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Aristotele
Poetica

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4. Le due fonti della poesia. Nascita e svolgimento della tragedia

In generale due sembrano essere le cause che hanno dato origine all’arte poetica, [5] e tutte e due naturali. Ed infatti in primo luogo l’imitare è connaturato agli uomini fin da bambini, ed in questo l’uomo si differenzia dagli altri animali perché è quello più proclive ad imitare e perché i primi insegnamenti se li procaccia per mezzo dell’imitazione; ed in secondo luogo tutti si rallegrano delle cose imitate. Prova ne è quel che accade in pratica, [10] giacché cose che vediamo con disgusto le guardiamo invece con piacere nelle immagini quanto più siano rese con esattezza, come ad esempio le forme delle bestie più ripugnanti e dei cadaveri. La ragione poi di questo fatto è che l’apprendere riesce piacevolissimo non soltanto ai filosofi ma anche agli altri, per quanto poco ne possano [15] partecipare. Per questo infatti si rallegrano nel vedere le immagini, perché succede che a guardarle apprendono e ci ragionano sopra riconoscendo ad esempio chi è la persona ritratta; se poi càpita che non sia stata vista prima, non sarà in quanto cosa imitata che procura il piacere ma per l’esecuzione, per il colore o per un altro motivo di questo genere.

[20] Essendo dunque l’imitare conforme a natura e così pure l’armonia e il ritmo (è infatti manifesto che i metri sono parte dei ritmi), fin da principio quelli che erano a ciò nativamente più disposti, progredendo a poco a poco, diedero origine alla poesia partendo da improvvisazioni. Ma la poesia si spezzò a seconda dei caratteri propri di ciascuno, [25] giacché gli uni, i più seri, si diedero ad imitare le azioni nobili e quelle di persone cosiffatte, mentre gli altri, più modesti, le azioni della gente spregevole, componendo da principio invettive, come i primi inni ed encomii.

Di nessuno di quelli che vissero prima di Omero possiamo menzionare un’opera di questo tipo, benché sia verosimile che ce ne fossero molte, ma è possibile menzionarne a partire da Omero, [30] come ad esempio, proprio di lui, il Margite e altre opere simili. Nelle quali anche si introdusse, per la sua rispondenza, il metro giambico–perciò ancor oggi si chiama "giambo" perché in questo metro si scagliavano invettive a vicenda. Così degli antichi alcuni divennero poeti di versi eroici, altri di giambi. Ma Omero, come fu poeta sommo nel genere nobile [35] (unico infatti non solo per l’eccellenza ma anche per il carattere drammatico delle sue produzioni), così fu anche il primo a mostrare la forma della commedia, rappresentando drammaticamente non l’invettiva ma il comico, giacché il Margite sta con le commedie nello stesso rapporto in cui l’Iliade [1449 a] e l’Odissea stanno con le tragedie. Quando poi comparvero la tragedia e la commedia, spinti dall’impulso proprio della natura di ciascuno che li portava verso l’una o l’altra poesia, gli uni divennero commediografi anziché autori di giambi [5] e gli altri tragediografi anziché autori di poemi epici, per essere queste forme più importanti e più stimate delle altre.

Ricercare se veramente la tragedia si sia sviluppata a sufficienza quanto alla sua specie, e giudicarla sia in se stessa sia rispetto alla rappresentazione scenica, è materia di altro discorso. Nata dunque la tragedia all’inizio dall’improvvisazione [10] (sia essa sia la commedia da quelli che guidavano il coro: la prima dal ditirambo, mentre la seconda dalle processioni falliche che ancor oggi sono rimaste in uso in molte città), crebbe un poco per volta, sviluppando gli autori quanto via via di essa si rendeva manifesto; e dopo aver subìto molti mutamenti [15] si arrestò, poiché aveva conseguito la natura sua propria.

Il numero degli attori Eschilo per primo portò da uno a due, diminuì l’importanza del coro e promosse il discorso parlato al ruolo di protagonista; il terzo attore e la pittura della scena furono poi opera di Sofocle. C’è ancora la grandezza: partendo da racconti brevi e da uno stile [20] giocoso, perché si stava mutando da un originario genere satiresco, soltanto più tardi la tragedia acquistò un carattere serio, mentre il metro dal primitivo tetrametro si fece giambico. Giacché dapprima si servivano del tetrametro perché era una poesia di carattere satiresco e più danzata, ma quando poi si introdusse il linguaggio parlato, la sua natura stessa trovò il metro adatto, perché quello giambico [25] è il metro più vicino al parlato; e la prova ne è questa: spesso nel parlare tra noi pronunciamo dei giambi mentre molto di rado degli esametri, ed allora ci solleviamo al di sopra della cadenza del parlato.

Resta da parlare del numero degli episodi. E come [30] si debba abbellire ciascuna parte sia dato come per detto, giacché discorrerne singolarmente sarebbe veramente un’impresa.

 




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