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Paolo Valera
I miei dieci anni all'estero

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Il Ghetto

 

Il ghetto di Petticoat Lane è una fiera di stramaglia israelitica che ammorba i dintorni di questo immenso pitale di sebo cutaneo e di miasmi pestiferi che sprigiona dal suo orifizio.

La popolazione è tipica come tutti gli ebrei del mondo. Si trascina dietro i vizi degli antenati, i pregiudizi delle nonne, la caparbietà dei padri, l'avarizia della sua specie e la sudiceria eterna che la distingue.

Gerusalemme è la terra del suo cuore, ma la sua patria è dovunque sono i pidocchi, le pulci, le cimici, le ossa, la carta straccia, le ciabatte e i cenci.

Tra gli odori umani, il giudaismo inglese rappresenta gli escrementi. I polpastrelli del giudeo sono coperti di materiale sudorifero. Alla bocca del conduttore uditivo gli vedi coagulato il giallume bituminoso. Al collo ha le rughe della traspirazione gelate. I suoi piedi sentono di ospedale.

Lo riconosci anche senza averlo veduto. E più biancastro e livido che terreo. I suoi capelli tendono a incresparsi. Negli occhi fondi e cerulei gli balena la voluttà del guadagno. Il suo naso è di una rapacità affilata che fa paura. Il suo alito è denso di cipolla. Le sue dita sono tentacoli.

Indossa i rifiuti della pitoccaglia di tutte le nazioni. È acciarpato, taccognato, rattoppato, rammendato, raccomodato, rinfronzolato, rabberciato.

Crede nell'unità di Dio, nella risurrezione dei morti, nella immortalità dell'anima e nella accomulazione delle sterline.

È un circonciso e per conseguenza fa recidere il prepuzio ai suoi figli nella sinagoga l'ottavo giorno della loro nascita.

Il suo primogenito, secondo la giurisprudenza ebraica, è proprietà di un Cohen qualunque creduto un discendente di Aaron. Il padre è quindi obbligato a redimerlo. La redenzione è una cerimonia.

Il supposto Cohen, col bimbo sulle braccia, circondato dai parenti e dagli amici della famiglia del neonato, domanda al padre se preferisce perdere le sue viscere o redimerle.

Il padre risponde ad alta voce: «Egli è il mio primogenito. Ecco, prenditi i cinque shekels (circa quindici lire) il prezzo dovuto per la sua redenzione

Poi si genuflettono e sboccano preci e il riscatto è compiuto.

L'ebreo, a tredici anni, è scatenato dai ceppi paterni. Il padre, dopo che il chazan (ministro di religione) gli ha letto il brano di legge, gli mette le mani sulla testa e lo carica della responsabilità dei reati che può commettere.

Noi atei ci lasciamo seppellire colla testa al nord e i piedi al sud o anche capovolti, se così piace al becchino. Il popolo d'Israello si ficca invece cadavere tra gli altri due poli.

Petticoat Lane è in Whitechapel e il suo nome è immortale nella fantasia del popolo anche dopo che l'imbianchino ufficiale lo ha cambiato via di Middlesex. Petticoat Lane inchiude i viottoli, gli angiporti e le courts che lambiscono l'arteria principale.

L'israelitismo vi è disseminato da cima a fondo. Sui vetri appannati di flatulenze condensate e di iscrizioni ebraiche. Sulle muraglie scrostate e sgorbiate o unte come la cotenna del lardo. Sui marciapiedi affollati di sterco, di torsoli, di bucce, di rimasugli, di mota. Dovunque nei fondacci di questo basso porto di melma umana.

La bibita di questa fogna sociale è la salsapariglia.

È qua e , a barili, e la si vende a un penny al bicchiere. I cartelli dicono che è uno stomatico che rinvigorisce il sistema nervoso, purifica il sangue e sfida ogni altra pozione farmaceutica.

Il cocomero giallo è la beccaccina o la folaga degli ashkevasin o discendenti della straccioneria giudaica germanica e polacca. Ve ne sono delle carriuolate. Cetrioli intieri, a fette, tagliati in due.

