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Platone
Il Fedone

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  • XXVI
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XXVI

«E allora, vuoi che ammettiamo due realtà, una visibile e l'altra invisibile?»

«Ammettiamolo, certo,» disse.

«E che quella invisibile resta sempre immutabile, mentre la visibile mai?»

«Ammettiamo anche questo,» confermò.

«E dimmi,» continuò Socrate, «noi non siam fatti, per una parte, di corpo e per l'altra, di anima?»

«Certo.»

«E a quale delle due realtà credi che, per natura, il corpo sia più affine?»

«È chiaro a tutti,» rispose, «che è più affine a quella visibile.»

«E l'anima? Alla visibile o all'invisibile?»

«A quest'ultima, Socrate, almeno per l'uomo.»

«Ma quando noi parliamo di realtà visibile o meno, la diciamo tale rispetto alla natura umana o, pensi, rispetto a qualche altra?»

«A quella umana, certo.»

«E che diciamo dell'anima che è visibile o che non è visibile?»

«Che non è visibile.»

«Che è dunque invisibile?»

«Sì.»

«Quindi l'anima somiglia, più del corpo, alla realtà invisibile e il corpo a quella visibile.»

«Necessariamente, Socrate.»




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