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Paolo Valera
I miei dieci anni all'estero

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I tumulti londinesi

 

I vetri delle botteghe e delle finestre fiammeggiano di gaz. La gente, ingarbugliata nel nebbione giallastro, si calca, urtandosi. I veicoli vanno via svogliati. I cavalli dall'ampia gorgiera, dai fianchi nutriti, drizzano le orecchie e gettano nel vuoto il nitrito dell'impazienza. I cocchieri, aizzati dal whisky, si scambiano un sostantivo pieno di dispetto e si picchiano lo stomaco per dar calore alle dita. Il policeman è sul salvagente disorientato come un palo di mestizia. La sua mano non agisce più. Tuttavia si lavora. Ne sento la respirazione grave, laboriosa.

Si muore di fame! Le figlie sgonnellano, le madri continuano la caccia all'uomo, i bimbi sculacciano sul selciato e la poveraglia, senza lavoro, va, stracca, in piazza di Trafalgar.

Le alture e le punte illustrate dall'arte sono scomparse nel ventre della densità nebbiosa.

È mezzogiorno e ho l'anima nelle scuole. Un fremito mi rimescola il sentimento della ribellione accumulata e attacco il popolo peggio di Walpole: - Vigliacco! Non discutere, tu hai diritto all'esistenza e al lavoro!

Mi fermo addossato al basamento della colonna di Nelson e affondo nella cupaggine delle rivoluzioni. La mia testa si popola di nomi, di date, di chiazze di sangue, di cadaveri: di qua e di si scarica il fucile. Io mi getto, idealmente, tra gli insorgenti e provo le ebbrezze della battaglia.

Il carnefice mi calma. Leggo nei giornali che ne ha strangolati tre, stamane, nella prigione di Carlisle. Tre spazzacase che si difesero dal constabile che voleva agguantarli, uccidendolo.

Il tepore squaglia quest'aria velenosa e scura che irrita gli organi respiratori e il boia mi sorride. A domani, tristaccio! Domani mi darai l'ultimo moncone di collo inlardellato!

Dovunque agglomerazioni, dappertutto minutaglia sociale. In fondo, a sinistra, è una popolazione di facce e di cappelli. Gli uni e gli altri si confondono e mi popolano una lavagna di caricature da far ridere Gavarni.

Nelson mi carica il sangue di dinamite. Lo vedo sul Foudroyant - in galleria colla sua bagascia - mentre il povero Caracciolo chiede all'ufficiale la grazia di morire come un soldato. E poi lo rivedo al braccio dell'Hamilton - cogli occhi letificati dalla libidine - quando nega al prode l'allegria del piombo: - dategli della fune! A casa mia si strangola!

È finito. Il vecchio è nel vuoto, agitato dagli ultimi fremiti. La Lady è sul casseretto a spiarne l'agonia. Le campane funeralizzano l'aria e il futuro eroe di Trafalgar si ubriaca di vigliaccheria. O ammiraglio napoletano, la comune inglese frantumerà la colonna che sorregge il tuo carnefice.

I capanelli sono stati inghiottiti dalla moltitudine. È un'intera esposizione di miserabili. Delle scarpe moribonde, delle tese fiaccate dal vento o gualcite dalla pioggia, delle giacche padellate di rappezzature, dei panciotti consunti, dei calzoni traducenti l'infinito sbadiglio del digiuno.

Mi si esibiscono degli aranci e delle poesie. Mi disseto con le arance. Le poesie sono poesie operaie. Via! Le rifiuto per paura di leggere il Maffi inglese. Non amo queste caricature sfiancate che si fanno perdonare la pellagra intellettuale dalla blouse dell'officina. Non amo neppur te o fabbro di Sheffield che hai cantato nella grandezza byroniana le sofferenze de' tuoi compagni di lotta. Ma idolatro il tuo Jem. Oh il tuo Jem! Egli è imperturbabile. Non legge, non pensa, non prevede. Il tuo Jem, mi sberretto e ti saluto.

La marmaglia ingrossa sempre. Si fiuta nell'aria della rivoluzione. Di si corre. Che c'è? Si girella a disagio. Gli spazi lontani nereggiano di teste. Si ode della musica. Spunta il cencio scarlatto che eccita i borghesi come quello dei toreadori i cornuti di combattimento. La piazza è commossa. Agli angoli si calca. Dalla massa compatta esce un ruggito sordo che ingrossa, rotolando per l'aria, terribile come il whoop di cento mila Pelli Rosse.

Largo! Largo! Fate largo alla montagna. La folla, risospinta, piega, poi risale, poi si rovescia di nuovo, la testa sulla testa, come un'immensa increspatura umana.

Il fiotto dei socialisti si è confuso col mare agitato. Non vedo più che il cencio rosso che ondeggia ballonzolato dalle onde. Il colonnello Henderson, appoggiato a Papier, si accarezza le faldelle e sorride al suo stipendio che è di 52.500 lire l'anno.