Le botteghe di Petticoat Lane sono desideri, sono rientrature di muraglie. Sono antri, bugigattoli, covi, tane, pollai, ripostigli, boccacce, casotti. I pesci, la carne, il porco, i vegetali vi si alternano e sono il rifiuto degli altri mercati della metropoli.

La carne è scolorata, è malsana, è stantia, sente. Il pesce puzza, la verdura è fracida, le sardine alimentano la diarrea. Il cacio è mosso, tumultuato dai vermi. Il pane odora di selvatico. Il lardo è rancido. Il caglio respinge. La farina è mista con polvere. Sulla pasticceria indigeribile cacano tutte le mosche e si ciba il vivaio delle vespe e dei mosconi. Dal tuorlo d'uovo sbuca il pulcino. La trippa ha il sapore del sego. Le anguille marinate si disfano e lasciano tra i denti la melma per tre giorni.

La popolazione dell'East-end o come diremo noi, dei quartieri poveri, tira verso il milione. La cifra ufficiale è di 908.000. Tra loro si contano non meno di cinquantamila giudei poveri, arcipoveri, più poveri dei poveri. L'aristocrazia di queste tribù, le quali rappresentano tra i cristiani, il pattume cittadino, abita nei quartieri borghesi di Bayswater, di Bloomsbury e di Maida-vale.

La nazione giudaica di Londra difende i suoi interessi e i suoi pregiudizi di casta collo Stendardo Ebreo (organo ortodosso), coll'Araldo Ebreo (umanitario), col Mondo Ebreo (liberale) e colla Cronaca Ebrea (neutrale) e masturba la sua letteratura nella Rivista Ebrea trimestrale.

Da un capo all'altro di Wentiworth street non è che una fitta di donne. Colla sporta o la borsa greggia della spesa. Coi bimbi succhianti ai picciuoli del latte o colle poppe sbottonate senza bimbi. Coi fardelli tra le braccia, i fagotti sotto le braccia. Col fascetto di legna da accendere il carbone dondolante dal mignolo, con un cencio di patate appeso al braccio o con una manata di verze o dieci centesimi di bietole. Non sanno passarsela dal cenciaiuolo o dalla cenciaiuola che sbaiaffa e sbatte loro in faccia la gozzoviglia degli stracci per niente. Chi li vuole? Una veste di seta per uno scellino e mezzo. Le poveracce la palpano, la slargano, vanno su colle mani fino alla cintola, ne percorrono, tremanti, la bottoniera e ritornano la mano nella mano. Degli stivali di capra pura per tre pence! Avanti donne! Chi ha tempo non aspetti tempo. Delle mucchiate di calze colorate, intignate, sudice, rognate, col pedule, senza pedule, col cappelletto forato dall'unghia o il calcagno consumato dalla pelle squamosa passata di gamba in gamba, discese da tutti i gradini delle moltitudini che si sbattono tra il si e il no del martello quotidiano, senza che mai i ferri ne abbiano riprese le maglie scappate o l'ago ne abbia tassellate le rotture o rammendati i buchi.

- Su, a venti centesimi la dozzina!

Ecco la bellezza giudaica che si porta il corredo da sposa dal mercato delle sottane fruste. Una busta raccattata dal cenciaiuolo. Dei fiori artificiali scopati fuori da un uscio colle immondizie. Un cappellaccio brigantesco ringalluzzito dalle piume slavate dalla piovana e gualcite dal vento. Un ulster di due scellini, dal bavero spelato e unto dalla treccia delle altre, spelato ai gomiti e sforato alle ascelle, con tre bottoni di madreperla e due color oliva!

La madre è a sbrendoli e compera un paio di stivaletti scalcagnati dal piede sulla sessantina per la tosa di dodici anni. - Ti vanno a pennello!

Soffermandosi sui fianchi delle donne di Petticoat Lane, si capisce che di sotto c'è poco. Se ne vedono le forme. La maggioranza copre la nudità colla semplice veste. Le mutande per loro è un lusso. Portano sulle spalle uno scialle smunto o cenerino piegato in quattro o se le ravvolgono in uno sciallaccio a rete.

La loro pettinatura è caratteristica come la loro sporcizia. I loro capelli - specialmente delle giovani - sono rialzati o abbaruffati dinanzi e la loro scriminatura è sulla discesa a destra o a sinistra.

