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Aristotele
Poetica

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25. Problemi di critica letteraria

Attorno ai problemi e alle loro soluzioni, quante e quali specie ve ne siano, risulterà manifesto indagando a questo modo. E infatti, poiché il poeta è imitatore alla stessa maniera del pittore o di qualunque altro facitore di immagini, è necessario che, essendo tre di numero [10] le possibilità, sempre ne imiti una, e cioè o le cose quali furono o sono, o quali si dice o sembra che siano, o quali dovrebbero essere.

Queste cose poi il poeta le comunica con l’elocuzione in cui trovano posto le parole peregrine, le metafore e molte altre alterazioni del linguaggio, cose tutte che concediamo ai poeti.

Oltre a ciò è da dire che la correttezza non è la stessa per la poetica e per la politica né per la poetica e per qualche [15] altra arte. Per l’arte poetica in sé considerata si danno due specie di errori, l’uno essenziale, l’altro accidentale. Se infatti il poeta si proponesse di imitare <correttamente ma nell’imitare errasse per> incapacità, si tratterebbe di errore essenziale; se invece fosse il proporsi a non essere corretto, ma rappresentasse un cavallo che spinge innanzi assieme tutte e due le zampe di destra, si tratterebbe di un errore concernente un’arte particolare, [20] come ad esempio la medicina o una qualsiasi altra arte, e non di un errore essenziale.

Così che le accuse di cui si tratta nei problemi vanno risolte partendo da questi assunti.

Consideriamo dapprima le accuse rivolte alla stessa arte. Si dice: "ha rappresentato cose impossibili, dunque ha errato". Ma sta bene lo stesso, se ha conseguito il fine proprio dell’arte (quel fine di cui [25] si è parlato), se cioè a questo modo ha reso più impressionante o quella stessa parte o un’altra. Ne è un esempio l’inseguimento di Ettore. Ma se questo stesso fine era possibile raggiungere o ancora di più o almeno non meno anche conformandosi all’arte concernente quelle cose, allora non sta bene. Giacché se è possibile, non si deve assolutamente e in nessun modo cadere nell’errore.

Ed ancora di quale delle due specie è [30] l’errore? È di quelli che concernono la stessa arte o riguarda un qualche altro accidente? Giacché l’errore è minore se il poeta non sapeva che il cervo femmina non ha le corna che non se l’avesse dipinto contro le regole della mimesi.

Ed inoltre se viene accusato perché ha rappresentato cose non vere, si può rispondere che forse le ha rappresentate come debbono essere, come ad esempio anche Sofocle disse che lui raffigurava gli uomini quali debbono essere, mentre Euripide quali sono; [35] e così risolvere il caso.

Se invece il poeta ha rappresentato le cose né come sono né come debbono essere, si può rispondere che così si dice che siano, come ad esempio le cose concernenti gli dèi; giacché forse parlarne così né corrisponde alla realtà né la migliora ed anzi può darsi che [1461 a] abbia ragione Senofane, ma pur tuttavia è così che se ne parla.

In altri casi non già meglio, ma come erano un tempo, come ad esempio la faccenda delle armi "dritte le loro lance sul puntale"; ed infatti allora così usavano come anche oggi gli Illiri.

Quanto poi alla questione se quel che è stato detto o fatto da qualcuno sia moralmente buono o no, [5] non si deve guardare soltanto a quel che è stato fatto o detto, se sia cosa nobile o meschina, ma anche a chi è che fa o dice, rispetto a che cosa e quando e a chi e per che scopo, se ad esempio per conseguire un bene maggiore o evitare un male maggiore.

Altri problemi vanno risolti guardando all’elocuzione, [10] come ad esempio per mezzo della parola peregrina in "oujrh'a" me;n prw'ton", giacché forse Omero non intendeva parlare di muli ma di guardie; e quando dice di Dolone "il quale di forma era malandato" voleva dire non che il corpo era sgraziato ma il viso brutto, giacché i Cretesi dicono "di bella forma" chi ha un bel volto; "zwrovteron [15] de; kevraie" non significa "vino puro" come se si trattasse di ubriaconi, ma "più presto".

