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Platone Il Fedone IntraText CT - Lettura del testo |
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«Cosa ne pensi, dunque, Simmia, che noi siamo nati già sapienti, oppure che, man mano, in seguito, ci ricordiamo di quanto già conoscevamo?» «Mah, così sul momento, non so proprio che cosa dire, Socrate.» «Però saprai dirmi la tua opinione almeno su questo: un uomo che sa, sarà in grado di render conto delle cose che sa?» «Certo che lo sarà, Socrate.» «E credi che tutti siano capaci di dare una ragione delle realtà di cui ora parlavamo?» «Ah, lo vorrei proprio, ma temo,» rispose Simmia, «che domani a quest'ora non ci sarà nessuno capace di cavarsela degnamente.» «Quindi, Simmia, secondo te, non tutti conoscono queste realtà?» «Ah, no di certo.» «Allora si ricordano di quello che appresero un tempo?» «Certamente.» «Ma quand'è che le nostre anime hanno conosciuto queste realtà? Non certo da quando è iniziata la nostra vita umana?» «No, certo.» «Allora prima?» «Sì.» «Quindi, Simmia, le anime esistevano prima ancora di assumere forma umana, separate dal corpo e dotate di intelligenza.» «A meno che, Socrate, questa conoscenza non l'acquistiamo al momento di nascere. C'è anche questa eventualità.» «Ah, sì? Ma allora quand'è che noi perdiamo la conoscenza di queste realtà? Infatti, abbiamo appena detto che noi non la possediamo alla nostra nascita. O pensi che la perdiamo nel momento stesso in cui l'abbiamo acquistata? O mi sai dire quando?» «No, Socrate e ora m'accorgo di aver detto una sciocchezza.»
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