I membri della Federazione Democratica sociale salgono sul margine del basamento della colonna Nelson, salutati da un tale entusiasmo che rincora il pensiero. La mob (il popolaccio) si risveglia. Essa, probabilmente, non capisce le sottigliezze che fanno di un principio tante scuole, ma essa sente che è una potenza fisica immensa. Che cosa dice Burns...? Denuncia Peters e Kelly - siccome tre strumenti prezzolati dalla borghesia. I policemen, spazzano la colonna. Burns, Hyndman, Champìon, Williams e Sparling, passano sulla balaustrata che guarda la piazza di fronte alla Galleria Nazionale.

Il meeting è promosso da un comitato di operai. Un comitato nemico de' suoi fratelli.

Kelly - a sua volta - incanaglisce e denuncia i socialisti nella prosaccia che quarantotteggia anche a Londra. - Abbasso i traditori!

Un irlandese si fa largo per gettarlo nella fontana. Ma non vi riesce.

Burns - dice che se il governo farà nulla - il popolo darà il sacco alle botteghe dei fornai dell'ovest di Londra.

Hyndman addita loro, col dito, la Pall Mall. - Guardate i clubbisti. Essi sono nella sontuosità dei palazzi - sdraiati nell'agiatezza, sazi di ghiottonerie, coi piedi affondati nei tappeti, dinanzi le grandi specchiere, sotto candelabri splendidi che diffondono la grandezza della luce, mentre voi siete qui scarni, stracciati, bubbolanti di freddo, bubbolanti di fame!

Sparling - O noi avremo pane o loro avranno piombo.

- Hyndman - Non è che colla rivoluzione...

- Evviva la rivoluzione! Abbasso il capitale! Morte all'aristocrazia!

I senza lavoro sono caldi. E in loro la coscienza della causa per cui sono in piazza. «Pane o sangueMancano i veri tribuni. Si sente che non siamo tra la montagna e la Gironda - tra la ghigliottina e il tribunale rivoluzionario - tra gli oratori votati alla morte e l'eloquenza tragica - tra il torrente di O'Connell e la fraseologia tempestosa di Marat.

- Una parola di più - sapeva dire Marat all'assemblea - e vi faccio saltare le cervella - una parola di più e vi mando al patibolo.

Il popolo è come un barile di polvere che aspetta la mano che lo incendi. Ha bisogno di essere aiutato per irrompere. Fategli vibrare i nervi, frugategli nel cuore, buttategli nel sangue il fuoco della vostr'anima; provocate le sue lacrime, provocate la sua collera, provocate la sua forza e il popolo entrerà vittorioso nel vostro dramma o nella vostra tragedia.

O amici inglesi, quando si tratta del benessere pubblico, quando c'è di mezzo il ventre della popolazione che lavora, siate briganti come voleva Drovet: Soyons brigands pour le bonheur public, soyons brigands!

Invece, voialtri, siete timidi. La parola può spiacere. Ma è la verità. La «canaglia» vi si offre, la canaglia vi dice: eccoti le nostre braccia. E voi altri? Rispondete colle parole del padre di famiglia: - Andate a casa, bravi figliuoli. C'è dell'opposizione. Andate a casa quieti...

- Non abbiamo case. We have not got any homes.

- Non importa, disperdetevi.

La canaglia vuol aggredire la polizia che le scappellotti e calci.

No, non provocate disordini!

Vi si ripete. Andiamo contro la polizia. Non siamo abbastanza forti.

Champion: - Le armi contro la polizia devono essere gli argomenti e la persuasione.

Un gruppo di irritati agguanta un borghese.

Burns: - Lasciate quell'uomo, non siate codardi!

Hyndman: - Scioglietevi, la rivoluzione non è matura.

Non accuso, sapete. Perché Hyndman, Burns, Champion e Williams sono caratteri di ferro. Ma constato.

Constato che è mancato loro il fegato rivoluzionario. Ma questo fegato non è mancato anche a Rochefort? Rochefort, ai funerali di Victor Noir, non poteva essere padrone della Francia?

E Camillo Desmoulins - il Tacito della strada - dopo aver lavorato per la rivoluzione - non ha tentato di gettarlesi contro? E non è andato al patibolo contorcendosi nella disperazione? O Danton come sei grande sul palco tragico! - Mostrate la mia testa al popolo! Sul palco del carnefice mi strappi l'applauso e ti perdono di essere stato idolatra della proprietà sacra e inviolabile!

Ma sarà, amici, per un'altra volta. Quando ci troviamo in mezzo agli avvenimenti, restiamoci a costo di morire strangolati dal boia.

Molto più che Vergnaud ci ha insegnato qualche cosa: che la rivoluzione è come Saturno: divora i suoi figli.