In altri casi si parla per metafora, come ad esempio "tutti gli dèi e gli uomini dormivano l’intera notte", e insieme dice "ma quando rivolse lo sguardo alla pianura dei Teucri, dei flauti e degli zufoli il rumore...", giacché "tutti" è detto per metafora [20] invece di "molti", ed infatti "tutti" è una specie di "molti". E "sola non prende parte" è detto per metafora, giacché è "solo" quel che è più conosciuto.

Altre volte si deve ricorrere alla prosodia, come già risolse la questione Ippia di Taso in "divdomen dev oiJ eu\co" ajrevsqai" e in "to; me;n ou| katapuvqetai o[mbrw/".

Altre volte alla divisione delle parole, come nei versi di Empedocle "subito divennero mortali quelli che prima [25] avevano conosciuto vita immortale e puri dapprima si mescolavano...".

Altre volte ancora si deve ricorrere all’ambiguità: "la notte era avanzata di più...", dove "più" è ambiguo. Altre difficoltà infine si risolvono con l’uso linguistico; la mescolanza d’acqua e di vino la si chiamava vino, donde si è fatto "schiniero di stagno novellamente lavorato" e bronzieri vengono chiamati i lavoratori del ferro, [30] donde di Ganimede si dice che versa vino a Zeus, anche se gli dèi non bevono vino. Benché questo uso si potrebbe spiegare anche come metafora.

Quando poi una parola sembri dare un senso contraddittorio, occorre considerare quanti significati possa avere nel testo, come ad esempio " si arrestò la bronzea lancia" occorre vedere in quanti modi è possibile intendere l’essere stata la lancia impedita a quel punto; si può intendere così [35] o così, ma occorre intendere nel modo in cui maggiormente si possa evitare l’errore di cui parla [1461 b] Glaucone, quando dice che alcuni partono da un presupposto errato e dopo aver così decretato ne traggono conclusioni e, nel caso che ci sia contraddizione con quel che essi hanno pensato, criticano il poeta come se avesse detto lui quel che sembrava a loro. È quel che è accaduto per la faccenda di Icario. Pensano infatti che fosse [5] spartano ed allora trovano strano che Telemaco non l’abbia incontrato quando si reca a Sparta. Ma forse la cosa sta come dicono i Cefallenii, i quali sostengono che Odisseo si sia sposato presso di loro e che si trattava non di Icario ma di Icadio. È dunque probabile che il problema nasca da un errore [†] .

In generale si deve ricondurre l’impossibile o in relazione alla [10] poesia o al meglio o all’opinione comune. Giacché in relazione alla poesia è preferibile l’impossibile credibile che non l’incredibile ma possibile che siano tali quali li dipingeva Zeusi, ma meglio così, perché il modello deve essere superiore.

Le cose irrazionali vanno ricondotte a quel che dicono e così si possono giustificare adducendo che a volte non è irrazionale [15] giacché è verosimile che accadano anche cose contrarie al verosimile.

Le espressioni che paiono contraddittorie vanno considerate come si studiano le confutazioni dialettiche, ricercando se si tratta della stessa cosa e nello stesso rispetto e nello stesso modo, così che † o in riferimento a quanto il poeta stesso dice o a quanto si potrebbe assennatamente supporre.

Ma l’accusa è giusta e per l’irrazionalità e per la malvagità, quando, non essendocene nessuna necessità, [20] ci si vale dell’irrazionale, come fa Euripide di Egeo, o della malvagità, come di quella di Menelao nell’Oreste.

E dunque si muovono accuse di cinque specie, e difatti o come cose impossibili, o come irrazionali, o come dannose o come contraddittorie o come contrarie alla rettitudine dell’arte; le soluzioni poi vanno considerate [25] sulla base del numero detto e sono dodici.

 




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