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Aristotele
Poetica

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21. Analisi del linguaggio poetico

I nomi sono di due specie, semplici, e tali chiamo i nomi che non sono costituiti da parti significative, come ad esempio "terra", e doppi; di quest’ultima specie alcuni sono formati da una parte significativa e da una no (benché, significativa e no, non in quanto sono nel nome), mentre altri sono formati da parti significative. Ci possono poi essere anche nomi composti da tre, quattro o più parti, ad esempio [35] molti dei nomi dei Massalioti, come Ermocaicoxanto ** [1457 b].

Ogni nome poi è o una parola comune o peregrina, o una metafora o un ornamento o una parola coniata dall’autore, o una parola allungata o abbreviata o modificata.

Chiamo comune il nome di cui si servono tutti, peregrino invece quello di cui si servono altri popoli; di modo che è manifesto che la stessa parola [5] possa essere assieme peregrina e comune, ma non rispetto alle stesse persone, giacché sivgunon per i Ciprioti è parola comune, per noi invece peregrina.

La metafora è il trasferimento ad una cosa di un nome proprio di un’altra o dal genere alla specie o dalla specie al genere o dalla specie alla specie o per analogia. Mi spiego: esempio di metafora dal genere [10] alla specie, "ecco che la mia nave si è fermata", giacché "ormeggiarsi" è un certo "fermarsi"; dalla specie al genere, "ed invero Odisseo ha compiuto mille e mille gloriose imprese", giacché "mille" è "molto" ed Omero se ne vale invece di dire "molte"; da specie a specie, "con il bronzo attingendo la vita" e "con l’acuminato bronzo tagliando", [15] giacché il poeta chiama "attingere" il "recidere", mentre nel secondo caso chiama "recidere" l’"attingere", perché ambedue i verbi rientrano nel toglier via qualcosa.

Chiamo poi relazione analogica quella in cui il secondo termine sta al primo nella stessa relazione in cui il quarto sta al terzo, giacché allora si potrà dire il quarto termine invece del secondo o il secondo invece del quarto. E a volte i poeti pongono in luogo di quel che si vuol dire [20] ciò con cui si trova in relazione. Voglio dire ad esempio che come la coppa sta a Dioniso così lo scudo sta a Ares, e si potrà dunque chiamare la coppa scudo di Dioniso e lo scudo coppa di Ares. Oppure quel che è la vecchiaia rispetto alla vita lo è la sera rispetto al giorno e dunque si potrà chiamare la sera vecchiaia del giorno o anche, come fa Empedocle, chiamare la vecchiaia [25] sera della vita o tramonto della vita. Alcuni dei termini che si trovano in proporzione non hanno un nome già esistente, ma cionondimeno si farà egualmente la metafora, per esempio lasciar cadere il grano si dice seminare, mentre non ha nome il lasciar cadere la vampa da parte del sole; ma poiché la relazione rispetto al sole è la stessa di quella del seminare rispetto al grano, si potrà dire "seminando la vampa nata [30] dal dio". Ma è possibile valersi di questo modo di metafora anche in altro modo: chiamando una cosa con il nome di un’altra, togliere a quest’ultima qualcosa di quel che le è proprio, come ad esempio se si chiamasse lo scudo "coppa" non già "di Ares" ma "senza vino" *** .

Coniato dall’autore è poi quel nome che, mai adoperato da alcuno, pone lo stesso poeta, giacché sembra proprio che ci siano dei casi simili [35] come e[rnuga" per le corna e ajrhth'ra per il sacerdote.

Una parola può anche essere allungata [1458 a] o abbreviata a seconda che ci si serva di una vocale più lunga di quella ordinaria o di una sillaba aggiunta, o che invece le si tolga qualcosa; esempio di nome allungato è povlho" al posto di povlew" e Phlhi>avdew anziché Phleivdou; esempio di parola abbreviata [5] kri' e dw' e "miva givnetai ajmfotevrwn o[y". Alterata è la parola quando del nome di una cosa una parte rimane ed un’altra è coniata, come ad esempio dexiterovn per "dexitero;n kata; mazovn".

Dei nomi poi in sé considerati, alcuni sono maschili, altri femminili ed altri intermedi; maschili quelli che terminano con le lettere N, R e S e [10] con le lettere composte da quest’ultima (queste son due, Y e X); femminili i nomi che escono in quelle tra le vocali che sono sempre lunghe, come in H e W, e tra le vocali che si possono allungare i nomi che terminano in A, così che accade che i nomi maschili siano per numero eguali a quelli femminili giacché Y e X sono lettere composte. Nessun nome termina con una muta [15] né con una vocale breve. Terminano in I soltanto tre parole mevli, kovmmi e pevperi, cinque invece in U ** ; i nomi intermedi terminano in queste due vocali e in N e S.




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