Di ragazzi, come dovunque, rigurgita la poveraglia, ve ne sono dei carrettoni. Sentono tutti dell'ambiente. Emaciati, malnutriti, malvestiti, laceri, nudi. Gialli, sgrassati, mingherlini, rattrappriti. Non attirano il bacio, strappano un pensiero funebre. Si preferiscono morti.

Dalla folla vedete lungo le finestre fosche del primo piano svolgersi quello che gli inglesi hanno finito per chiamare, col linguaggio figurato, sweating system.

Ve lo spiego con un esempio:

Supponetemi un fornitore di cappotti, di monture di calzoni e di camicie dell'armata di terra e di mare.

Non è necessario che io mi tenga in casa un esercito di operai e di operaie. Prima perché dovrei pagare l'affitto del lavorerio, le consumazioni degli ordigni del mestiere, i capifabbrica, ecc., ecc.; poi perché dovrei, a dir poco, raddoppiare o triplicare il prezzo della giornata o del lavoro a cottimo.

A me bastano pochi tailleurs e pochi distributori.

E come non è necessario che io mi tenga una sartoria su larga scala, così non è neppure necessario che io sia in contatto direttamente o indirettamente colle mani che lavorano. Tanto più che questa gente non mi potrebbe garantire il valore del materiale che darei loro a cucire.

Mi valgo invece di quindici o venti della cui solventezza non ho dubbio o di coloro che mi lasciano costantemente in deposito una somma equivalente o maggiore al valore che do loro.

Questi signori, mi distribuiscono i miei abiti tagliati, hanno una o due o tre o quattro o magari sei stanzacce tetre nei quartieri miserabili, con delle macchine da cucire, del refe, degli aghi, delle cesoie, qualche tavolo e delle seggiole dove fanno lavorare, dando il terzo, per esempio, del tanto per capo che prendono dall'appaltatore.

Il guadagno che resta loro nelle tasche è una accumulazione di sudore (sweating) o un furto fatto sui prezzi delle fatture e per conseguenza questi implacabili strematori di salari si chiamano sweaters, o come diremmo noi sfruttatori o più energicamente mangiasudori, e le cucitore sfruttate sweated sempstresses.

Castle alley, dove Giacomo lo squartatore scannò, l'altra notte (17 luglio), l'ottava o la nona delle baldracche che si guadagnano il giaciglio della locanda e il frusto della esistenza masturbando il ciucco e lo scarcerato e l'ex-galeotto, è come un tubo che scarica i trabocchi dei marciumi umani in quella grande arteria che fila da High street, in direzione opposte, per Whitechapel Road e Commercial street.

Qualche ora dopo il terrorizzatore del quartiere aveva compiuta la sua «missione» religiosa o sociale o la sua vendetta sifilitica, Castel alley - un passaggio angusto, con un'entrata da High street che mette del gelo alla nuca e una via trasversale che, come dissi, riassume il Ghetto, mi condensava uno dei più orribili capitoli della Londra sconosciuta. Il transito era pigiato di inquilini di locande degli slums (angiporti o viottoli, dice il dizionario, abitati dalla popolazione criminale). Erano tipi mostruosi. Delle facce su cui il coltello della rissa ha lasciato le sue strisce rosse e incancellabili. Delle braccia e dei petti tatuati di cuori, di àncore, di stellucce, di mostri, di arabeschi, di giuramenti, di facciacce femminili, di nomi rimasti, probabilmente, cari, probabilmente, esecrati nelle loro memorie. Delle fisonomie o meglio dei grugni di donne coi denti spaccati dai pugni dei loro uomini e coi nerazzi sotto gli occhi, segni non dubbi della violenza alcoolica delle notti scorse. Delle vecchiacce slabrate su cui gli anni hanno accumulato tutto ciò che vi ha di ignobile e di lubrico. Dei gruppi che portano le stigmate della devastazione sociale. Della gente incancrenita dagli infortuni della vita. Una gente stracciata, scalza, senza pane, senza pensieri, senza ideali, senza letti, che bagorda qualche giorno dell'anno e soffre gli spasimi delle astinenze e le torture della legge pel resto della vita!




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