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Paolo Valera
I miei dieci anni all'estero

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La Domenica inglese

 

La domenica britannica è religiosamente e borghesemente omicida. Annoia, istupidisce, paralizza.

Il Punch l'ha riassunta in un policeman perduto nella city vuota che si sgranchisce smascellandosi dagli sbadigli.

Io la mando a casa del diavolo come un incubo crudele o una giornata di oppressione tirannica.

Il day of rest (giorno di riposo) di queste isole non è la cessazione della fatica per l'arena della ricreazione oppure per la nuotata dei piaceri fisici o intellettuali o sociali. Ma è una cospirazione gesuitica contro la libertà individuale e collettiva. Ma è il fanatismo teologico che schiaccia tutte le volontà umane. È la violenza religiosa scatenata nel sermone che diluisce nel sangue della nazione come un narcotico assassino. È una tolleranza borghese che incatena la vita al capitale. È una concessione ufficiale che marcisce i londinesi nella bibbia e nella birra.

Facciamo un giro e gettiamo nella Londra sconosciuta il documento micidiale. È domenica. Mi alzo svogliato e lavoro di schiena, per togliermi dalle ossa il riposo festivo. Impossibile. È in me come un morbo o un'influenza epidermica. Sono affetto anch'io di ipocondria domenicale. Giovanna, prima di essere donna di servizio, è cristiana. Non viene alla domenica, la cagna! Mi pulisco le scarpe, do un calcio al letto, attingo l'acqua, mi ci sguazzo ed esco in cerca di un thè che mi faccia ballare i nervi.

Sono le otto antimeridiane. Le vie sono spopolate. Le botteghe sono chiuse. Il silenzio è la nota cittadina. Qua e qualche lattivendolo che distribuisce il latte munto sabato. Mi affretto. Svolto un angolo dopo l'altro, percorro un biscione di strada lungo un'ora, giro gli occhi e incomincio a perdere la calma.

- Policeman, dove posso prendere una tazza di thè col pane tosto?

Mi volta le spalle.

- Imbecille, è domenica. Alla domenica non ci siamo che noi senza riposo.

Filo senza un ringraziamento. La metropoli, anche alle 10, conserva l'aspetto della città colpita da una grande sventura. Qualche sottana affrettata, qualche cab a precipizio, qualche superstite della ubriachezza notturna, qualche ubriaco della giornata, qualche libertino cadaverico che porta a casa le reni spossate e qualche frotta di ragazzi.

Compero un giornale della cosidetta domenica. Ma potrei processarlo per falsa dichiarazione. Esso è stato stampato ieri sera o sabato dopo pranzo.

Non importa. Leggiamo. È il Reynold, il giornale di una linguaccia repubblicana. L'ha su colla regina, coi lords, coi moderati e con coloro che hanno del ben di dio. Proto risparmiami il d maiuscolo. Così, va bene.

Crollasse il parlamento col ponte di Westminster o scoppiasse una guerra civile o Giacomo lo squartatore riuscisse a squartare tutte le donne di Whitechapel, i quotidiani non si darebbero il lusso di un supplemento. Il giorno del signore è sacro ed inviolabile così sia.

Ce n'è uno ed è un ateo. È un foreigner. È il New York Herald, un americano a Londra da sei mesi che tenta invano di acclimatizzarsi. Non appena violò la tradizione giornalistica lo si seppellì nel bagordo delle contumelie e si giurò sul vangelo di boicottarlo e di non leggerlo.

Guai a non radersi la barba tutti i giorni. Vi si piglia per della gente bassa (low peoples) o della gentaglia senza quattrini.

Tuttavia, malgrado questa abitudine callosa, in domenica, se volete sbarazzarvi dei peli, dovete radervi da solo o andare da un tedesco o da un francese o da un italiano. I parrucchieri inglesi sono in campagna, a spasso, sul Tamigi, in gozzoviglia!

Col punto di ammirazione satanica sembro un reazionario. Invece sono logico. Io voglio che l'operaio riposi tre giorni su sei. Ma che questi tre giorni non siano il riposo universale come il festivo d'oggi. Ma rappresentino l'adattamento dei mestieri nelle abitudini sociali. Mi sono spiegato? Se no mi spiego. Vi pare giusto che il calzolaio, il fabbro, il cappellaio, il legatore di libri, il meccanico, il muratore - operai non violentati dalla esigenza quotidiana - riposino, dico, coi fornai, coi camerieri, coi cuochi, colle serve, con i barbitonsori, coi prestatori di servigi insomma assolutamente necessari dal lunedì alla domenica?

