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Neera
Il libro di mio figlio

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Coltivare i piaceri dello spirito vuol dire mettere da parte un tesoro. Essi, non solamente sono quelli che ci fanno godere di più e che più durano, ma sono anche la ricchezza aristocratica per eccellenza, affatto personale, cui non gravano balzelli e sulla quale gli eredi non possono far conti.

Tra i piaceri dello spirito l'immaginazione è uno dei più splendidi; e pare che la natura favorendone principalmente gli uomini di ingegno abbia voluto compensarli in anticipazione dei dolori che la turba dei mediocri infligge sempre a chi s'innalza sopra il livello comune.

L'invidia può schizzare il suo veleno, la malignità può arrotare le sue punte; vi è un Eden per l'uomo superiore. In quell'Eden nessun mortale lo raggiunge! Egli vi si rifugia nelle ore dello sconforto, come un ricco nelle sue terre; vi si trova potente e libero.

Chi può rapirlo alla estasi del pensiero, veggente, alla dolcezza infinita della sua coscienza? Chi lo scaccia dalla reggia d'oro dell'idea, questo monarca del mondo invisibile, questo re per diritto divino? Gli altri parlano, egli pensa; gli altri camminano, egli vola.

C'è in questa padronanza dispotica dello spirito qualche cosa che ne afferma l'origine sovrana.

Il pensiero è ciò che noi abbiamo di più sicuro. Per i piaceri materiali si ha sempre bisogno di qualcuno o di qualche cosa, mentre le gioie ideali si provano nello squallore di una soffitta, nel deserto, nel carcere, dovunque. I sensi ubbidiscono ad un contatto, il pensiero no. Dunque il pensiero è l'intima essenza nostra, il nostro io superlativo.

Ecco l'aristocrazia vera, quella che sopraviverà a tutte le rivoluzioni, a tutti gli sconvolgimenti, quella che il volgo invidia, ma che non può distruggere, che il ricco sprezza, ma che non può comprare; quella che pone una barriera insuperabile tra l'individuo e la folla, tra gli uomini e l'uomo.

 

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