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Aristotele Etica a Nicomaco IntraText CT - Lettura del testo |
10. [L’equità].
Dobbiamo ora parlare dell’equità e dell’equo, e determinare in che rapporto stanno l’equità con la giustizia e l’equo con il giusto. Se, infatti, si esaminano attentamente, risulta manifesto che non sono senz’altro la stessa cosa e che tuttavia non differiscono di genere. A volte noi [35] lodiamo ciò che è equo e l’uomo equo, di modo che anche quando lodiamo le altre qualità noi [1137b] usiamo metaforicamente il termine di "equo" al posto di "buono", indicando con "più equo", ciò che è più buono. A volte invece, ragionando coerentemente, ci appare strano che l’equo, che è qualcosa di ulteriore rispetto al giusto, sia tuttavia degno di lode: infatti, se sono diversi, o il giusto non è buono o l’equo non è [5] giusto; o se entrambi sono buoni, essi sono la stessa cosa. Dunque, queste pressappoco sono le considerazioni da cui nasce l’aporia che concerne la nozione di equo, e in un certo senso sono tutte corrette e per nulla in contraddizione tra loro. In effetti, l’equo, pur essendo superiore ad un certo tipo di giusto, è esso stesso giusto, ed è superiore al giusto pur non costituendo un altro genere. [10] Per conseguenza, giusto ed equo sono la stessa cosa, e, pur essendo entrambi buoni, è l’equo che ha più valore. Ciò che produce l’aporia è il fatto che l’equo è sì giusto, ma non è il giusto secondo la legge, bensì un correttivo del giusto legale. Il motivo è che la legge è sempre una norma universale, mentre di alcuni casi singoli non è possibile trattare correttamente in universale. Nelle circostanze, dunque, in cui [15] è inevitabile parlare in universale, ma non è possibile farlo correttamente, la legge prende in considerazione ciò che si verifica nella maggioranza dei casi, pur non ignorando l’errore dell’approssimazione. E non di meno è corretta: l’errore non sta nella legge né nel legislatore, ma nella natura della cosa, giacché la materia delle azioni ha proprio questa intrinseca caratteristica. Quando, [20] dunque, la legge parla in universale, ed in seguito avviene qualcosa che non rientra nella norma universale, allora è legittimo, laddove il legislatore ha trascurato qualcosa e non ha colto nel segno, per avere parlato in generale, correggere l’omissione, e considerare prescritto ciò che il legislatore stesso direbbe se fosse presente, e che avrebbe incluso nella legge se avesse potuto conoscere il caso in questione. Perciò l’equo è giusto, anzi migliore di un certo tipo di giusto, [25] non del giusto in senso assoluto, bensì del giusto che è approssimativo per il fatto di essere universale. Ed è questa la natura dell’equo: un correttivo della legge, laddove è difettosa a causa della sua universalità. Questo, infatti, è il motivo per cui non tutto può essere definito dalla legge: ci sono dei casi in cui è impossibile stabilire una legge, tanto che è necessario un decreto. Infatti, di una cosa indeterminata anche [30] la norma è indeterminata, come il regolo di piombo usato nella costruzione di Lesbo 135: il regolo si adatta alla configurazione della pietra e non rimane rigido, come il decreto si adatta ai fatti. Che cosa è dunque l’equo, e che è giusto e migliore di un certo tipo di giusto, è chiaro. Da ciò risulta manifesto anche chi è l’uomo equo: [35] è equo infatti chi è incline a scegliere e a fare effettivamente cose di questo genere, e [1138a] chi non è pignolo nell’applicare la giustizia fino al peggio, ma è piuttosto portato a tenersi indietro, anche se ha il conforto della legge. Questa disposizione è l’equità, che è una forma speciale di giustizia e non una disposizione di genere diverso.