Ma non perdiamoci in discussioni. La plebe si muove. La plebe va. Si incomincia bene. La canaglia lavora a disselciare e a riempirsi le tasche. In Pall Mall si sgolano i primi ruggiti plebei. Si attacca. Siamo sull'angolo della via traversale di San Giacomo. I conservatori del Carlton Club, dietro le vetrate, insultano, irritano, eccitano, dànno la stura dell'odio delle masse con dei pugni chiusi, colle labbra a culo, coi denti scoperti, colle boccacce sguaiate, col deretano sul cristallo. Si scoppia. Balilla lancia la vendetta davidica e i vetri tremano, risuonano. I proiettili si succedono. La battaglia è incominciata. Le lastre precipitano in frantumi. Urraaaa! Si chiude. I clubbisti sono spaventati. Fanno sprangare le entrate. La collera plebea è ora sul club di Devonshire. Si sfoga moltiplicando i colpi. Cic! Ciac! Uno è massiccio. Sfonda il lastrone di mezzo. L'aristocrazia, chiusa nei palazzi d'orgia, sogna il nugolo dei policemen che ci rompa le ossa. Henderson invece non si è ancora persuaso che la canaglia della metropoli è capace di fargli perdere il posto.

L'audacia cresce. In Piccadilly si assaltano le vetrine. Venti botteghe, dal numero sessantasette all'ottantasette, sono alla mercè degli insorti. I sassi infuriano. Il Restaurant Orientale perde degli intingoli. Si ha sete. Mano alle bottiglie. Si irrompe nei magazzini dei signori Gallais e C. Si fanno saltare i colli pestandoli l'uno sull'altro. Urraaaaa! Si beve. Lo si beve a golate o lo si aspira dal cavo delle mani. È buono. Accidenti se è buono! La plebe rinvigorisce, si anima. Il vino è la poesia del tumulto. Urraaa! Torno sui passi con un francesismo perché ho lasciato nella matita di questa insurrezione spontanea le scene che la illuminano.

Siamo ancora in piazza di Trafalgar mentre la «plebe va». Burns è portato entusiasticamente dalla balaustrata della terrazza - come è chiamata - sulle spalle dei buli della processione. Così va bene.

Il tributo della plebe non può essere in carrozza. Le ultime parole di Burns, dalla balaustrata, racchiudono una minaccia. «Se il governo non darà lavoro ai disoccupati, i disoccupati non domanderanno più lavoro ma daranno il sacco alle botteghe dei fornai» Bravo! Ci rifarai una scena manzoniana.

Burns è su un'altra balaustrata: quella del Carlton Club. Egli tenta di parlare. Inutile. Il tempo delle ciance è passato. Il primo ciottolo ha dato l'ordine dell'attacco e Burns ridiventa pedestre. Mi naufraga nella folla. Lo perdo di vista.

Risbuchiamo in Piccadilly. Nelle vene aristocratiche sembra sia ancora del coraggio. Vedo dei tiri a due che filano verso noi come se il cielo sociale fosse serenamente sereno. I cocchieri schiamazzano per farsi largo. Gli affamati diventano più arrabbiati. Vi si precipitano sopra o meglio vi passano sopra come una bufera o un ciclone. Le portiere cadono dopo i vetri. I fanali diventano fiaccole di rivoluzione. I «signori» discendono, sollecitamente, urtati. Qualche socialista - udite! udite! - li protegge e li salva con delle fughe tutt'altro che celebri. Un insorto infuria più degli altri contro i veicoli aristocratici. Egli ne strappa il velluto e lo agita sulle teste digrignando i denti. «Del velluto!» E lo addita alla folla come una ditta di cenciauolo. Si schiantano degli altri cristalli. E la vetrina del camiciaio a sinistra. Urraaa! Gli scamiciati vi entrano calcandosi e ne escono con delle bracciate di biancheria. I capi, i creduti capi di questa processione tumultuosa, sono già in Hyde-park. Essi non partecipano delle prime vittorie degli spiantati. La folla si rimette in cammino. Sbuca da una via un signore in tuba colla signora al bracco. La tuba è un eccitante. Un pugno gliela sbatte via. Un'ondata umana schiaccia lui e lei contro il muro. Un socialista li salva. Vedo due o tre policemen che corrono dalla parte opposta per paura di incontrarci. Si va ancora. Siamo quasi in Hyde-park. La voce del saccheggio nel West-end è già in tutti i quartieri. La bottegocrazia è atterrita e maledice i policemen e la tassa enorme che paga per mantenerli. Si passano le cancellate e si sgola l'urraaaa! dal basamento della statua di Achille. La plebe fanatica di Savonarola me lo farebbe in pezzi. Egli è nudo. E il nudo, pei savonarolisti, era un corruttore sociale. La plebe d'oggi gli fa tanto di cappello. Sale Burns. Comincia. Il mio sangue è troppo agitato per starmene tranquillo ad ascoltare della prosa. Mi volto verso le masse. Il quadro dovrebbe essere immortalato dal pennello. I senzatutto (have nots) sbattono la giacca a sbrendoli sull'erba e si passano sulla pelle la camicia nuova con delle grida di gioia spasmodica. Vi si pavoneggiano e se la nascondono nella profondità dei calzoni stracci danzando. Si ribeve. Si bevono gli ultimi sorsi delle ultime bottiglie della conquista. Urraaa! Gli oratori hanno finito. Si sbuca in Park Lane e si corre pel quartiere ricco dell'ovest urlando. Il quartiere sente della giornata. Non c'è un'anima. Le finestre sono chiuse, le porte sono chiuse, le botteghe sono chiuse. Tutto è chiuso. Vedo un policeman che svolta e si salva. Tirando giù note mi si prende per una spia. Evviva! stenografo la vostra gloria. Urraaaaaa!

