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Aristotele Etica a Nicomaco IntraText CT - Lettura del testo |
LIBRO IV
1. [La liberalità].
Adesso trattiamo della liberalità. Generalmente si crede che essa sia la medietà concernente i beni materiali. Infatti, si loda l’uomo liberale non nelle azioni di guerra, né in quelle per cui viene lodato l’uomo temperante, né, inoltre, nelle decisioni giudiziali, [25] bensì in riferimento al dare e al ricevere beni materiali, e soprattutto in riferimento al dare. Denominiamo, poi, beni materiali tutte le cose il cui valore si misura in denaro. La prodigalità e l’avarizia sono eccessi e difetti che riguardano i beni materiali. E mentre attribuiamo il termine avarizia sempre a coloro che si preoccupano dei beni materiali più di quanto bisogna, [30] talora applichiamo il termine prodigalità comprendendo insieme più significati: chiamiamo, infatti, prodighi gli incontinenti e coloro che scialacquano per soddisfare la loro intemperanza. Perciò si ritiene comunemente che siano affatto miserabili, giacché hanno molti vizi insieme. Dunque, la loro denominazione non è appropriata: infatti "prodigo" vuol significare chi ha un vizio solo e determinato, quello di mandare in rovina il patrimonio. [1120a] Infatti, prodigo è chi si rovina da se stesso, e la distruzione del patrimonio si ritiene che sia una specie di rovina di se stessi, dal momento che è esso che rende possibile vivere. Per conseguenza, è in questo senso che prendiamo il termine "prodigalità". Delle cose, poi, che hanno un uso, si può usare sia bene sia male. Ora, [5] la ricchezza appartiene alle cose di cui si fa uso, e di ciascuna cosa fa l’uso migliore colui che ne ha la virtù relativa: dunque, anche della ricchezza farà il migliore uso possibile chi ha la virtù relativa ai beni materiali; e costui è l’uomo liberale. Ma l’uso dei beni materiali si ritiene che consista nello spendere e nel donare, mentre il prenderli e il custodirli sono piuttosto un possesso. [10] Perciò è più proprio dell’uomo liberale il donare a chi si deve che non il prendere di dove si deve, ovvero il non prendere di dove non si deve. È infatti caratteristico della virtù più fare il bene che non il riceverlo, e compiere belle azioni più che non compierne di cattive. E non è difficile vedere che il donare implica fare il bene e compiere belle azioni, il prendere implica [15] ricevere il bene e non comportarsi male. Inoltre la riconoscenza va a chi dona, non a chi prende, ed ancor più la lode. Ed è più facile non prendere che donare: si è meno disposti a cedere del proprio che a non prendere dall’altrui.
E liberali sono chiamati quelli che donano; quelli che non prendono ciò che non devono [20] non sono lodati dal punto di vista della liberalità, bensì dal punto di vista della giustizia, e quelli che prendono ciò che devono non sono lodati affatto. Gli uomini liberali, poi, sono amati quasi di più di tutti quelli che sono amati per la virtù, perché sono benefici, e l’essere benefici consiste nel donare. Le azioni virtuose sono belle ed hanno come fine il bello. E l’uomo liberale, dunque, donerà in vista del bello [25] ed in maniera corretta: donerà, cioè, a chi si deve e nella quantità e nel momento in cui si deve, ed osserverà tutte le altre condizioni che il donare rettamente implica; e lo farà con piacere, o almeno senza pena: infatti, ciò che è conforme a virtù è piacevole o senza pena, anzi non è affatto penoso. Colui che dona, invece, a chi non si deve, o dona non in vista del bello ma per qualche altro motivo, non potrà essere chiamato liberale, ma in qualche altro modo. Né [30] si potrà chiamare liberale chi dona con pena: egli, infatti, anteporrà i suoi beni alla bella azione, e questo non è da uomo liberale. Né prenderà di dove non si deve: un simile prendere non è, infatti, proprio di un uomo che non stima i beni materiali. Né sarà liberale chi sollecita beni per sé, giacché non è proprio di chi fa il bene il farsi beneficiare senza scrupoli. Invece prenderà di dove si deve, per esempio dalla sua proprietà privata, [1120b] non perché è bello, ma perché è necessario al fine di avere di che donare. Né trascurerà i suoi beni personali, se non altro perché vuole con essi provvedere agli altri. Né donerà a chi capita, per avere di che donare a chi si deve, nel tempo e nel luogo in cui è bello donare. È affatto [5] caratteristico dell’uomo liberale persino eccedere nel donare, in modo da lasciare a se stesso la parte minore dei suoi beni: infatti, è proprio