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DA SALERNO
A
TEODORO MALIANI
Nelle vie
si affastellano
Piramidi di angurie e di
meloni,
A ogni
passo si scivola
Sulle scorze buttate dai guaglioni2
Che corrono
in camicia,
E lietamente d'una fetta
diaccia
Fan bevanda
ed asciolvere
Mentre in essa si lavano la
faccia.
E sfavilla
la porpora
Dei cardinali agresti — i
pomidoro —
Che al
mercato rosseggiano.
Entro i panieri, come in
concistoro.
Sembra quella
di Napoli
La strada parallela alla marina
Tanto sono
i curricoli;
Vanno e vengono tutta la
mattina.
*
* *
Serrate le
botteghe,
A mezzogiorno la città si
spopola;
Sucide e scarne, somiglianti a
streghe,
Sol
passeggian le zingare.
Hanno come
zendado
Sulle spalle un lenzuol,
fiutano e raspano;
Alle donne che incontran del
contado
Tirano il
ladro oroscopo.
Presso al
caffé d'Europa
I pesciaiuoli, bocconi sul
lastrico,
Fan taciturni una partita a
scopa
O supini
sonnecchiano,
Nè punto li
molesta
Il sol che piove le bollenti
gocciole:
Han due dita di lardo sulla
testa
E cuoio è
l'epidermide.
*
* *
Il sole è a piombo.
Dell'ardente asfalto
Par che
acciechi il riverbero,
Ti sghignazza negli occhi un
visibilio
Di biacca e
di cobalto.
Non fa una ruga il mare, si
distende
Nella sua
conca e sfolgora;
Senza un battello, riceve
pacifico
La vampa
che l'accende.
Ma là cupa galleggia in mezzo
al porto
La spezzata
Silistria3;
Dormi, o mare, abbracciato al
negro feretro,
Dormi pure
e fa il morto
Sui carcami dei venti marinari
Che non
volesti rendere!
Pel nuovo autunno, in questa
calma perfida,
Nuove burle
prepari?
*
* *
Teodoro,
t'aspetto.
Togliti al
tuo cenobio
Dove, come un pascià, vivi
soletto
In un harem di idee giovani e
splendide.
Qui le ritroverai,
Sotto il
ciel di Partenope,
Insieme ad altre che ancora non
sai,
Benedette dal sol, vestite
d'iride.
Vieni, gaia
è Salerno
E al tuo
Nervi somiglia:
Nei giardini, anche qui
l'arancio è eterno
E spicca tra gli ulivi e le
margaridi;
Anche qui
la collina
Che di case
biancheggia,
Si fa città scendendo alla
marina
Dove si allarga in ampio
semicircolo.
*
* *
Tu che artista e poeta, delle
italiche
Infrante glorie i monumenti
interroghi,
E nelle
pietre scruti
Il lavorìo perpetuo dei minuti,
Fantasticar potrai sulle
macerie
Del castello gigante, nido
d'aquile,
Lassù in
vetta piantato
Come un cimier, sul picco
acuminato.
E veder ti parrà l'ombra
risorgere,
Coronata ed armata e in bianca
maglia,
Di Roberto
Guiscardo
Che i suoi fanti raduna e lo
stendardo
Crociato all'asta fieramente
inalbera,
E scende dalla rupe e affronta
e stermina
Sull'infuocata
arena,
I ladroni d'un'orda saracena.
*
* *
Alla lima
dei secoli
Un campanil tetragono resiste;
Perchè non
l'abbelliste,
Ristauratori
vandali,
Come
abbelliste il tempio
Che all'ombra sua fu da
Guiscardo eretto?
Mancava un
architetto
Per mutarne
le linee,
Le glorïose
linee
Coperte dalla muffa di
mill'anni?
Non ci son
più i Normanni
Che la mole
idearono,
Meglio
sarebbe abbatterla
E con essa spazzar tanti
vecchiumi. —
Il secolo
dei lumi
Le reliquie
non venera!
*
* *
Oggi il tempio i moderno e
ingentilito
Nella sua
metaformosi;
Uno strato
d'intonaco
Le colonne di marmo ha
rivestito.
Ma perchè non ficcaste in un
museo
Di Giovanna
il sarcofago
E di
Gregorio settimo?
Perchè fate ammirar di San
Matteo
La veneranda cripta istorïata,
I mosaici
dei pulpiti
E le
barbare epigrafi
Onde l'opera nuova è deturpata?
Alla tua gloria basta, o
cattedrale,
Questo gran
privilegio:
Come
fossero vescovi
I canonici han mitra e
pastorale!
*
* *
Teodoro, t'aspetto. In pace
dormano
Questi avanzi normanni ed
angioini:
Altri
pensieri suscita
Un suon di
mandolini;
Un suono lindo — smarrito nei
viottoli —
Che chiamerei un tintinnìo di
stelle
E nella
notte sveglia
Le innamorate
belle.
Quando qui tu sarai, noi pur,
nottambuli,
Andremo in giro a far le
serenate;
Sarà nostra
la musica
E nostre le
ballate,
Strambe canzoni d'un libro
nuovissimo
Che in faccia al sole non osiam
dir nostro,
Tatüato
nell'anima
E vergine
d'inchiostro.
(Agosto 79)
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