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Aristotele
Etica a Nicomaco

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2. [La teoria di Eudosso e la critica di Speusippo].

Orbene, Eudosso 319 pensava che il piacere è il bene per queste ragioni: [10] (1) vediamo che tutti i viventi, sia quelli razionali sia quelli irrazionali, tendono ad esso; ma in tutti i casi ciò che è desiderato è il bene, e ciò che è desiderato più di tutto è il massimo bene; quindi, il fatto che tutti i viventi siano portati al medesimo oggetto indica che per tutti questo è il sommo bene (ciascun essere vivente, infatti, trova ciò che è bene per lui, come trova il suo nutrimento), ma ciò, che è bene per tutti, cioè ciò verso cui tutti tendono, [15] è il bene per eccellenza 320. Le sue teorie, poi, ottenevano credito più per la virtù del suo carattere che per se stesse: veniva considerato, infatti, eccezionalmente temperante, e, quindi, si pensava che egli facesse queste affermazioni non perché amico lui stesso del piacere, ma perché le cose stanno in verità proprio così. (2) Inoltre, pensava che ciò risulti non meno evidente in base all’argomento del contrario: infatti, diceva, il dolore di per sé è per tutti un oggetto da fuggire; [20] dunque, il suo contrario è parimente per tutti qualcosa di desiderabile. (3) E massimamente desiderabile è ciò che noi non desideriamo per qualcos’altro, né in vista di qualcos’altro. Tale oggetto è, per unanime consenso, il piacere: infatti, nessuno chiede a che scopo si gode, considerando che il piacere è desiderabile per se stesso. (4) Infine, qualunque sia il bene cui si aggiunge, per esempio, [25] all’agire con giustizia e con temperanza, il piacere lo rende più desiderabile; ma il bene resta accresciuto solo da se stesso. Quest’ultimo argomento, quindi, almeno così com’è, sembra mettere in chiaro che il piacere è uno dei beni, e per niente maggiore di un altro: infatti, ogni bene è più degno di scelta se è accompagnato da un altro bene che non se resta solo.

Orbene, è con un ragionamento di questo tipo che Platone dimostra che il piacere non è il bene. Infatti, egli dice 321, [30] la vita di piacere è più desiderabile unita alla saggezza che non separata da essa, e se la vita mista è migliore, il piacere non è il bene, giacché nessuna cosa aggiunta al bene può renderlo più desiderabile. Ma è chiaro che il bene non sarà alcun’altra cosa che diventi più desiderabile se si accompagna a qualcosa che è bene di per sé. Che cosa dunque è questa natura, di cui anche [35] noi partecipiamo? È una cosa di questo genere che stiamo cercando.

(1) E coloro i quali obiettano non essere vero che è bene ciò a cui tutte le cose tendono, non dicono nulla di sensato. [1173a] Infatti, ciò che è ammesso da tutti noi affermiamo che è vero: e colui che rifiuta questa convinzione non troverà cose molto più convincenti da dire. Se, infatti, gli esseri privi di ragione fossero i soli a desiderare i piaceri, l’obiezione avrebbe senso, ma se li desiderano anche gli esseri dotati di ragione, come può aver senso l’obiezione? E poi, forse, anche negli esseri inferiori c’è un qualche istinto naturale e buono, [5] più forte di quanto essi siano per se stessi, che li fa tendere al bene proprio della loro specie.

(2) E non sembra che affrontino correttamente neppure l’argomento del contrario. Non è vero, dicono, che se il dolore è male, il piacere è bene: infatti anche un male può contrapporsi ad un male, ed entrambi possono contrapporsi a ciò che non è né malebene. In ciò non hanno torto 322, ma non colgono la verità, almeno non a proposito di ciò di cui stiamo parlando. [10] Se, infatti, piacere e dolore fossero entrambi dei mali, dovrebbero essere entrambi da fuggire; se, invece, non fossero né benemale, nessuno dei due dovrebbe essere fuggito, oppure dovrebbero esserlo entrambi allo stesso modo. Ora, è evidente che gli uomini fuggono il dolore come un male, e che desiderano il piacere come un bene: dunque, piacere e dolore si contrappongono come bene e male.

 




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