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Aristotele
Etica a Nicomaco

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5. [Le virtù e i vizi sono volontari, e perciò implicano responsabilità].

Poiché, dunque, oggetto di volontà è il fine, e oggetti di deliberazione e di scelta sono i mezzi, le azioni concernenti i mezzi [5] saranno compiute in base ad una scelta, cioè saranno volontarie. Ma le attività delle virtù hanno per oggetto i mezzi. Dunque, la virtù dipende da noi, e così pure il vizio. Infatti, nei casi in cui dipende da noi l’agire, dipende da noi anche il non agire, e in quelli in cui dipende da noi il non agire, dipende da noi anche l’agire. Cosicché, se l’agire, quando l’azione è bella, dipende da noi, anche il non agire dipenderà da noi, [10] quando l’azione è brutta; e se il non agire, quando l’azione è bella, dipende da noi, anche l’agire, quando l’azione è brutta, dipende da noi. Se dipende da noi compiere le azioni belle e quelle brutte, e analogamente anche il non compierle, e se è questo, come dicevamo, l’essere buoni o cattivi, allora dipende da noi l’essere virtuosi o viziosi. Il dire che "nessuno è volontariamente [15] malvagio, né involontariamente felice" 62 sembra essere in parte falso e in parte vero: infatti nessuno è felice involontariamente, ma la malvagità è volontaria. Diversamente, bisogna rimettere in discussione quanto abbiamo ora detto, e bisogna negare che l’uomo sia principio e padre delle proprie azioni come lo è dei figli. Ma se è manifesto che è così e se non possiamo [20] ricondurre le nostre azioni ad altri principi se non a quelli che sono in noi, le azioni i cui principi sono in noi dipendono da noi e sono volontarie. Di ciò sembrano rendere testimonianza sia i singoli uomini nella condotta privata, sia gli stessi legislatori; questi, infatti, puniscono e infliggono pene a coloro che compiono azioni malvagie: a quelli, però, che non le compiono per costrizione o per un’ignoranza di cui non sono essi stessi causa, [25] mentre conferiscono onori a coloro che compiono azioni belle, con l’intenzione di incitare questi e di tenere a freno quelli. Ma le azioni che non dipendono da noi e che non sono volontarie, nessuno incita a compierle, così come non ha alcun effetto l’essere persuasi a non provare caldo o dolore o fame o altra affezione simile, giacché non soffriamo di meno [30] quelle affezioni. E, infatti, puniscono per l’ignoranza stessa quando ritengono che uno sia causa della propria ignoranza; per esempio, per gli ubriachi le pene sono doppie, giacché il principio dell’azione è in colui stesso che la compie: infatti è padrone di non ubriacarsi, ma l’ubriachezza, poi, è causa della sua ignoranza. E puniscono coloro che ignorano qualcuna delle prescrizioni legali, prescrizioni che bisogna conoscere e che non sono difficili, [1114a] e similmente anche negli altri casi, in cui ritengono che l’ignoranza sia causata da trascuratezza, in quanto dipende dagli interessati il non essere ignoranti: essi sono, infatti, padroni di prendersi la cura di uscire dall’ignoranza. E certo qualcuno è tale da non prendersene cura. Ma dell’essere divenuti tali gli uomini stessi sono causa, [5] in quanto vivono con trascuratezza, e dell’essere ingiusti e intemperanti sono causa, nel primo caso, coloro che agiscono malvagiamente, nel secondo coloro che passano la vita dediti al bere e a cose simili: infatti, sono le attività relative ai singoli ambiti di comportamento che li rendono appunto ingiusti e intemperanti. Questo risulta chiaro da coloro che si preoccupano di riuscire in una competizione o in un’azione qualsiasi: passano, infatti, tutto il loro tempo ad esercitarsi. L’ignorare, dunque, [10] che le disposizioni 63 del carattere si generano dal fatto di esercitarsi nei singoli campi è proprio di chi è affatto insensato. Inoltre, è assurdo dire che chi commette ingiustizia non vuole essere ingiusto o che chi si comporta con intemperanza non vuole essere intemperante. E se uno compie delle azioni in conseguenza delle quali sarà ingiusto, e lo sa, sarà ingiusto volontariamente; né certamente basterà volerlo, per cessare di essere ingiusto e per essere giusto. Infatti, neppure [15] il malato può diventar sano solo volendolo. E se questo è il caso, è volontariamente che si trova in stato di malattia, in quanto vive