[343] Tra
questi c’erano Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Briene, il
nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene, e il settimo tra loro si
narra che fosse Chilone di Sparta. Tutti questi erano ammiratori, amanti e
seguaci dell’educazione spartana: chiunque, dai detti brevi e memorabili che
ciascuno di loro pronunciò, potrebbe comprendere che la loro sapienza era di
origini spartane. Costoro, riunitisi insieme, consacrarono come primizia della
loro sapienza ad Apollo nel tempio di Delfi queste iscrizioni che tutti celebrano,
«Conosci te stesso» e «Nulla di troppo». Per quale motivo dico queste cose? Perché
questo era lo stile della filosofia degli antichi: una brevità spartana.
Privatamente si ripeteva anche questo detto di Pittaco, molto lodato dai
sapienti: «E’ difficile essere onesti». Simonide, dunque, desideroso di essere
annoverato fra i sapienti, capì che se avesse superato questo detto, come un
celebre atleta, e lo avesse vinto, sarebbe stato famoso tra gli uomini del suo
tempo. Contro tale detto, quindi, e per questo motivo compose questo canto,
volendo sottrargli ogni valore, come mi sembra.
Ora esaminiamo tutti insieme il canto, per vedere se dico la
verità. Subito, infatti, sin dai primi versi, sembrerebbe che a parlare sia un
pazzo poiché, mentre afferma che è difficile per un uomo diventare buono,
aggiunge poi quel «però». Il «però», infatti, sembrerebbe essere stato messo
senza motivo, a meno che Simonide non parli volendo polemizzare contro il detto
di Pittaco. Pittaco dice che è difficile mantenersi onesto, Simonide
obbiettando dice «però, non essere, ma diventare buono è veramente difficile,
Pittaco» . Simonide non dice «veramente buono»: il termine «veramente" si
riferisce non a buono, come se esistessero alcuni «veramente buoni», e altri
buoni sì, ma non «veramente» (infatti questo sembrerebbe sciocco e non degno di
Simonide). Bisogna invece pensare che nel canto il «veramente" abbia
un’altra posizione, immaginando che Pittaco parli e Simonide risponda.
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