4.
LA CENA
«Candido Pulcinella,
Ci strimpella
Sulla rauca chitarra
La bizzarra
Tua canzon.
«Cantaci un ditirambo
Strano e strambo
Da non capirne un'acca,
Sia bislacca
La canzon.»
Così le mascherine
Biricchine,
Terminate le danze
Nelle stanze
Del veglion,
Mi gridarono a cena
Non appena
Nacque sulla tovaglia
La battaglia
Dei bicchier
«E se alla mente stanca
Ora manca
L'ispirazione fresca,
Pesca, pesca
Nel bicchier!»
Io salii su una scranna
Tra gli osanna
Ed intonai lo strambo
Ditirambo
Del piacer.
Quel che il labbro cantò
Non lo so,
Indovinalo grillo!
Era brillo
Già il cantor,
E dalle strofe prime
Le mie rime
Buttarono in un canto
L'amaranto
Del pudor.
Ma nell'ugola a un tratto
Il mio matto
Lubrico ritornello
Sul più bello
Si arrestò,
E serpeggiommi addosso
Fino all'osso
Un brivido di gelo,
Ogni pelo
Si drizzò.
*
* *
Ottenebrossi l'infuocata
stanza
Delle gambe, dei fiaschi e
dei cervelli
Consecrata alla danza;
Non più il vino nei nappi si
versava,
Correan per terra fetidi
ruscelli
Di marciume e di bava.
E d'una Zampa al lume
sepolcrale
Io scorsi in un cadavere
mutato
Ogni mio commensale,
A cui la bianca lebbra
primitiva
Come a un corpo di fresco
sotterrato
Le carni ricopriva.
Mi sfuggì dalle mani la
chitarra
Ma seguitando i cadaveri
flosci
A menare gazzarra,
Coi coltelli picchiavano sui
piatti,
Mi dicean sogghignando: «ci
conosci?»
E ridean come matti.
«Questo per noi è l'ultimo
veglione!
Perchè tacque, poeta
avvenirista,
La tua laida canzone?
Hai paura dei morti? nella
gola
Le strofe inaridirono alla
vista
Della marcia che cola?
»Perchè tremi? poc'anzi eri
un Orlando
A tavola nel cozzo dei
cristalli,
Non tremavi strillando
La canzone di Venere e di
Bacco.
E or che vedi dei visi fatti
gialli
Ci diventi vigliacco?
»Nella fanfara splendida dei
lumi
Inneggiavi alla plastica
brigata
E del Sciampagna ai fumi,
Or la materia più non
t'innamora?
Segui: benchè dai vermini
baciata,
Qui la donna c'è ancora.
»C'è la donna a cui calda da
vent'anni
Nelle vene la porpora correa
Sotto i serici panni,
Che stesa sui tappeti e di
diamanti
Scintillante, ma pur sempre
plebea,
Schiaffeggiava gli amanti.
»Prima che se ne vada nella
cassa
Vieni a cantare le tue rime
oscene
Sopra questa carcassa.
Non tremar: sol nel bacchico
furore
L'estro impudico a
risvegliarti viene?
Non lo sai che si muore?
»Evohé! questo i l'ultimo
veglione,
Ora diventa il ballo
sghignazzante
Funebre processione,
E tu pur, pria dell'alba, in
sepoltura
Con noi verrai, poeta
sacripante
Morto dalla paura!»
Qui, ruttandomi i morti sulla
faccia,
Si strinsero e levaronmi di
peso
Colle putride braccia,
Ma non saprei più dir quello
che avvenne:
Tenni in corpo due dì, lungo
e disteso,
La mia sbornia solenne.
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