da incontinente e non dà retta ai medici. All’inizio, sì, gli era possibile non ammalarsi, ma, una volta lasciatosi andare, non più, come uno che ha scagliato una pietra non può più riprenderla: tuttavia, dipende da lui lo scagliarla, giacché il principio dell’azione è in lui. Così anche all’ingiusto [20] ed all’intemperante all’inizio era possibile non diventare tali, ragion per cui lo sono volontariamente: una volta divenuti tali, non è loro più possibile non esserlo. Non solo i vizi dell’anima sono volontari, ma per alcuni anche quelli del corpo, ed a loro li rinfacciamo. Infatti, nessuno biasima quelli che sono brutti per natura, ma quelli che lo sono per mancanza di ginnastica [25] e per trascuratezza. E similmente anche nel caso di debolezza e di mutilazione: nessuno, infatti, rimprovererebbe uno che è cieco per natura o per malattia o per ferita, ma piuttosto ne avrebbe compassione; ognuno, invece, biasimerebbe chi fosse cieco per abuso di vino o per qualche altra intemperanza. Dunque, dei vizi del corpo quelli che dipendono da noi vengono biasimati, ma quelli che non dipendono da noi, no. Se è [30] così, anche negli altri casi i vizi che ricevono biasimo dipenderanno da noi. Se, poi, si dicesse che tutti tendono a ciò che a loro appare bene, senza però essere padroni di quell’apparire, ma il fine appare a ciascuno, [1114b] caso per caso, tale quale ciascuno anche è, risponderemmo che, se dunque ciascuno per sé è in qualche modo causa della sua disposizione, sarà in qualche modo causa anche di quell’apparire. E se no, nessuno è per sé causa del suo cattivo comportamento, ma compie queste cattive azioni per ignoranza del fine, [5] credendo che da esse gli deriverà il massimo bene, e la tensione verso il fine non è frutto di una scelta personale, ma esige che uno sia nato, per così dire, con una capacità visiva che gli permetterà di giudicare rettamente e di scegliere ciò che è veramente bene; ed è ben dotato chi ha ricevuto buona dalla natura questa capacità visiva: essa, infatti, è la cosa più grande e più bella, e cosa che non è possibile [10] prendere o imparare da altri, ma che uno possederà tale e quale l’ha ricevuta dalla nascita, e l’essere questa dalla nascita buona e bella costituirà la perfetta e vera "buona natura". Se, dunque, questo è vero, perché mai la virtù dovrà essere volontaria più che non il vizio? Ad entrambi infatti, sia al buono sia al cattivo, il fine appare allo stesso modo [15] e si trova posto per entrambi per natura o come che sia, ed essi, poi, tutto il resto compiono riferendosi a quello in un modo o nell’altro. Dunque, sia nel caso che il fine non si riveli per natura a ciascuno nella sua determinatezza, ma che qualcosa dipenda anche dall’uomo stesso, sia nel caso che il fine sia fornito dalla natura, per il fatto che l’uomo di valore compie tutti gli altri atti volontariamente, la virtù è volontaria, ed anche il vizio [20] non sarà meno volontario: in modo simile, infatti, anche al vizioso compete il determinarsi per se stesso nelle azioni anche se non nel fine. Se dunque, come si dice, le virtù sono volontarie (ed infatti noi stessi siamo in qualche modo concausa delle nostre disposizioni, e per il fatto di avere certe qualità poniamo un certo fine corrispondente), anche i vizi saranno volontari: la situazione, [25] infatti, è la stessa.

Dunque, delle virtù in generale abbiamo detto in abbozzo quale è il loro genere, cioè che sono delle medietà e delle disposizioni, che per se stesse ci fanno compiere le azioni da cui esse appunto derivano, che dipendono da noi e sono volontarie, e che ci fanno agire così come ordina la retta ragione. [30] Ma le azioni e le disposizioni non sono volontarie allo stesso modo: infatti, siamo padroni delle azioni dal principio alla fine, in quanto ne conosciamo le singole circostanze; delle disposizioni, invece, siamo padroni solo dell’inizio, [1115a] in quanto non ci è noto il loro graduale accrescimento, come nel caso delle malattie. Ma poiché dipende da noi farne questo o quest’altro uso, per questa ragione sono volontarie.

Riprendendo il discorso su ciascuna virtù, diciamo quale è la loro natura, [5] quali oggetti riguardano e in qual modo: ed insieme sarà chiaro anche quante sono. E innanzi tutto trattiamo del coraggio.

 




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