perché con la sua grandezza supera la piccolezza dell'uno e lascia insieme superare la sua piccolezza dalla grandezza dell'altro. Mi pare di parlare,» soggiunse con un sorriso, «come un notaio, ma le cose stanno proprio così come dico.» «E se dico questo è perchè voglio che anche tu la pensi come me. A me, tuttavia, sembra chiara una cosa, che cioè non solo la Grandezza in sé non può mai essere grande e piccola nello stesso tempo, ma anche la grandezza che è in noi, non può accogliere la Piccolezza e lasciarsi superare. Quindi, una delle due: o la Grandezza cede e fugge quando le si avvicina il suo contrario, cioè la Piccolezza o, quando questa subentra, scompare, ma mai che possa restarsene lì, accogliere in sé la Piccolezza ed essere diversa da quello che era. Io, per esempio, accogliendo in me la Piccolezza, resto sempre quello che sono, cioè un uomo piccolo, ma la Grandezza, invece, essendo tale, non può accogliere la Piccolezza. E lo stesso discorso vale per la piccolezza che è in noi, che non può assolutamente diventar grande e restare quello che era e, così, ogni contrario, che non tollera di diventare o di essere, nello stesso tempo, il suo contrario e se ciò dovesse accadere o cessa di essere o scompare.» «Sembra anche a me chiarissimo,» confermò Cebete.
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