Io rifiuterei anche in un paese socialista di sottomettermi al pesante giogo della noia inglese. Perché infine la soluzione sociale non deve essere composta di sacrifici. I sacrifici, come si sa, riassumono l'aberrazione individuale.

Che sugo, dite, c'è a obbligarmi a strigare i capelli, a mangiare il pane raffermo o stantio, a bere latte munto ieri, a negarmi la rappresentazione drammatica o tragica o musicale, a mangiare dalla una alle tre, se ho fame alle otto del mattino o alle 4 del dopopranzo o a mandarmi a dormire alle undici, se proprio alle undici ho appetito, sete, voglia di tuffarmi nei piaceri, di inzupparmi magari di whisky? Che sugo c'è, dite, a trattenermi le lettere, a sopprimermi i giornali, a impedirmi di sbocconcellare il pane fresco in domenica se dividendoci le ore di riposo per gruppi di mestiere a tempo utile possiamo trovarci tutti bene?

«Il giornale settimanale di Reynolds...» Chi è, chi era? Nel 1847 Reynolds - il fondatore - era uno zero del mondo giornalistico o non era conosciuto che dai lettori del Dispatch - un settimanale liberale che ha 90 anni e quattrocento mila lettori - dove egli sfogava i suoi rancori cartisti contro Luigi Filippo. Il qual Luigi Filippo, tra parentesi, era redattore del Globe! I tumulti del 48, in Trafalgar square, lo appesero allo zenit del cielo politico come una grande speranza.

Il cry - grido - dei cartisti d'allora era l'abolizione (repeal) della tassa sull'entrata o la dimissione immediata dei ministri.

La folla convenuta in piazza di Trafalgar era così enorme che la polizia fu impotente a risospingerla o a romperla in fuga.

Reynolds venne eletto presidente del comizio tra le acclamazioni tempestose.

Addosso ai ministri! Fu l'articolo di fondo di questa piazza. Addosso col vocabolo avvelenato, col periodo implacabile, col pensiero atrabiliare, colla frase grossa che affonda ed esplode nel cuore come una bomba nel terreno.

- Long live Reynolds! - Evviva Reynolds!

Intanto che Reynolds andava a casa accompagnato dal drappello degli entusiasti, le moltitudini che si sentivano affamate, anche pasciute di rettorica, svoltarono e divennero una fiaccolata di collera.

- To the Palace! - A Corte! I policemen divennero lividi e la «canaglia» si avviò verso il palazzo di Buckingham incanagliando.

Il palazzo del re era la loro Bastiglia. Mentre i cartisti di Glasgow, nella stessa giornata (6 marzo), nella stessa ora, facevano risuonare le grida di bread or revolution! - pane o rivoluzione! Strada facendo, questi di Londra, ruppero delle lampade, saccheggiarono le botteghe dei panattieri, tracannarono della birra dove ce n'era e ritornarono in piazza di Trafalgar a farsi bastonare dai cagnotti in montura.

Ma io mi perdo. Ritorniamo al giornale. Il Reynolds mi consola. I panicuocoli entreranno trionfalmente, oggi, in Hyde park, alle tre e mezzo, e dichiareranno, sotto l'albero del Riformatore, che se i padroni non accetteranno i loro patti li metteranno sul lastrico con lo sciopero del 9 novembre.

Basta di Reynolds.

Non volevo discendere fino alla corruzione. Ma via, vada! Metto in mano uno scellino al policeman e gli domando dove posso bere un whisky o dei whiskies nelle ore proibite.

Dove siamo? Siamo alla stazione di Holborn Viaduct. Comperatevi, mi rispose, un biglietto in una stazione qualunque di dieci centesimi e poi andate al bar. Col vostro biglietto ferroviario vi daranno da bere anche se ubriachi. Bevete e non dimenticate il povero policeman.

- Che cosa vi piace?

- Il brandy.

- Va bene. Ditemi, col biglietto si può inaffiarsi la gola a tutte le stazioni ferroviarie?

- Senza dubbio! Voi, col biglietto, siete considerato, dalla legge, un passeggiero che ha bisogno di rifocillarsi lo stomaco o risciacquarsi la bocca con della birra o dei liquori. Così è pel viandante fuori dei margini della Londra ufficiale. Il viandante può entrare in tutte le public houses. Il padrone gli domanda: traveller (viandante)? - Sissignore. E lo lascia passare e lo sazia. Dappertutto è così. Anche nelle province. Anzi, specialmente nelle province. E una scappatoia che non lascia morire d'arsura.

