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Neera
Il libro di mio figlio

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Nella ricerca assidua del vero e procedendo, come già ti dissi, attraverso noi stessi, ci dobbiamo anzitutto rendere mondi da ogni preconcetto. Dobbiamo avere sì, il nostro giudizio che è un diritto sacrosanto; ma ci corre in pari tempo il dovere di rispettare e di studiare anche le convinzioni altrui, perchè, o le troviamo migliori delle nostre e allora le adotteremo, fedeli alla bandiera della verità che reca il motto: dovunque; oppure ci sembrano false e ciò servirà a consolidare la nostra fede.

Del resto, a voler mettere in sodo in un modo assoluto qual è il vero, qual è il falso, e tutte le derivazioni, applicazioni e conseguenze, c'è da riedificare la torre di Babele, perchè tutti gli assiomi creati dagli nomini sono impugnabili.

Il più grande filosofo, il primo dei pensatori ha pure un temperamento attraverso il quale il suo genio deve passare volere o no.

Tutte le scuole in filosofia e in arte nascono dal temperamento; l'inutilità delle discussioni lo prova abbastanza chiaro.

Noi possiamo essere grandi o meschini, ma sempre nell'indole nostra la quale ci è vietato di mutare; e se pare che muti qualche volta, ciò avviene per un processo naturale; nello stesso modo che il vino diventa aceto e l'acqua ghiaccio.

Non dunque io ti dirò: Questo o quello è il vero; sibbene: cercalo.

È in tale ginnastica, la più nobile per il cervello umano che troverai la tua via e sovr'essa imprimerai sicuro il passo. Prendiamo un esempio che valga a dimostrare meglio le mie osservazioni sul temperamento.

Agostino, nato a Tagaste in Africa, era un bellissimo giovane, nobile, pieno d'ingegno, di foga e di ardore. La scienza e l'amore lo trascinavano egualmente, tal che egli si ammaestrò in tutto lo scibile permesso a quei tempi (354-430) e lasciò pure scritto nelle Confessioni: «Quello che io volevo, quello che io cercavo, era d'amare e di essere amato.» Desiderio che fu ampiamente esaudito; come trovò ristoro la sua sete di imparare nelle scuole di Madaura, di Cartagine, di Roma, tra Cicerone e Platone, fra le teorie del Cristianesimo e quelle dei Manichei.

Ma temperamento straordinariamente appassionato, insaziabile di ideale, mobile, nervoso, multiforme, nè gli amori, nè i viaggi, nè i libri, nè le orgie, nè la scienza, nè le vive amicizie allacciate o sciolte potevano acquietare il vulcano che era in lui.

Avendo provato tutto a trent'anni, cadde finalmente nelle braccia della Religione cristiana che, splendida e nova, doveva affascinare quell'anima altamente generosa.

La Chiesa ascrive tra i suoi vanti la conversione di Agostino, attribuendola alle preghiere della santa madre di lui, Monica. L'osservatore, tuttavia, non può fare a meno di considerare che miscredente o cristiano il vescovo di Ippona resta sempre ciò che natura lo ha fatto: un uomo ardente, ricco di passioni.

L'indomito africano potè diventare uno dei capi del cattolicismo e tendere alteramente la destra al suo maestro ed emulo sant'Ambrogio. Dubito però ch'egli potesse mai diventare nè un umile san Pietro, nè un mansueto san Giuseppe, nè un san Giovanni Stilita da passare la vita sopra gli alberi, nè un ascetico san Luigi Gonzaga, nè un mistico san Filippo Neri.

L'evoluzione violenta, la soluzione estrema, erano naturale conseguenza del suo temperamento avido di ricerche.

 

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