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Aristotele Etica a Nicomaco IntraText CT - Lettura del testo |
12. [Diverso grado di volontarietà dell’intemperanza e della viltà].
L’intemperanza è simile ad un atto volontario più che non la viltà. L’una, infatti, è causata dal piacere, l’altra dal dolore, sentimenti dei quali l’uno è da preferire, l’altro da evitare; e mentre il dolore sconvolge e corrompe la natura di chi lo prova, il piacere non fa niente di simile. [25] Per conseguenza, l’intemperanza è più volontaria, e perciò più riprovevole. Infatti è più facile abituarvisi, giacché molte sono le situazioni di questo genere nella vita, e chi vi si abitua non corre rischi, ma nel caso delle cose che suscitano paura è tutto il contrario. Si riterrà che la viltà non sia volontaria allo stesso modo nei singoli casi particolari: essa, infatti, di per sé non fa soffrire, ma i casi particolari, a causa del dolore, sconvolgono, tanto [30] da far gettare le armi e da far compiere tutte le altre azioni vergognose: perciò si ritiene che siano atti forzati. Per l’intemperante invece, gli atti particolari sono volontari (poiché egli li desidera e li brama), ma il suo vizio in generale è meno volontario, perché nessuno desidera essere intemperante. Il nome di "intemperanza" l’attribuiamo, per metafora, anche agli errori infantili, poiché hanno una certa somiglianza con quelli degli adulti. [1119b] Quale delle due cose prenda il nome dall’altra non ha alcuna importanza per il problema presente, ma è chiaro che la seconda l’ha preso dalla prima. E non sembra una cattiva metafora. Infatti, deve essere disciplinato l’essere che desidera cose brutte e che ha grandi capacità di sviluppo; [5] e di tal natura sono soprattutto il desiderio e il fanciullo: infatti, anche i fanciulli vivono assecondando il desiderio, e soprattutto in essi vi è il desiderio di ciò che è piacevole. Se, dunque, il fanciullo non sarà docile e sottomesso all’autorità, il suo desiderio avanzerà di molto, giacché nell’essere irragionevole il desiderio del piacere è insaziabile e riceve stimoli da tutte le parti, e l’esercizio del desiderio ne accresce la forza naturale, [10] e se i desideri sono grandi ed intensi giungono a cacciar via la capacità di ragionare. Perciò essi devono essere misurati e pochi, e non devono essere affatto in contraddizione con la ragione, ed è questo che chiamiamo essere "docile" e "disciplinato". Come bisogna che il fanciullo viva conformandosi ai precetti del suo pedagogo, così anche la facoltà del desiderio deve conformarsi alla ragione. [15] Perciò bisogna che la facoltà del desiderio dell’uomo temperante sia in armonia con la ragione: infatti, lo scopo di entrambe è il bello, e l’uomo temperante desidera ciò che si deve e come e quando si deve. Così ordina anche la ragione. Questa, dunque, è la nostra dottrina della temperanza.