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Aristotele
Etica a Nicomaco

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8. [Il garbo].

Nella vita, poi, c’è anche il riposo, ed in questo c’è posto per la distrazione accompagnata da divertimento: si ritiene comunemente che anche qui ci sia [1128a] un modo conveniente di stare in compagnia, e cose da dire, ma anche cose da ascoltare, come si deve. È evidente che anche in questo campo ci sono eccesso e difetto rispetto ad un giusto mezzo. Coloro, dunque, che esagerano nel far ridere sono ritenuti [5] buffoni e volgari, perché si affaticano a far ridere ad ogni costo, e cercano più di far ridere che di dire cose decorose e di non offendere colui che viene preso in giro. D’altra parte, quelli che non dicono essi stessi nulla che faccia ridere ma si irritano con coloro che lo fanno, sono stimati rozzi e duri. Infine, quelli [10] che scherzano con gusto sono chiamati spiritosi, in quanto sono versatili 86, giacché le facezie, si pensa, sono dei movimenti del carattere, e, come si giudicano i corpi dai loro movimenti, così si giudicano anche i caratteri. E siccome il piacere di ridere è diffuso, e la maggior parte della gente si diverte a scherzare e a motteggiare più che non si debba, anche i buffoni [15] vengono chiamati spiritosi, perché sono divertenti: ma che questi differiscono, e non poco, dagli spiritosi veri, è chiaro da quanto abbiamo detto. Alla disposizione di mezzo appartiene anche il garbo: è proprio dell’uomo garbato dire e ascoltare solo le cose che si intonano al carattere di un uomo virtuoso e libero. Ci sono, infatti, cose che un tale uomo può convenientemente dire [20] o ascoltare a mo’ di scherzo, e lo scherzo dell’uomo libero differisce da quello dell’uomo servile, come pure lo scherzo dell’uomo bene educato differisce da quello dell’uomo privo di educazione. Questa differenza si può vedere anche dal confronto delle commedie antiche con le moderne: per gli autori antichi era divertente la battuta oscena, per i moderni piuttosto il sottinteso: e non è piccola la differenza tra questi due atteggiamenti [25] dal punto di vista del decoro. Dobbiamo, dunque, definire il buon motteggiatore col fatto che dice cose non sconvenienti ad un uomo libero, o col fatto che non affligge, anzi rallegra chi l’ascolta? O anche tale caratteristica rimane indeterminata? Infatti, per uno è odiosa o piacevole una cosa, per un altro un’altra. Ma le cose che dice accetterà anche di ascoltarle, giacché si ritiene che ciò che tollera di ascoltare egli possa anche farlo. Ma non per questo scherzerà sempre, [30] perché il motteggio è una specie di oltraggio, ed alcune forme di oltraggio sono proibite dai legislatori; forse si sarebbe dovuto proibire anche il motteggiare. Per conseguenza, l’uomo raffinato e libero avrà questa disposizione, perché egli è legge a se stesso. Tale è dunque l’uomo del giusto mezzo, uomo di garbo o uomo di spirito che dir si voglia. Il buffone, invece, è schiavo del suo desiderio di far ridere, e non risparmia né se stesso [35] né gli altri pur di suscitare il riso, [1128b] e dice cose, nessuna delle quali l’uomo raffinato direbbe; anzi, alcune di esse non le ascolterebbe neppure. Il rustico, poi, è inadatto a tali compagnie: non vi contribuisce in niente ed è sgradevole a tutti. Il riposo, poi, ed il divertimento si ritiene che siano necessari nella vita. [5] Nella vita corrente, dunque, tre sono le medietà di cui abbiamo parlato, e tutte riguardano i rapporti reciproci fatti di parole e di azioni. Ma differiscono perché una riguarda la verità, le altre due il piacere. Di quelle che riguardano il piacere, infine, una si manifesta nei divertimenti, l’altra nelle compagnie che si costituiscono nelle altre occasioni della vita.

 




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