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Remigio Zena
Poesie grigie

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  • LIBRO I   LA COMMEDIA
    • 25.   SGANARELLO POETA
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25.

 

SGANARELLO POETA

 

 

Largo, civette, alla poesia notturna

Che vola, insanguinata,

Dei miei amori a singhiozzar sull'urna

Per sempre sigillata.

 

Oh le mie rime giovinette e gaie

Che il vol pigliaste come le colombe

In faccia al sole, ora vi mando a piangere

Sui marmi delle tombe.

 

Oh le mie rime gaie e giovinette,

Vi sovvenite a chi cadeste in testa,

Bianca pioggia di gigli e farfallette,

In un giorno di festa?

 

Era un mattino tutto profumato

Di fior d'arancio e di tripudio immenso,

Di preghiere e d'amor fatto beato

Tra i globuli d'incenso.

 

Le campane suonavano a distesa

E il cantico dei cantici

Salia su per le volte della chiesa

Ripetuto dagli angeli,

 

Nell'anima lasciando una quiete

Armonïosa ed un desio di pianto,

Un desio di star lì dinanzi al prete

Per non spezzar l'incanto.

 

Raggiavano i sorrisi, luce morbida,

Tra colonna e colonna,

Sorridevano i santi dalle nicchie.

Sorridea la Madonna,

 

E in quella luce figlia della fede

Io leggevo le mistiche parole

D'un solenne presagio,.. oh chi non crede

Ai presagi del sole?

 

Sparite, o sogni bianchi, o bei ricordi,

Dalla penombra della mia memoria.

Forse m'è dato, senza voi, ch'io scordi

La singhiozzante istoria.

 

*

*  *

 

Son solo, solo nella nostra stanza

Tappezzata d'azzurro e di dolore,

Piena di vedovanza

Come il mio cuore.

 

In questa solitudine d'obblìo

Risponde, mentre meco stesso parlo,

Della penna il fedele scricchiolìo

Pari al cri-cri d'un tarlo,

 

E corre e corre sulla carta il metro

Ma zoppicante e le leggi rinnega,

Come l'anima mia briaco e tetro

Nelle lagrime annega,

 

Nelle lagrime vili che mi acciecano

E in cui la poca mia virtù si frange. —

— Uomini seri, come vi fa ridere

Questo sciocco che piange! —

 

Son solo, solo colla mia paura,

Qui dove i baci l'altro ier cantavano,

Dove fra queste mura

Passò di gioia un turbine,

 

Dove vissi d'amore

Una stagione porporata e accesa,

Dov'era pace, musica, splendore

Come dentro una chiesa.

 

Spesso al tremolo raggio della lampa

Laggiù nel fondo, dietro a una cortina,

Una forma, un'imagine si stampa,

Si muove, s'avvicina,

 

E colla gioia pazza

D'un fanciullo, colà balzo, m'avvento...

È uno scherzo del drappo che svolazza

Agitato dal vento.

 

E lì c'è ancora il letto col suo grande

Baldacchino di seta

Tempestato di stelle e di ghirlande

Come un ciel di poeta,

 

E c'è laggiù in un angolo

Un paio di pantofole,

Forse son quelle ancor di Cenerentola

Tanto son piccole.

 

Più accosto un tavolino da lavoro

Se ne sta impolverato e par che chiami

Le dita che su d'esso i fili d'oro

Mutavano in ricami.

 

E c'è un ritratto appeso alla parete,

Il suo ritratto che sorride... oh basta!

Sento già nelle mani irrequiete

La rabbia iconoclasta,

 

La rabbia di spezzare in mille briciole

Queste reliquie d'un tempo che fu;

Così pure il mio cuor potessi frangere

E non sentirlo più!

 

*

*  *

 

Ho freddo: di sudor molle è la tela

Che mi riveste ma è un sudor funereo.

— Date il sole a quest'anima che gela

Nel vuoto e nelle tenebre.

 

Dammi il mio sole che tu m'hai rubato,

Dammi la pace che tu m'hai rapita,

Femmina che respiri nel peccato

Una seconda vita.

 

Dove sei? non lo so: splende altro cielo

Sulla tua chioma già altre volte bruna

E che mutasti, quasi fosse un velo,

In un rosso di luna,

 

Ma se qui fossi, a furia di punture

Tutto il corpo tatuandoti, vorrei

Scriver la storia delle tue sozzure

E i patimenti miei.

 

E t'amo sempre, sai? ma la cattiva

Voluttà di vendetta ora m'affascina...

T'abbraccerò cadavere ma viva

M'avrai per tuo carnefice.

 

In ginocchio, malvagia! sgangherate

D'un elegante crocchio

Non odi al mio indirizzo le risate?

In ginocchio, in ginocchio!

 

Ah! impaurita mi chiedi perdono

Tu che insozzasti il nido?

E sia pure : io che il tuo giudice sono

Ti perdono.... e t'uccido!

 

*

*  *

 

Ma tu là dove sei non hai paura

Di questo Don Chisciotte imbizzarrito,

Ma tu lieta e sicura

Ridi di tuo marito

 

Che maneggia la brava durlindana

Come in un vecchio dramma,

E come l'Orco di vieta panzana

Vomita fumo e fiamma.

 

Resta nella tua gioia: io mi conforto

Nel pensier del mio povero figliuolo,

Ed è il bianco pensier del bimbo morto

L'ultimo mio lenzuolo.




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