Un uomo dal
temperamento molle, dal cuore dolciastro e piagnucoloso, sensibilissimo al benessere
materiale di una buona digestione, si commuove leggendo sul giornale che una
madre ha ucciso a busse il suo bambino. Oppure, trovandosi davanti al fuoco,
coi piedi nelle pantofole di pelo, un buon bicchiere davanti, si intenerisce ai
disastri di una spedizione polare. Positivamente si intenerisce.
La sua piccola immaginazione gli
rizza davanti una folla di pericoli e di sofferenze che avrebbero potuto, Dio
guardi, toccare a lui stesso; e si agita, e versa qualche lagrimuccia,
esclamando: «soffro troppo, soffro troppo!» finchè, getta via il giornale,
tracanna il contenuto del bicchiere, adagiandosi pian piano, solleticato dalla
morbidezza della poltrona, chiudendo gli occhi a un sonnellino benefico.
Che cuore sensibile! si dice
intorno a lui.
Costui è un egoista di tre
cotte. Egli non farebbe un passo per nessuno; ma è un egoista sorridente,
inoffensivo, senza nervi e senza malizia, e tutte queste qualità negative lo
circondano di un piccolo nimbo serafico, nel quale egli si compiace, come un
santacchione, canonizzato in buona fede dall'ignoranza di chi lo circonda.
Noi vogliamo una bontà più
intelligente e più forte; una bontà che dovrebbe forse cambiar nome e chiamarsi
giustizia; una bontà attiva che ci faccia ricercare i mali del prossimo, una
giustizia serena che ci induca a compensarli con quanto noi abbiamo di
migliore: l'intelligenza e la volontà.
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