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Aristotele Etica a Nicomaco IntraText CT - Lettura del testo |
5. [La saggezza].
Per quanto riguarda la saggezza, ne coglieremo l’essenza se considereremo [25] qual è la natura di coloro che chiamiamo saggi. Ebbene, comunemente si ritiene che sia proprio del saggio essere capace di ben deliberare su ciò che è buono e vantaggioso per lui, non da un punto di vista parziale, come, per esempio, per la salute, o per la forza, ma su ciò che è buono e utile per una vita felice in senso globale. Una prova ne è che noi chiamiamo saggi coloro che lo sono in un campo particolare, quando calcolano [30] esattamente i mezzi per ottenere un fine buono in cose che non sono oggetto di un’arte. Ne consegue che anche in generale è saggio chi è capace di deliberare. Ma nessuno delibera sulle cose che non possono essere diversamente, né sulle cose che non gli è possibile fare lui stesso. Cosicché, se è vero che scienza implica dimostrazione, ma che, d’altra parte, non v’è dimostrazione delle cose i cui principi possono essere diversamente [35] (tutte queste infatti possono essere anche diversamente), e poiché non [1140b] è possibile deliberare su ciò che è necessariamente, la saggezza non sarà né scienza né tecnica. Non sarà scienza perché l’oggetto dell’azione può essere diversamente, e non sarà arte perché il genere dell’azione e quello della produzione sono diversi. In conclusione, resta che la saggezza sia [5] una disposizione vera, ragionata, disposizione all’azione avente per oggetto ciò che è bene e ciò che è male per l’uomo. Infatti, il fine della produzione è altro dalla produzione stessa, mentre il fine dell’azione no: l’agire moralmente bene è un fine in se stesso. Per questo noi pensiamo che Pericle e gli uomini come lui sono saggi, perché sono capaci di vedere ciò che è bene per loro e ciò che è bene per gli uomini in generale; [10] e tale capacità hanno, secondo noi, gli uomini che sanno amministrare una famiglia o uno Stato. Per questo motivo attribuiamo alla temperanza questo nome, perché salva la saggezza 153. Salva, cioè, il giudizio saggio. In effetti, non è che il piacere e il dolore corrompano e distorcano ogni tipo di giudizio (per esempio, questo: il triangolo [15] ha o non ha la somma degli angoli interni uguale a due angoli retti), bensì soltanto i giudizi che riguardano l’azione. Infatti, i fini delle azioni sono le azioni stesse: a chi è corrotto dal piacere o dal dolore non è più manifesto il principio, né che è in vista di questo o per causa sua che deve scegliere e fare tutto ciò che sceglie e fa: il vizio, infatti, distrugge il principio dell’azione morale. [20] Per conseguenza, la saggezza è necessariamente una disposizione ragionata, vera, disposizione all’azione nel campo dei beni umani. Inoltre, dell’arte c’è una virtù, ma non c’è una virtù della saggezza: cioè, nel campo dell’arte è preferibile chi sbaglia volontariamente, mentre nel caso della saggezza, come in quello delle altre virtù, sbagliare volontariamente è peggio. Dunque, è chiaro che la saggezza è una virtù [25] e non un’arte. Poiché, poi, le parti razionali dell’anima sono due, la saggezza sarà la virtù di una delle due, di quella opinativa 154: sia l’opinione sia la saggezza, infatti, si riferiscono alle cose che possono essere diversamente. Inoltre la saggezza non è soltanto una disposizione ragionata: prova ne è che di una simile disposizione vi può essere oblio, della saggezza, [30] invece, no.