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Platone
Il Fedone

IntraText CT - Lettura del testo

  • XXV
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XXV

«Anzitutto,» riprese Socrate, «dobbiamo chiederci qual è la cosa destinata a dissolversi e per la quale, perciò, noi temiamo la morte e quale invece, no. In seguito considereremo a quale delle due appartenga l'anima; ed è solo allora che potremo star tranquilli o temere per la sua morte

«È verodisse.

«Non credi che soltanto ciò che è composto, che è tale per natura, è soggetto a una corrispondente decomposizione, mentre ciò che, per sua natura, non è composto sfugge a tale destino

«Sembra così anche a me,» ammise Cebete.

«E le cose non composte non sono quelle che restano sempre costanti e immutabili mentre quelle composte mutano continuamente e assumono ora un aspetto ora un altro?»

«Certo.»

«E allora, torniamo al discorso di prima. Quella realtà in sé di cui, tra domande e risposte, demmo la definizione, resta sempre la stessa o muta di volta in volta? L'eguale in sé, il bello in sé, la realtà in sé di ogni cosa, la sua essenza, sono, per quanto poco, mutabili? O piuttosto, ciascuna di queste realtà, che esiste in sé e per sé, resta costante e immutabile e non ammette, in alcun modo, giammai, alcuna alterazione

«Ah, resta sempre costante e invariabile, penso, Socrateconfermò Cebete.

«E che ne pensi di tutte le molteplici altre cose, come gli uomini, i cavalli, i vestiti e cosi via, di tutte quelle cose, insomma, che sono eguali o belle, che hanno lo stesso nome delle realtà in sé? Restano immutabili o, al contrario delle suddette realtà, non sono mai identiche a se stesse o tra loro, mai, per cosi dire, invariabili

«È così,» ammise Cebete, «esse non hanno mai il medesimo aspetto

«Ebbene, tutte queste cose tu le puoi vedere, toccare, percepire con i sensi, mentre quelle immutabili non puoi coglierle se non attraverso il pensiero e la meditazione. Non si sottraggono, forse, alla nostra vista, non sono esse invisibili

«È verissimo quello che dici




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