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Paolo Valera I miei dieci anni all'estero IntraText CT - Lettura del testo |
Non so se ho fatto bene o male. Non ho voluto ricorrere in appello. Avrei dovuto rimestare il bagout dei palcoscenici dialettali, riacciuffarmi coi vecchi legulei in toga. Tirai innanzi. Se non avessi avuto vergogna avrei pianto. Mi ero battuto male. Con guitti senza idee. Con prime donne che avevano fatto della prigione come peccatrici d'alcova. Ero preceduto da un baule. Ero triste. Pareva proprio che me ne andassi con la patria sotto le suola delle scarpe. Forse facevo della rettorica. Prima di giungere alla stazione centrale venni avvertito dall'avvocato della ferrovia, Galateo, che gl'istrioni del teatro milanese erano là ad aspettarmi per una fischiata solenne. Volevano far credere che mi mandavano all'estero a grandi grida. Rinunciai alla colluttazione, alla mischia, allo scontro personale. Tornai su me stesso. Ero pedinato. Non avrei potuto partire. Era gente che non potevo più vedere. Quello che era stato era stato. Mi avviai verso Como, mio luogo di nascita. Salii in una stazione intermedia e mi trovai al grotto del Nino dove ho fatto colazione con degli agoni eccellenti. All'indomani fui a Parigi con una lettera di presentazione per Jules Vallès, datami da Enrico Bignami, suo grande ammiratore. Troppo tardi, egli aveva già abbandonato la capitale francese per quella inglese. Sul piroscafo il fuggiasco era stato sorpreso dal telegramma di uno sconosciuto che gli aveva lasciato morendo 60 o 70 mila franchi perché passasse meno male l'esilio. Lo scrittore di fama comunarda non aveva lasciato che gente prudente. Forse dico male. In quei tempi della Comune vinta, dopo le terribili esecuzioni, nessuno poteva fare lo spavaldo. I versigliesi erano ancora in giro a fiutare se c'erano superstiti da condurre alla fucilazione. Tutti erano divenuti mansueti. I Galliffet spaventavano col solo nome. Nelle strade viveva la sua ferocia. Se ne sentiva la furia delle sue istituzioni in tanti abattoirs. La Corte Marziale del Lussemburgo era una lettura che mi sono procurato dal bouquiniste. Inorridiva. Riuscì tuttavia in fondo. Feci delle corse. Andai al Père Lachaise. Vi trovai la solita concezione francese della Casa dei morti. Fotografie di defunti. Busti di marmo. Epitaffi sovente stupidi e spesso commoventi. La Manica mi ha ricevuto con gli strepiti delle onde che andavano a frangersi sulle pareti del suo letto. Si andava in alto e si scendeva negli abissi delle acque in conflitto. C'erano parecchi sul piroscafo che si rovesciavano lo stomaco anche dopo il trangugiamento d'un whisky o di un cognac o di qualche altra bibita. Si giungeva a Dover disfatti. Pallidi, sbattuti dal piroscafo che faceva rotolare il bagaglio da una parte e dall'altra e straccava i passeggeri che scendevano a Charing Cross un po' rimessi dalle turbolenze del fiume estremamente agitato. Fu in quella notte che pensai a Gladstone che aveva fatto la proposta di tappare la Manica, un terrapieno che doveva sopprimere dal regno il pericolo permanente. La nota politica ha soppresso il benessere nazionale. Si è subito veduto un'irruzione straniera, un'invasione con Napoleone alla testa di un esercito. E così è venuto un naufragio di 400 e più cittadini rimasti fra i cavalloni che salivano ad altezze vertiginose.
A Charing Cross mi si sono contese le valigie. Parevano di nessuno. Le si rincorrevano. Il facchinaggio sbraitava. Mi si faceva sentire la mia taccagneria. Io invece volevo deporle al bagagliaio. Nella stessa giornata mi sono procurato una pensione di 4 sterline la settimana senza le mance alle donne di servizio. Mi ero messo nella testa che era in quelle case ospitali che si imparava la lingua degli uccelli. Disgraziato! Stavo fresco! Non si andava mai avanti che negli aumenti. In quattro o cinque settimane non sapevo che il good morning, good evening, good afternoon. La signora della tavola, la speculatrice della casa, non domandava ai pensionati se ne volevano ancora delle vivande che venivano portate. Tutti giovani che correvano subito al restaurant a saziarsi. Io facevo parte di quelli che andavano all'Horse Shoe in Tetteham Court Road, dove si mangiava un superbo ramp steak e si beveva della birra eccellente. Non mi sono mai stancato di mangiare un ramp steak. Carne saporita, di una bontà irreperibile da noi. Sono scappato dalla pensione. In casa di John Bull non si sta bene che nel grande club. Una volta membro temporaneo del National Liberal Club non-ho avuto più bisogno di nessuno. Sentivo di essere un altr'uomo. Mi pareva di essere ricco. E non ero invece che ospitato nel palazzo di un partito liberale, dove si pagava tutto senza essere truffato. C'era un comfort che non trovai più, specialmente in casa mia. C'era una libreria moderna, ricca di volumi a migliaia, affollata di volumi parlamentari che non avrei trovato nelle biblioteche pubbliche. L'ampia sala per scrivere, la lettura dei quotidiani e delle riviste mi metteva in comunicazione con tutto il mondo.
Non so quando la vita cessi di essere un romanzo. Mai, credo. In Londra mi sono trovato a due passi da Boulanger, nel tiro a due con la sua amante. Chi era la signora? Certo una ricca. I giornali ce la volevano o ce la nascondevano in una X o ce la davano come la duchessa D'Uzis, arcimilionaria. Secondo il Mermei, deputato di Parigi, Boulanger giocava tutti o tutte. Era un ufficiale. Intrigante e traditore, come quelli sull'affare Dreyfus. Non vale la pena di esumarlo. Si sa che Boulanger si è suicidato sulla tomba dell'amante. Per le sue elezioni, per i suoi tradimenti, per le sue gozzoviglie si spesero molti denari e si videro intorno a lui molte donne.