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Aristotele
Poetica

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6. Definizione della tragedia: le sei parti essenziali

Dell’arte imitativa in esametri e della commedia diremo più tardi. Parliamo invece ora della tragedia raccogliendo da quanto si è già detto la definizione dell’essenza che ne risulta. La tragedia è dunque imitazione di una azione nobile [25] e compiuta, avente grandezza, in un linguaggio adorno in modo specificamente diverso per ciascuna delle parti, di persone che agiscono e non per mezzo di narrazione, la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni.

Chiamo "linguaggio adorno" quello che ha ritmo e armonia, e con "in modo specificamente diverso" intendo che alcune parti [30] sono rifinite soltanto con il metro e altre invece anche con il canto. Giacché poi sono persone che agiscono quelle che compiono l’imitazione, ne segue necessariamente in primo luogo che una parte della tragedia sarà l’apparato scenico: poi la musica e l’elocuzione, poiché con questi mezzi compiono l’imitazione. Chiamo poi elocuzione la stessa composizione [35] dei metri, e musica quel che ha una efficacia del tutto manifesta. Poiché poi la tragedia è imitazione di un’azione e si agisce da parte di alcuni agenti, i quali è necessario che abbiano certe qualità a seconda del carattere e del pensiero (ed infatti per questi e per le [1450 a] azioni diciamo che sono così e così qualificati ed a seconda di queste cose anche, la gente riesce o fallisce), segue che l’imitazione dell’azione è il racconto, giacché chiamo racconto proprio questo: [5] la composizione delle azioni; mentre chiamo carattere ciò rispetto a cui diciamo qualificati gli agenti, e chiamo pensiero tutto quel che dicono per dimostrare qualcosa o per enunciare un parere.

È necessario dunque che le parti dell’intera tragedia siano sei, a seconda delle quali la tragedia viene ad essere qualificata, e queste sono il racconto, i caratteri, l’elocuzione, [10] il pensiero, lo spettacolo e la musica. Due di queste parti infatti sono i mezzi con cui si imita, una il modo in cui si imita, tre gli oggetti che vengono imitati, ed oltre a queste non ce n’è più nessuna. Di queste differenze specifiche in generale non pochi di essi hanno fatto uso, e infatti il tutto contiene spettacolo, carattere, racconto, elocuzione, canto e pensiero allo stesso modo.

[15] Ma la parte più importante di tutte è la composizione delle azioni. La tragedia infatti è imitazione non di uomini ma di azioni e di un’esistenza, [20] e dunque non è che i personaggi agiscono per rappresentare i caratteri, ma a causa delle azioni includono anche i caratteri, cosicché le azioni e il racconto costituiscono il fine nella tragedia, e il fine è di tutte le cose quella più importante. Ancora, senza l’azione non ci sarebbe la tragedia, mentre senza i caratteri ci potrebbe essere; [25] ed infatti le tragedie della maggior parte degli autori recenti sono senza caratteri, ed in generale tali sono molti artisti, quale ad esempio tra i pittori è il caso di Zeusi a confronto con Polignoto, giacché Polignoto è un buon pittore di caratteri, mentre la pittura di Zeusi non ci presenta nessun carattere. Inoltre se si ponessero di seguito discorsi espressivi di caratteri, [30] ben fatti sia quanto all’elocuzione sia al pensiero, non si produrrà quello che ci è risultato il compito proprio della tragedia, mentre al contrario sarebbe una tragedia quella che, pur mancando di questi pregi, avesse racconto e composizione di azioni. Oltre a queste considerazioni ciò con cui soprattutto la tragedia muove gli animi sono parti del racconto, e cioè le peripezie e i riconoscimenti. [35] Un’altra prova è il fatto che i principianti riescono prima a produrre qualcosa di preciso nell’elocuzione e nei caratteri che non a mettere assieme le azioni, come è il caso di quasi tutti i poeti primitivi. E dunque principio e quasi anima della tragedia è il racconto, mentre i caratteri vengono in secondo luogo (qualcosa di simile succede anche [1450 b] nella pittura; giacché se qualcuno stendesse alla rinfusa i colori più belli, non procurerebbe tanto piacere quanto chi disegnasse in bianco un’immagine); essa è dunque imitazione di un’azione e soltanto a motivo di questa lo è anche di persone che agiscono.

Al terzo posto viene il pensiero, [5] e cioè la capacità di dire quel che è inerente e conveniente al soggetto, il che per i discorsi in prosa è compito dell’arte politica e di quella retorica, giacché gli antichi facevano personaggi che parlano a mo’ dei politici, i contemporanei alla maniera dei retori.

Il carattere poi è quel che fa chiara la scelta di che specie sia, e perciò non rappresentano il carattere quei discorsi in cui per chi parla non c’è affatto cosa che egli debba scegliere [10] o evitare. Il pensiero poi è presente in quei discorsi in cui si dimostra che è o non è o, in generale, si fa un’asserzione.

Al quarto posto c’è l’elocuzione e dico, come già prima ho detto, che l’elocuzione è l’espressione mediante le parole, il che ha la stessa natura [15] nelle opere sia in versi sia in prosa.

Delle parti restanti la musica è il più importante degli ornamenti, mentre lo spettacolo muove sì gli animi, ma è anche l’aspetto meno artistico e quindi meno proprio della poetica. L’efficacia della tragedia infatti si conserva anche senza la rappresentazione e senza gli attori ed inoltre per la messa in scena [20] è più autorevole l’arte della scenografia che non quella della poetica.

 




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