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Aristotele
Etica a Nicomaco

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8. [Le opposizioni tra i vizi e le virtù].

Le disposizioni sono dunque tre: due vizi, l’uno per eccesso e l’altro per difetto, ed una sola virtù, la medietà e tutte in certo qual modo si oppongono a tutte le altre. Infatti, le disposizioni estreme sono contrarie sia a quella di mezzo sia l’una all’altra, e quella [15] di mezzo è contraria alle estreme: come, infatti, l’uguale rispetto al minore è maggiore, e rispetto al maggiore è minore, così le disposizioni di mezzo sono degli eccessi rispetto alle disposizioni in difetto e sono dei difetti rispetto a quelle in eccesso, sia nelle passioni sia nelle azioni. Infatti, l’uomo coraggioso in confronto al vile appare temerario, [20] mentre appare vile in confronto al temerario; similmente anche l’uomo temperante appare intemperante in confronto all’insensibile, e insensibile in confronto all’intemperante, e l’uomo liberale appare prodigo in confronto all’avaro, e avaro in confronto al prodigo. Perciò accade che gli estremi spingono il mezzo ciascuno verso l’altro, e il vile chiama [25] temerario il coraggioso, mentre il temerario lo chiama vile, ed analogamente negli altri casi. Essendo queste disposizioni contrapposte le une alle altre in questo modo, la contrarietà più grande si trova reciprocamente tra gli estremi piuttosto che tra loro e il mezzo: infatti, questi sono più distanti fra loro che dal mezzo, come il grande dal piccolo e il piccolo [30] dal grande sono più distanti fra loro di quanto non lo siano entrambi dall’uguale. Inoltre, in alcuni estremi si mostra una certa somiglianza nei confronti del mezzo, come nella temerarietà nei confronti del coraggio e nella prodigalità nei confronti della liberalità. Negli estremi fra di loro c’è invece la massima dissomiglianza. Le cose che sono alla distanza massima l’una dall’altra si definiscono contrarie, cosicché [35] quelle che sono più distanti sono anche più contrarie. Nei confronti del mezzo [1109a] è più contrario in certi casi il difetto, in certi altri l’eccesso: per esempio, ciò che si oppone di più al coraggio non è la temerarietà, che è un eccesso, bensì la viltà, che è un difetto; ciò che si oppone di più alla temperanza non è l’insensibilità, che è una mancanza, bensì l’intemperanza, [5] che è un eccesso. Questo avviene per due motivi. L’uno dipende dalla cosa stessa: infatti, per il fatto che uno degli estremi è più vicino e più simile al mezzo, noi non opponiamo questo estremo al mezzo, ma piuttosto al suo contrario. Per esempio, poiché si riconosce che al coraggio è più simile e più vicina la temerarietà, e più dissimile [10] la viltà, è piuttosto quest’ultima che gli contrapponiamo: infatti, le cose che sono più distanti dal mezzo si riconosce che sono anche più contrarie. Questo, dunque, è un primo motivo, che dipende dalla cosa stessa. L’altro, invece, dipende da noi stessi: le cose verso cui siamo in qualche modo più inclini per natura si rivelano più contrarie al mezzo. Per esempio, noi siamo più [15] inclini ai piaceri, e per questo siamo più portati all’intemperanza che al decoro. Dunque, chiamiamo contrari piuttosto quei vizi verso i quali maggiore è la nostra tendenza: e per questo l’intemperanza, che è un eccesso, è più contraria alla temperanza.

 




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