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Platone
Il Protagora

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[348] Mi sembra che tu ed io dobbiamo imitare proprio questi uomini: lasciamo stare i poeti e con i nostri soli mezzi discutiamo fra noi mettendo alla prova la verità e noi stessi. Se vuoi fare tu le domande, sono pronto a risponderti; se non vuoi, permettimi di concludere quei discorsi che abbiamo lasciato a metà".

Mentre io parlavo in questo modo, Protagora non manifestava affatto quale fosse la sua intenzione. Allora Alcibiade, rivolto a Callia, disse: "Callia, ti sembra che ora Protagora si stia comportando bene, non volendo manifestare se discuterà o no? A me sembra di no. Discuta o dica che non vuole farlo, ci faccia conoscere le sue intenzioni: Socrate potrà parlare con qualcun altro o chiunque altro lo voglia potrà parlare con un altro".

A questo punto Protagora, vergognandosi, come a me sembrò, sia per le parole di Alcibiade, sia per le preghiere di Callia e degli altri presenti - quasi tutti - a malincuore decise di discutere. Mi invitò a fare le domande, promettendo che avrebbe risposto.

Io dissi: "Protagora, non pensare che io, nel parlare con te, abbia altro scopo se non esaminare questioni su cui di volta in volta sono incerto. Io credo infatti che Omero abbia ragione: quando due camminano insieme, uno comprende prima dell’altro.

Noi uomini, tutti insieme, abbiamo più risorse di fronte a ogni azione, discorso, pensiero. Se poi «qualcuno pensa da solo», subito va in giro a cercare qualcun altro a cui esporre il proprio pensiero e con cui poterlo confermare, finché non lo incontra. Per lo stesso motivo anche io discuto volentieri con te piuttosto che con un altro, ritenendo che tu possa esaminare nel modo migliore sia le questioni sulle quali è naturale che rifletta un uomo di valore, sia in particolare la virtù.

Chi altri se non tu? Tu ti consideri un uomo virtuoso, ma non come tutti gli altri: questi infatti, pur essendo virtuosi, non rendono tali gli altri; tu, invece, sei virtuoso e sei pure in grado di rendere virtuosi gli altri.




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