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Platone
Il Fedone

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  • XLIV
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XLIV

«Bene, allora,» riprese Socrate, «per quel che riguarda Armonia, quella tebana, in un certo qual modo ce la siam fatta amica; ma, Cebete, come la mettiamo con Cadmo, in che modo e con quale ragionamento possiamo tirarcelo dalla nostra parte?»

E Cebete: «Il modo lo saprai trovare tu. Il ragionamento che ora hai fatto contro la tesi dell'armonia è stato addirittura straordinario da superare ogni mia aspettativa. Infatti, mentre Simmia parlava esponendo i suoi dubbi in proposito, io mi chiedevo tutto stupito se vi potesse essere qualcuno capace di spuntarla contro le sue obiezioni e, così, mi parve addirittura incredibile come esse crollassero di fronte al primo assalto delle tue parole. Non mi meraviglierei, quindi, affatto che capitasse lo stesso alla tesi di Cadmo.»

«Mio buon amico,» disse Socrate, «non vantiamoci troppo, può essere di cattivo augurio e rovinarci tutto il ragionamento che ci accingiamo a fare. Dopo tutto, anche in questo caso, siamo nelle mani di dio; da parte nostra facciamoci sotto, come i guerrieri di Omero, e vediamo, un po' se in quello che hai detto c'è qualcosa di buono. In poche parole tu chiedi che ti si mostri che la nostra anima è immortale e incorruttibile, se si vuole che la speranza di un filosofo, in punto di morire, che crede di essere felice dopo morto, in un'altra vita, assai più che se fosse vissuto in modo del tutto diverso, non sia una vana e sciocca speranza. Dire, poi, che l'anima è qualcosa di resistente e di divino e che esisteva già prima che noi divenissimo creature umane, questo - seconto te - non prova che essa sia immortale ma solo, tutt'al più, che è più durevole e che è vissuta precedentemente in qualche luogo, per lunghissimo tempo e che sapeva e faceva molte cose; il fatto stesso, poi, che la sua discesa in un corpo umano segni il principio della sua fine e sia come l'inizio di una malattia, è un altro motivo per non credere nella sua immortalità, per cui essa vive tutta questa nostra vita fra mille tribolazioni fino a quando, al sopraggiungere della cosiddetta morte, non si dissolve del tutto. Infine dicevi che non c'è differenza, per quel che riguarda il nostro timore della morte, se l'anima entri una sola volta in un corpo o se le sue reincarnazioni siano numerose; perché chi non sa e non può dimostrare che essa è immortale, ha sempre mille ragioni di temere, almeno che non sia fuor di senno. Questo, Cebete, presso a poco, è quello che tu hai affermato; io l'ho riassunto a bella posta perché niente possa sfuggirci e perché tu possa, se credi, aggiungervi o togliervi qualcosa.»

E Cebete: «No, non devo togliere né aggiungere altro: questo è ciò che sostengo.»




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