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Aristotele
Etica a Nicomaco

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8. [Assoluta superiorità della vita contemplativa].

Al secondo posto viene la vita conforme all’altro tipo di virtù: infatti, le attività [10] ad esso conformi sono esclusivamente umane. In effetti, atti giusti e coraggiosi, e atti virtuosi in generale, noi li facciamo gli uni nei confronti degli altri nei contratti, nei servizi, nelle azioni di ogni genere come nelle passioni, rispettando ciò che compete a ciascuno: e queste sono tutte, manifestamente, azioni esclusivamente umane. Si ritiene, poi, [15] che la virtù del carattere per alcuni aspetti derivi dal corpo, e per molti aspetti sia in stretta connessione con le passioni. Ma anche la saggezza è collegata alla virtù del carattere, e quest’ultima alla saggezza, se è vero che i principi della saggezza discendono dalle virtù etiche, e che la rettitudine delle virtù etiche discende dalla saggezza. Ma essendo queste virtù legate anche [20] alle passioni, saranno relative al composto; ma le virtù del composto sono virtù esclusivamente umane, e, per conseguenza, lo sono anche la vita ad essa conforme e la felicità che ne deriva. La virtù dell’intelletto, invece, è separata: su di essa basti quanto s’è detto, ché esaminarla con precisione sarebbe un compito più grande di quello che ci siamo proposti.

Si ammetterà, poi, che essa ha anche poco bisogno di essere provvista di beni esteriori o ne ha meno bisogno [25] della virtù etica. Infatti, si ammetta pure che entrambe abbiano bisogno, e in misura uguale, di ciò che è loro necessario, anche se l’uomo politico si preoccupa di più del corpo e di quanto ha natura corporea, giacché ci sarà poca differenza; ma per quanto riguarda le attività la differenza sarà grande. L’uomo liberale, infatti, avrà bisogno di denaro per compiere atti di liberalità, e [30] l’uomo giusto, quindi, ne avrà bisogno per contraccambiare (le intenzioni, infatti, non si vedono, ma anche coloro che giusti non sono fanno mostra di voler agire con giustizia); l’uomo coraggioso, d’altro canto, ha bisogno di forza, se vuole mandare ad effetto una qualunque azione conforme alla sua specifica virtù, e l’uomo temperante ha bisogno di avere disponibilità di beni. Se no, come potrà rivelarsi appunto virtuoso questo o quell’altro virtuoso? Si discute se il costitutivo più importante [35] della virtù sia la scelta o le azioni, pensando che essa risiede in entrambe le cose. [1178b] È chiaro, quindi, che la sua perfezione implicherà entrambe le cose; per le azioni occorrono molte cose, e tante di più quanto più le azioni sono grandi e belle. L’uomo contemplativo, al contrario, non ha bisogno di nulla di tutto ciò, almeno per la sua specifica attività, ma anzi queste cose sono, per così dire, degli ostacoli, [5] almeno per la contemplazione. Ma, in quanto è uomo e vive insieme con molti altri uomini, egli sceglie di agire in conformità con la virtù: dunque, avrà bisogno di tali mezzi per vivere da uomo.

Che la felicità perfetta, poi, sia un’attività contemplativa, risulta manifesto anche dalle considerazioni seguenti. Noi ammettiamo che gli dèi siano beati e felici al massimo grado: [10] ma che tipo di azioni bisogna attribuire loro? Le azioni giuste? Ma non sarà manifestamente ridicolo pensare che facciano contratti, restituiscano depositi, e così via? Allora le azioni coraggiose, immaginando che affrontino pericoli e corrano rischi perché è bello? O forse le azioni liberali? Ma a chi doneranno? Sarà ben assurdo [15] che possiedano moneta o qualcosa di simile. E le azioni temperanti che cosa saranno per loro? Non sarà grossolano lodarli perché non possiedono cattivi desideri? Se passiamo in rivista tutto questo, ci risulterà manifesto che l’intero ambito delle azioni è piccolo ed indegno di dèi. Tuttavia, tutti ammettono almeno che essi vivono e quindi sono attivi, ché non si può certo pensare che dormano come [20] Endimione 353. Ma se si toglie, all’essere che vive, l’agire, e ancor più il produrre, che cosa gli rimane se non la contemplazione? Cosicché l’attività di Dio, che eccelle per beatitudine, sarà contemplativa: e, per conseguenza, l’attività umana che le è più affine sarà quella che produce la più grande felicità.

