17.
GIACOSIANA
Canti,
canti Giacosa
Che fra tutti i poeti si
sublima,
Ei che sa l'arte di trovar la
rima
Soave,
armonïosa;
Egli, gentil
troviero
Che corre colla cetra la
gualdana,
Sacrificando a dorata panzana
La poesia
del vero.
Canti!
l'Italia batte
Frenetica le mani e
l'inghirlanda
Lieta attingendo, come Dio
comanda,
Ai ruscelli
di latte.
E voi,
fanciulli imberbi
Anelanti alla gloria di poeta,
Che sognate per l'arte un'altra
meta,
Voi,
pusilli e superbi,
Toglietevi
di testa
Di riuscir vincitori nella
giostra,
Chè tutti in coro chiamano la
vostra
Un'arte
disonesta!
Perchè
continuamente
Parlare un vero che ci muove a
schifo,
Perchè ficcare nella melma il
grifo
E mostrarlo
alla gente?
Non vedete
che in frotta
Le persone per bene son
fuggite?
Il vero, detto come voi lo
dite,
Non sapete
che scotta?
Perchè
nell'avvenire
Inconcussa così la vostra fede?
L'avvenire è in ritardo e chi
ci crede
Può,
aspettando, dormire.
Suvvia,
smettete, o sciocchi,
Tornate a scuola, poveri
figliuoli!
Da quando in qua coi cigni e
gli usignuoli
Gareggiano
i ranocchi?
Soltanto il
trivio acclama
Ai vostri versi che sembrano
prosa,
Ma invece i martelliani di
Giacosa
S'innalzan
sulla fama.
Sciupa per
lui i guanti
Battendo palma a palma, la
signora
Che delle rime bee l'onda
sonora
Come un
bicchier di Chianti,
E vede
lancie, sciarpe
Paggi, scudieri, bionde
castellane.
Sproni d'oro, pennacchi,
durlindane,
E
menestrelli ed arpe,
Poi dal
teatro uscendo,
Del Trionfo d'amor gli
indovinelli
E «i tuoi occhi che sono
tanto belli»
Se ne va
ripetendo.
Poesia di
smeraldo!
Azzurro Medio Evo di cartone!
Giacosa lo cucina al zabajone
E ce lo
serve caldo.
Bravamente
trasporta
Dalle barocche pendole sul
palco
I suoi guerrieri vestiti di
talco,
Ma ciò,
grulli, che importa?
Se Carducci
s'indraga,
C'è Fortis glorïoso e
trionfante
E tra i plausi del pubblico
elegante
C'è
Bellotti che paga.
Spargetevi
di cenere,
Avveniristi tutti quanti siete:
Voi morite di fame? non avete
Indovinato
il genere.
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