In Park Lane ho dimenticato la mansion di lord Manvers. Veduta dopo la furia sembra un testimone sopravvissuto alla battaglia. Dovunque sono tracce della gragniuola dell'indignazione plebea. Il finestrato è bollato dall'orgia dei sassi. Sulla facciata sono rimasti i colpi secchi dei tiratori. Le punte degli angoli sono state sbattute via con rabbia. Nel sud e nel nord di Audley street, in Grosvenor square, di qua e di , di su e di giù, si schiamazza, si fanno in pezzi delle lastre di cristallo e si sgola l'uuuuuu! lungo, funebre, che fa fremere anche se nascosti in cantina. In Oxford street gli ideali degli insorti si levano a più alti cieli. Non hanno più fame. Irrompono dove è il superfluo, dove folgorano i gioielli, dove splendono, nella lucentezza nitida, i topazi, gli opàli, i diamanti a rosa, le gemme orientali, i camméi e il resto delle pietre cristallizzate, trasparenti, illuminate. Si portano via tutto quello che viene loro dietro. Orecchini, anelli, spille, monili, ciondoli, Urraaa»!

Mezz'ora dopo si disperdono spaventati della loro vittoria.

Percorro da solo il West-end. È vuoto, è deserto, è pieno di paura. Non c'è una vettura a pagarla una sterlina. Le pubblic houses sono chiuse. Non si beve. È stata vietata la vendita delle bevande alcooliche! O almeno il capo della polizia pregò i liquoristi a sospendere la vendita fino a furia finita. Busso e calco a un restaurant. Aprite, ho fame. Invece, di dentro, si spegne il gaz. Finalmente, dopo un'ora di buio, spunta l'accendilampade. La luce rianima. I cittadini cominciano a cacciar fuori la testa. Le botteghe si schiudono. Ricomincia la baldoria serale. Si mangia e si beve con più appetito di prima.

Lo sbigottimento è stato generale. Dappertutto si parla dei tumulti.

L'indignazione contro la polizia è generale.

P.S. È mattina. Apro gli occhi e spalanco il Times. Henderson, il capo della polizia, è appeso alla corda del boia in tutti i giornali. La sua caduta è inevitabile.

Il Times non scherza, «Se i signori Burns e Hydnman non sono già in arresto, lo devono essere, indubbiamente, stamane».

Lo Standard, colle ciglia rannuvolate, chiama i roughs dei tumulti vigliacchi infami (arrant cowards) Egli dice: Il discorso libero e la libertà d'azione sono cose preziose. «Ma l'ordine è sacro». E sprona a sopprimere le riunioni pubbliche.

Il Morning Advertiser assicura che in nessuna capitale del mondo si sarebbe permesso a un Burns e a un Hyndman di predicare le abbominevoli teorie che predicarono.

La Liverpool Post spera che i caporioni di ieri saranno arrestati, processati e puniti severamente.

Dopo pranzo. La Pall Mall Gazette ha intervistato Hyndman e Champion.

Varrebbe la pena di tradurla. Ma è lunga.

Né l'uno né l'altro assume la responsabilità dei fatti di ieri.

Champion è violento contro i tumultuanti e il saccheggio. «Se avessi avuto un revolver e li avessi veduti saccheggiare una bottega non avrei esitato a far fuoco su loro.»

Hydman: «Quando vidi che diedero mano alle bottiglie di vino ebbi paura che agguantassero anche quelle del brandy. Tutte le carrozze che ebbero la sfortuna d'incontrarsi coi riottosi furono fracassate (smashed). Mi duole che abbiano spaventata una lady che passava nella sua barouche o berlina». Oh basta!

Il Punch non perdona loro neppure dopo queste dichiarazioni. Vestito da boia li serve al pubblico strangolati con dei visacci orribili.




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