Una prova, poi, è anche il fatto che tutti gli altri animali non partecipano della felicità, [25] perché sono completamente privi di tale tipo di attività. Per gli dèi, infatti, tutta la vita è beata, mentre per gli uomini lo è nella misura in cui loro compete una qualche somiglianza con quel tipo di attività: invece, nessuno degli altri animali è felice, perché non partecipa in alcun modo alla contemplazione. Per conseguenza, quanto si estende la contemplazione, tanto si estende anche la felicità, e a coloro cui [30] appartiene in misura maggiore il contemplare appartiene in misura maggiore anche l’essere felici, non per accidente, ma proprio in virtù della contemplazione, perché essa ha valore per se stessa. Per conseguenza, la felicità sarà una forma di contemplazione.

Ma il contemplativo avrà bisogno anche della prosperità esteriore, dal momento che è un uomo: la natura umana, infatti, non è di per sé sufficiente per esercitare la contemplazione, ma occorre anche che il corpo [35] sia in buona salute e che riceva cibo ed ogni altra cura. [1179a] Certo non dobbiamo pensare che, se non è possibile essere beati senza i beni esteriori, si avrà bisogno per giungere alla felicità di molte e grandi cose: non è nell’eccesso, infatti, che consistono l’autosufficienza e l’azione, ma è possibile compiere belle azioni anche senza comandare in terra e in mare, [5] giacché anche con mezzi misurati si può agire secondo virtù (e si può vederlo molto chiaramente: si ammette, infatti, che i semplici privati compiano azioni virtuose non meno dei potenti, anzi anche di più). È sufficiente avere quanto basta alla virtù, poiché sarà felice la vita di chi agisce conformemente alla virtù. Anche Solone 354 [10] definì certamente bene gli uomini felici, dicendo che sono stati in giusta misura forniti di beni esteriori, che hanno continuato a compiere le azioni più belle (le più belle secondo il suo modo di pensare) e a vivere saggiamente: infatti, anche coloro che sono forniti di beni misurati possono compiere ciò che si deve. Sembra, poi, che anche Anassagora 355 concepisse l’uomo felice non riccopotente, dicendo che [15] non ci si deve meravigliare se un tale uomo appare strano alla massa: questa, infatti, giudica dai beni esterni, perché solo questi percepisce. Le opinioni dei sapienti, dunque, sembrano concordare con le nostre argomentazioni.

Insomma, anche considerazioni di questo tipo hanno una certa credibilità, ma la verità nelle questioni di comportamento si giudica dai fatti e dalla vita vissuta: in questi, [20] infatti, sta l’essenziale 356. È quindi necessario esaminare le cose precedentemente dette mettendole a confronto con i fatti e con la vita, e se sono in armonia con i fatti dobbiamo accettarle, se, invece, ne sono discordanti dobbiamo considerarle semplici teorie. L’uomo che è intellettualmente attivo e che coltiva il suo intelletto sembra che si trovi nella migliore delle disposizioni e che sia il più caro agli dèi. Se, infatti, [25] gli dèi si prendono una qualche cura delle cose umane, come comunemente si ritiene, sarà ragionevole pensare anche che essi si compiacciono dell’elemento umano più elevato e ad essi più affine (e questo sarà l’intelletto), e che ricompensano gli uomini che amano e curano l’intelletto più d’ogni cosa, considerando che questi si curano di cose a loro care e agiscono in modo retto e bello. Che tutto questo [30] si ritrovi soprattutto nel sapiente, è chiaro. Questi, dunque, è il più caro agli dèi. Ed è naturale che lo stesso uomo sia anche il più felice: cosicché anche da questa argomentazione risulterà che il sapiente è sommamente felice.

 




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