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Platone
Il Fedone

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  • LXVI
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LXVI

E Critone, allora, fece cenno a un suo servo che se ne stava in disparte. Questi uscì e dopo un po' tornò con l'uomo che, in una ciotola, portava già tritato il veleno che doveva somministrargli.

«Tu, brav'uomo, che sei pratico di queste cosedisse Socrate vedendolo, «cos'è, allora, che bisogna fare?»

«Nient'altro che bere e poi passeggiare un po' per la stanza finché non ti senti le gambe pesanti; poi ti metti disteso e così farà il suo effetto

Così dicendo porse la ciotola a Socrate. La prese, Echecrate, con tutta la sua serenità, senza alcun tremito, senza minimamente alterare colore o espressione del volto, ma guardando quell'uomo, di sotto in , con quei suoi occhi grandi di toro. «Che ne dici di questa bevanda, se ne può fare o no libagione a qualcuno? È permesso

«Socrate, noi ne tritiamo giusta la quantità che serve

«Capisco, ma pregare gli dei che il trapasso da qui all'al di , avvenga felicemente, questo mi pare sia lecito; questo io voglio fare e così sia.»

Così dicendo, tutto d'un fiato, vuotò tranquillamente la ciotola.

Molti di noi che fino allora, alla meglio, erano riusciti a trattenere le lacrime, quando lo videro bere, quando videro che egli aveva bevuto, non ce la fecero più; anche a me le lacrime, malgrado mi sforzassi, sgorgarono copiose e nascosi il volto nel mantello e piansi me stesso, oh, piansi non per lui ma per me, per la mia sventura, di tanto amico sarei rimasto privo. Critone, poi, ancora prima di me, non riusciva a dominarsi e s'era alzato per uscire. Apollodoro, poi, che fin dal principio non aveva fatto che piangere, scoppiò in tali singhiozzi e in tali lamenti che tutti noi presenti ci sentimmo spezzare il cuore, tranne uno solo, Socrate, anzi: «Ma che state facendo?» esclamò. «Siete straordinari. E io che ho mandato via le donne perché non mi facessero scene simili; a quanto ho sentito dire, bisognerebbe morire tra parole di buon augurio. State calmi, via, e siate forti

E noi, provammo un senso di vergogna a sentirlo parlare così e trattenemmo il pianto. Egli, allora, andò un po' su e giù per la stanza, poi disse che si sentiva le gambe farsi pesanti e cosi si stese supino come gli aveva detto l'uomo del veleno il quale, intanto, toccandolo quando in quando, gli esaminava le gambe e i piedi'e a un tratto, premette forte un piede chiedendogli se gli facesse male. Rispose di no. Dopo un po' gli toccò le gambe, giù in basso e poi, risalendo man mano, sempre più in su, facendoci vedere come si raffreddasse e si andasse irrigidendo. Poi, continuando a toccarlo: «Quando gli giungerà al cuoredisse, «allora, sarà finita

Egli era già freddo, fino all'addome, quando si scoprì (s'era, infatti, coperto) e queste furono le sue ultime parole: «Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non ve ne dimenticate

«Certo,» assicurò Critone, «ma vedi se hai qualche altra cosa da dire

Ma lui non rispose. Dopo un po' ebbe un sussulto. L'uomo lo scoprì: aveva gli occhi fissi.

Vedendolo, Critone gli chiuse le labbra e gli occhi.

Questa, Echecrate, la fine del nostro amico, un uomo che fu il migliore, possiamo ben dirlo, fra quanti, del suo tempo, abbiamo conosciuto e, senza paragone, il più saggio e il più giusto.




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