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Aristotele
Poetica

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24. Il modello dell’epopea: Omero

Inoltre l’epopea deve avere le stesse specie della tragedia, e cioè la semplice, la complessa, quella fondata sui caratteri e quella sui fatti orrendi. Ed anche [10] le parti, ove si eccettuino la musica e lo spettacolo, debbono essere le stesse, giacché anche l’epopea richiede peripezie, riconoscimenti e fatti orrendi; ed ancora il pensiero e l’elocuzione debbono essere artisticamente elaborati. Cose tutte delle quali Omero si è valso sia per primo sia in modo conveniente. Ed infatti dei suoi poemi ciascuno in ciascuno dei due modi è costituito, l’Iliade semplice e fondata su fatti orrendi, [15] l’Odissea invece complessa (c’è infatti dappertutto riconoscimento) e fondata sui caratteri. Ed inoltre ambedue sorpassano tutte le altre opere per l’elocuzione e per il pensiero.

L’epopea si differenzia invece dalla tragedia per la lunghezza della composizione e per il metro.

Il limite conveniente della lunghezza è quello già detto, giacché si deve poter cogliere con un unico sguardo il principio e la [20] fine. Si avrebbe questo risultato, se le composizioni fossero più brevi di quelle antiche, ma assieme si estendessero quanto l’ampiezza complessiva delle tragedie presentate per un’unica audizione. L’epopea ha di suo il grande vantaggio di poter estendere la propria grandezza per il fatto che nella tragedia non è possibile imitare [25] più parti di un’azione, che accadono simultaneamente, ma soltanto quella parte che si svolge sulla scena e viene recitata dagli attori; nell’epopea invece, poiché è una narrazione, è possibile rappresentare molte parti che si compiono simultaneamente, dalle quali, purché siano appropriate, viene accresciuta la grandiosità del poema. Di modo che l’epopea ha questo di buono che le conferisce magnificenza e le permette di svariare [30] l’animo degli uditori arricchendo la materia con episodi diversi l’uno dall’altro, giacché l’uniformità, in quanto presto sazia, è il motivo per cui cadono le tragedie.

Quanto al metro, è provato dall’esperienza che è l’esametro che si adatta bene. Giacché, se si facesse un’imitazione narrativa in qualche altro metro o in molti metri, apparirebbe manifesta la sconvenienza. L’esametro infatti è il metro più posato e grandioso che ci sia (e perciò accoglie più facilmente le parole straniere e le metafore, poiché anche l’imitazione narrativa è eccezionale in confronto alle altre), mentre il trimetro giambico e il tetrametro trocaico [1460 a] sono mossi e il secondo è fatto per la danza mentre il primo per l’azione. Inoltre ne risulterebbe ben strana cosa, se si mescolassero i metri, come ha fatto Cheremone. E perciò nessuno ha fatto una composizione ampia in un metro che non fosse l’esametro, ma, come abbiamo detto, è la natura stessa che insegna a scegliere quello che meglio si adatta [5] alla composizione.

Omero poi, come è degno di essere lodato in molte altre cose, cosi lo è anche perché lui solo fra i poeti non ignora quale debba essere la sua parte; il poeta infatti in persona propria deve parlare il meno possibile, giacché non è imitatore a questo modo. E dunque, mentre gli altri poeti si mettono sempre in mostra e poco imitano e poche volte, Omero invece, dopo un breve [10] proemio in cui parla lui, subito introduce un uomo o una donna o un qualche altro personaggio, e nessuno poco caratterizzato ma ciascuno con il suo carattere.

Se è vero che nella tragedia si debba produrre il meraviglioso, nell’epopea è possibile rappresentare perfino l’irrazionale, da cui soprattutto deriva il meraviglioso, per il fatto che nell’epopea le persone che agiscono non si vedono. Dacché le circostanze in cui si svolge l’inseguimento [15] di Ettore, portate sulla scena, apparirebbero ridicole: i Greci che se ne stanno fermi senza prender parte all’inseguimento, mentre Achille fa cenno di no; ma nell’epopea non ci se ne accorge. Il meraviglioso poi riesce piacevole, di che è prova che tutti nel raccontare fanno delle aggiunte per riuscire più graditi.

Omero ha soprattutto insegnato anche agli altri come si deve dire il falso. [20] Si tratta del paralogismo. Giacché la gente crede che, nei casi in cui essendoci questo c’è quest’altro o accadendo questo accade quest’altro, se c’è il conseguente, ci sia o accada anche l’antecedente; ma questo è falso. Perciò se un fatto è falso, ma è tale che, se ci fosse, sarebbe necessario che un altro fatto ci fosse o accadesse, è un fatto di questa seconda specie che si deve porre. Ed infatti, poiché sa che quest’ultimo è vero, [25] il nostro animo per via di un paralogismo suppone che anche il primo lo sia. Un esempio ne è l’episodio del bagno nell’Odissea.

Si debbono preferire cose impossibili ma verosimili a cose possibili ma incredibili, e non si debbono comporre gli argomenti da parti irrazionali, e anzi di irrazionale non dovrebbe esserci niente, o, se questo non è possibile, che almeno sia fuori del racconto, ad esempio il fatto che [30] Edipo non sapeva come fosse morto Laio, e non all’interno del dramma, come nell’Elettra il resoconto dei giuochi Pitici o nei Misii quello che senza parola è giunto da Tegea nella Misia. Di modo che è ridicolo dire che senza l’irrazionale il racconto non si reggerebbe. Giacché per principio storie di questo genere non si dovrebbero comporre. Se poi se ne compongono e la cosa paia riuscir più verosimile, [35] allora bisogna ammettere anche l’assurdo. Giacché anche nell’Odissea l’episodio dello sbarco è chiaro che [1460 b] riuscirebbe insopportabile se l’avesse composto un cattivo poeta. Così com’è ora, invece, il poeta con gli altri suoi pregi nasconde l’irrazionale rendendolo piacevole.

Quanto poi all’elocuzione, ci si deve affaticare sulle parti morte e non su quelle in cui emergono caratteri e pensiero, giacché questi ne verrebbero [5] oscurati da un linguaggio troppo splendente.

 




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