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Platone Il Fedone IntraText CT - Lettura del testo |
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XXXI «E si legano, com'è naturale, a quei corpi che hanno abitudini e sistemi di vita che esse praticarono nella loro precedente esistenza.» «E quali sarebbero, Socrate?» «Che quelle anime, per esempio, che più di ogni cosa, si abbandonarono ai piaceri del ventre, a quelli della carne o, del bere, senza alcuna misura, è probabile che entrino in corpi d'asino o di animali del genere. Non credi?» «È probabile ciò che dici.» «E quelle che poi preferirono ingiustizie, tirannidi, rapine, entreranno in corpi di lupi, di sparvieri, di nibbi. E dove potrebbero andare tali anime?» «Ah, certo, in corpi simili,» ammise Cebete. «Non è chiaro, allora,» continuò Socrate, «che anche per le altre anime, il loro destino sarà corrispondente alle loro precedenti abitudini?» «Chiaro, non potrebbe essere altrimenti.» «E tra queste ultime, le più felici, quelle che andranno nella sede migliore, non saranno quelle che praticarono le virtù sociali e civili, cioè quelle virtù che vengon chiamate temperanza e giustizia, che nascono dalla consuetudine e dalla pratica della vita, senza, però, il concorso della filosofia e della riflessione?» «Ma com'è che saranno più felici?» «Perché è probabile che ritornino in una specie di animali mansueti, che vivono associati, come api, vespe, formiche o anche in forma umana, generando uomini buoni.» «È probabile.»
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