del liberale non guardare a se stesso. La liberalità, poi, si determina a seconda del patrimonio: infatti, il carattere liberale del dono non sta nella quantità di ciò che è donato, ma nella disposizione d’animo di colui che dona, e questa spinge a donare in proporzione al patrimonio. Per conseguenza, nulla impedisce [10] che sia più liberale chi dona di meno, se per donare attinge da un patrimonio più piccolo. Si ritiene comunemente che siano più liberali coloro che non si sono procurati da sé il patrimonio, ma lo hanno ereditato: infatti, non hanno esperienza dell’indigenza ed inoltre tutti gli uomini amano di più ciò che è opera loro, come i genitori ed i poeti. D’altra parte, non è facile arricchirsi [15] per un uomo liberale, poiché non è portato a prendere né a conservare, ma a dar via, e non apprezza i beni materiali per se stessi, ma come mezzi per poter donare. Perciò si rimprovera la fortuna, perché coloro che ne sono più degni meno arricchiscono. Ma questo succede non senza ragione: non è possibile che possieda dei beni chi non si preoccupa di averne, come succede [20] anche in tutte le altre cose. Se non altro, il liberale non donerà a chi non si deve né quando non si deve, e così via; infatti non agirebbe più conformemente alla liberalità, e se spendesse per queste cose le sue sostanze, non ne avrebbe per spenderle per ciò che si deve. Come, infatti, si è detto, è liberale chi spende in proporzione al proprio patrimonio e per ciò che si deve: chi, invece, eccede, [25] è prodigo. Perciò non chiamiamo prodighi i tiranni: infatti, non sembra che sia facile che col donare e con lo spendere possano superare la grandezza della loro proprietà. Poiché, dunque, la liberalità è la medietà relativa al donare e al prendere beni materiali, l’uomo liberale donerà e spenderà per ciò che si deve e quanto si deve, allo stesso modo nelle piccole [30] che nelle grandi cose, e questo farà con piacere; e prenderà di dove si deve e quanto si deve. Poiché, infatti, la sua virtù è la medietà relativa al donare e al prendere, il liberale farà entrambe le cose come si deve: al donare in modo conveniente consegue anche un prendere convenientemente, mentre un prendere diversamente è il suo contrario. Ordunque, le proprietà che si implicano sono presenti insieme nello stesso uomo, mentre è chiaro che per quelle contrarie non è così. [1121a] D’altra parte, se gli accadrà di spendere più del dovuto o più di ciò che è bello, ne soffrirà, ma moderatamente e come si deve: è tipico della virtù, infatti, provar piacere e dolore per ciò che si deve e come si deve. Infine, l’uomo liberale è molto accomodante per quanto riguarda i beni materiali: [5] infatti, è capace di subire ingiustizia, se non altro perché non stima i beni materiali, e perché soffre di più se non dà qualcosa di dovuto di quanto non si addolori se dà qualcosa di non dovuto, anche se così dispiace a Simonide 77. Il prodigo, invece, erra anche in queste cose: non prova, infatti, né piacere né dolore di ciò per cui si deve, né nel modo in cui si deve: ma sarà più chiaro per chi ci seguirà.
[10] Abbiamo dunque detto che la prodigalità e l’avarizia sono eccessi e difetti, ed in due cose, nel donare e nel prendere, giacché comprendiamo anche lo spendere nel donare. Orbene, la prodigalità eccede nel donare e nel non prendere, mentre difetta nel prendere; l’avarizia, invece, difetta nel donare, [15] ma eccede nel prendere, eccetto che nelle piccole cose. I due aspetti della prodigalità stanno raramente insieme: non è facile, infatti, per chi non prende da nessuna parte, donare a tutti, giacché le risorse vengono presto a mancare a coloro che donano, se sono dei privati, che sono i soli che comunemente si ritiene siano prodighi. Tuttavia, chi possedesse entrambi gli aspetti della prodigalità sarebbe ritenuto non poco migliore [20] dell’avaro. Egli, infatti, può essere guarito dall’età e dalla povertà, e può giungere alla medietà. Ha infatti i tratti dell’uomo liberale, giacché dona e non prende, ma nessuna delle due cose fa come si deve, cioè non le fa bene. Se, dunque, prendesse questa abitudine o comunque cambiasse comportamento, sarebbe un uomo liberale: allora donerà a chi si deve [25] e non prenderà di dove non si deve. Proprio per questo si ritiene che non sia cattivo di carattere: non è, infatti, da uomo perverso ed ignobile eccedere nel donare e nel non prendere, bensì da stupido. Chi è prodigo in questo modo si ritiene che sia molto migliore dell’avaro per le ragioni dette, e perché