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Remigio Zena Poesie grigie IntraText CT - Lettura del testo |
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LIBRO III
AI MIEI FRATELLI DEDICO QUESTO LIBRO CHE NON È COMMEDIA E DA ESSI LO INTITOLO R. Z.
I.
IN JOB
A GOFFREDO PALAZZI.
Responde mihi! È un simbolo, Una leggenda, un mito, Quella mortale angoscia, Quel dolore infinito Che com'onda di fiume Sgorga dal tuo volume, Sì che atterrita ho l'anima E la mia mano trema Quando sfoglia le pagine Dell'eterno poema?
Giobbe, vivesti? è un fervido Delirio di poeta La tua lotta con Satana, O oracol di profeta Che in te adombrò la misera Umanità ventura, Sempre in guerra col dubbio, Stretta dalla paura E trascinata al male Da un istinto fatale?
* * *
Tu fosti: la tua storia Livida di spavento, Scritta con stilo ferreo Su lamina d'argento, Fu strappata all'obblìo Dalla mano di Dio. Tu fosti e sei: all'impeto Di tue parole sante, In te si mostra, sfolgora Un profeta, un gigante!
Te, designata vittima D'una scommessa arcana, Niuna poteva al demone Forza ritorre umana, Ma al tenebroso imperio Non t'inchinasti mai E contemplando intrepido La visïon dei guai, Negli occhi ti splendea La vincitrice idea.
* * *
Piangesti sì dal turbine Di furiosi venti, Nell'ebbrezza dell'agape, I tuoi figliuoli spenti; Stanco della tua sorte, Implorasti la morte Quando posavi, d'ulceri Coperto e di ferite, Sopra lo sterquilinio Le membra infracidite;
Ma non avesti sordide Le labbra di blasfema, Ma non tentasti sciogliere il tremendo problema Della tua vita, il dubbio Non soffocò la fede, La viva fè che poggia Nell'eterna mercede, Che soffre, che non crolla E lascia dir la folla.
* * *
Eppure inesorabile Il demone del male Ti punzecchiava l'anima Coll'infuocato strale Dello sgomento, eppure Le larve e le paure Stavan sul tuo giaciglio Nelle diserte notti, Eppur ti laceravano Gli stupidi rimbrotti.
E ti levasti, e l'igneo Soffio ti fece invitto. Iddio chiamando a giudice, Forte del tuo diritto, Lottasti e ancor le stimmate Hai sulle carni impresse; Di vincitor, di martire La palma ti concesse Chi vinse la scommessa Nella tua lotta stessa.
* * *
Solleva dalle ceneri. Giobbe, le membra grame, Squarcia di tanti secoli Il torbido velame: Quella scommessa ardita Ancor non è finita; Già vinto Mefistofele Ma non di forze esausto, Si piglia la rivincita Sull'anima di Fausto.
Fausto! quest'omiciattolo Sui sciocchi libri immoto, Anfanò nelle reprobe Latèbre dell'ignoto Per indagar coll'ansia Dell'alchimista, il vero, Ma al lume di sua lampada Non lesse che «Mistero» Il dubbio in cuor gli nacque E a Satana soggiacque.
* * *
Chi può narrar lo spasimo Di lui che Dio percuote? Geme con te nel rantolo Delle dolenti note: «Pera quel giorno in cui Tratto dal nulla io fui, L'oscuri la caligine D'una notte infinita, Nè più per me si computi Nei giorni della vita!»
E piange, e soffre, e vegeta Nella sua Idumea, Ma agli occhi suoi non sfolgora La vincitrice idea, Al maledetto arcangelo Non si sa far ribelle, Non si leva nell'etere Per noverar le stelle, Adora e maledice Chi lo rende infelice.
* * *
Annegando nel pelago D'un desiderio immenso, Non spera oltre le tenebre Un immortal compenso, Solo l'avvampa e asseta L'amore della creta; Desia morir, ma un brivido Di voluttà l'inonda E non resiste al fascino Perfido come l'onda.
Santa materia, unica Mercede a chi si danna, Oh beate vertigini Dell'oro e degli osanna, Oh blandizie di vergine, Amplessi di sirena, Baci e carezze adultere, Oh Margherita... Elèna..! Oh effluvio che ubbriaca Dei fior della cloaca!
* * *
Ma appena tocca, è fracida L'avvelenata flora, E la creta che il misero Non sazïato, implora, Dal diavolo per gioco È convertita in fuoco. Lo schiavo ode il satanico Cachinno e più si lagna, Si contorce, si arrotola Sotto le ree calcagna.
Giobbe, all'enciclopedico Il tuo volume è ignoto? Non ha imparato a leggerlo Per levarsi dal loto E come te combattere Forte del suo diritto? - Il libro sul catalogo Da tre mill'anni è inscritto, Ma era cosa stantìa, Non è più in libreria. |
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