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Neera
Il libro di mio figlio

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Quando un uomo, movendo i primi passi dal presepio di Betlemme, percorse tutta la Palestina predicando l'amore, e disse di morire egli stesso per amore de' suoi simili, le turbe meravigliate lo adorarono chiamandolo Dio.

Quelle turbe passarono, ed altre ne vennero tramutandosi la leggenda dell'uomo divino; ne fecero una religione, crearono dogmi, si ebbero guerre, odi, martiri ed eroi. Nessuno dopo Cristo, se non il poverello d'Assisi, ha mai dimostrato coi fatti che il progresso doveva consistere nella imitazione di quel sublime altruismo.

Ed ora, dal cuore di questo vecchio mondo si alza più che mai bisognoso, più che mai ardente e terribile il grido dell'umanità mistificata. Siamo fratelli; non vogliamo più vessilli, parole sonanti, cieli lontani, sterili lagrime. Dateci l'amore.

Oh! non l'amore volgare del pezzo di pane sbattuto sul viso, della colletta pubblicata sui giornali; ma l'amore vero, umano, il grande che corra qual soffio simpatico dalla reggia al tugurio, che sollevi dai solchi il contadino abbrutito, che unisca l'ingegno al denaro, la forza al sentimento, che redima la donna dalla sua abbietta condizione sessuale; l'amore che freni i nobili e disperati tentativi dei nichilismo; l'amore che infiammi di una religione nuova gl'increduli, che desti i pigri, che animi i codardi, che ispiri i generosi.

Quanto siamo lontani da questo ideale! Esso diventerà realtà il giorno in cui le coscienze elevate non saranno più sparsi drappelli, saranno legioni, saranno popoli; quando l'altruismo, vincendo l'immane battaglia che lo aspetta, avrà dimostrato che, meglio dell'egoismo, esso può dare la felicità.

Sicuro, bisogna capovolgere l'attuale sistema materialista che sotto forma di venali conquiste accarezza i peggiori istinti dell'uomo e lo spinge all'odio de' suoi simili.

Nello stesso modo che si curano i polmoni coll'aria delle alte montagne, bisogna trasportare le nostre coscienze in alto, molto in alto.

È una cura lunga e faticosa alla quale si opporranno i malati più che i sani; e qui sorge spontanea la domanda: Chi ci condurrà, poichè Cristo non è più con noi a trascinare la sua croce?

No. Cristo non è più. Ma diffidare delle forze della natura, ma non credere che alle conquiste del pensiero abbia da aggiungersi la conquista della coscienza, e non sentire il dovere di concorrere a questa opera di civiltà, è un rinnegare il progresso, è un correre ciechi verso la barbarie più mostruosa di tutte, quella che non ha nemmeno la scusa dell'ignoranza.

 

* * *

 




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