quello benefica molta gente, questo, invece, nessuno, [30] neppure se stesso. Ma la maggior parte dei prodighi, come si è detto, giungono al punto di prendere di dove non si deve e, da questo punto di vista, sono degli avari. Diventano molto disponibili a prendere per il fatto di voler spendere, ma di non poterlo fare facilmente, perché le sostanze vengono loro meno rapidamente. Sono quindi costretti a procacciarsele altrove. [1121b] Nello stesso tempo, è anche perché non si preoccupano per niente di ciò che è bello che prendono con noncuranza e da ogni parte: desiderano infatti donare, ma non ha alcuna importanza per loro il modo con cui attingono e la fonte da cui attingono. Perciò neppure le loro donazioni sono liberali: infatti, non sono moralmente belle, né hanno come scopo il bello, [5] né sono fatte come si deve ma, talvolta, rendono ricchi uomini che dovrebbero rimanere poveri, e, mentre non darebbero nulla a uomini di carattere misurato, agli adulatori, invece, o a chi procura loro qualche altro piacere, donano molto. Proprio per questo la maggior parte di loro sono anche intemperanti, giacché spendono facilmente e sono scialacquatori per soddisfare le loro intemperanze, e, poiché non vivono per [10] ciò che è moralmente bello, sono proclivi ai piaceri. Il prodigo, quindi, quando rimane senza guida, si rivolge all’avarizia ed alla intemperanza, mentre quando gli capita di trovare chi si prende cura di lui può giungere al giusto mezzo e al comportamento dovuto. L’avarizia, invece, è incorreggibile (si ritiene, infatti, che la vecchiaia ed ogni specie di impotenza rendano avari), ed è più connaturale agli uomini [15] che non la prodigalità: la gente, infatti, ama di più possedere beni materiali che non donarli. L’avarizia, inoltre, ha una grande estensione e presenta molti aspetti: si ritiene, infatti, che molti siano i modi di essere avari. Poiché consiste di due elementi, difetto nel dare ed eccesso nel prendere, non in tutti si realizza integralmente, ma talora si scinde, [20] e alcuni eccedono nel prendere, mentre altri difettano nel dare. Infatti, quelli che rientrano in queste denominazioni, per esempio, tirchi spilorci taccagni, tutti difettano nel dare, ma non aspirano ai beni altrui né vogliono prenderseli; gli uni per una certa onestà e per un certo ritegno di fronte alle brutte azioni [25] (si pensa infatti che alcuni, o almeno loro dicono così, custodiscano gelosamente i loro beni per non trovarsi mai costretti a compiere qualche brutta azione; e a questi appartiene pure chi risparmia anche un grano di comino ed ogni tipo del genere: e prende il nome dall’eccesso che consiste nel non donare nulla); gli altri, invece, si astengono dai beni altrui per paura, pensando che non è facile che uno si impadronisca dei beni degli altri [30] senza che gli altri si impadroniscano dei suoi: a loro, quindi, non piace né prendere né donare. Altri, al contrario, eccedono nel prendere, in quanto prendono tutto e da ogni parte, come, per esempio, coloro che esercitano mestieri sordidi: i ruffiani e tutti i loro simili, e gli usurai che prestano piccole somme a grande interesse. [1122a] Tutti costoro, infatti, prendono di dove non si deve e nella quantità che non si deve. Elemento comune a costoro è poi, manifestamente, la sordida cupidigia di guadagno: tutti, infatti, affrontano il disonore in vista di un guadagno, anche se piccolo. Coloro, infatti, che traggono grossi guadagni di dove non si deve, e non fanno ciò che si deve, non [5] li chiamiamo avari (per esempio, i tiranni che saccheggiano e spogliano i templi), ma, piuttosto, malvagi, empi, ingiusti. Tuttavia, il giocatore d’azzardo, il ladro e il pirata appartengono alla classe degli avari: sono, infatti, sordidamente cupidi di guadagno. È, infatti, in vista del guadagno che gli uni e gli altri si danno da fare ed affrontano il disonore, e, [10] mentre questi ultimi affrontano i più grossi rischi in vista del bottino, i primi traggono guadagni dagli amici, ai quali invece si dovrebbe donare. Gli uni e gli altri, dunque, in quanto vogliono trarre profitti di dove non si deve, sono sordidamente avidi di guadagno; e, per conseguenza, tutti questi modi di prendere sono propri dell’avarizia. A ragione, dunque, si dice che l’avarizia è il contrario della liberalità: infatti, è un male più grande [15] della prodigalità, e si pecca di più per avarizia che non per prodigalità, come noi l’abbiamo descritta. Orbene, tanto basti sull’argomento della liberalità e dei vizi a lei opposti.