- Dunque non è che una ipocrisia!

- Parlate sottovoce. Io rappresento la legge.

Così è dei prestinai.

La panizzazione è rigorosamente proibita. Perché? Non ve lo saprei dire. È un sentimento religioso o è un tributo pagato alle braccia che impastano e fabbricano il pane? Probabilmente è dell'altra ipocrisia. O come credere diversamente se poi i panattieri sono obbligati, dall'abitudine pubblica, a scaldare il forno e a rosolarvi le oche, i conigli e i tacchini della gente che ha intascato il settimanale?

Siamo interrotti da un amico dell'agente di pubblica sicurezza.

- Come state?

Si stringono la mano. Il vecchio amico porge al policeman uno sigaro.

Il bobby l'accetta con un grazie e una bestemmia contro il regolamento che gli proibisce di fumare in servizio.

Ne offre uno anche a me e me lo metto in bocca. Beviamo? Beviamo. Il policeman se lo beve nell'angolo.

- È un buon diavolaccio quel policeman. Gli voglio bene come se fosse mio fratello. Incapace di fare del male a una mosca. Bevetene un altro. Volentieri. Se fosse capo lui del corpo si starebbe tutti bene.

- Lo credo io!

- Gli porto fuori il brandy e torno.

È un lavoratore di tabacchi. Me ne valgo. Lo sbottono senza titillarlo. È in cappello floscio ed in giacca.

- Da quanti anni siete lavorante di tabacchi?

- Da 40.

- E guadagnate?

- Trentacinque scellini.

- Mi sapreste dare la somma degli operai e delle operaie addetti alle fabbriche di tabacchi? Ma prima di tutto in qual parte di Londra sono aggruppate?

- Nell'est e in Hackney.

In questi due quartieri ve ne sono 76. Diciasette producono tabacco da naso e da pipa, dieci semplicemente sigarette e 49 non altro che sigari.

- Ve ne sono delle altre in Londra?

- La metropoli conta 180 fabbriche. Il Regno Unito 400. I centri principali di questa manifattura sono Liverpool, Nottingham, Leicester, Sheffield, Leeds e Manchester.

- Voi siete addirittura una storia! Miss, due altri whiskies.

- Tre. Ricordiamoci anche del poveraccio di fuori.

- Giusto. Dicevamo che la popolazione di queste fabbriche si compone di...

- Di quattromila tra maschi e femmine...

Gli operai di una fabbrica di sigari si dividono in tre classi: in liquores, in strippers, in cigarmakers.

I primi spruzzano o inzuppano o immergono la foglia nell'acqua per renderla sottile. I secondi ne estraggono le costole, le filamenta o le vene. Gli ultimi completano il lavoro dando forma allo sigaro.

- Passiamo ai salari.

- I salari sono regolati dalla, qualità del lavoro. Tanto più la foglia è buona tanto più l'operaio guadagna. Nelle fabbriche londinesi prevale il lavoro a cottimo. I prezzi dei lavori a cottimo variano da 1,25 a 6,25 al cento. Un operaio può produrre 150 sigari di prima qualità e 250 della seconda e dell'ultima.

Si lavora cinque giorni la settimana: dalle 9 alle 7, coll'intervallo di mezz'ora pel desinare.

Gli uomini guadagnano da 25 a 50 lire la settimana.

Il salario medio delle donne va dalle 18 e 75 alle 20 e 50. Le sollecite, coloro che hanno le dita rapide, riescono ad agguantare la sterlina. Ma sono poche.

- Quanti mesi ci si mette a imparare il vostro mestiere?

- Dite degli anni. Il tirocinio di una ragazza dura 5 anni. Nel primo anno guadagna 3 e 60 la settimana, nel secondo 4 e 20, nel terzo 5 e 30, nel quarto 7 e 35 e nel quinto 9 e 35.

- Senza orgoglio nazionale preferite il sigaro britanno o quello importato?

- Il britanno, diavolo! Domandatelo a tutti i fumatori. Eccovene un altro della nostra fabbrica. Gli importati, i bogus avana, sono la nostra peste. E li fanno pagare, accidenti! Un falso avana costa da 60 centesi a 1 e 30, a 3,75! Un canchero alla manifattura straniera! Adesso vi dirò delle...

- Adesso basta. Mi uccidereste i lettori.

Suona il tocco, Le public houses si aprono. La gente sbuca e vi si calca alle entrate come ai teatri. Le sentinelle della temperanza distribuiscono gratis dei fogli volanti e degli opuscoli.

«Bibita e povertà... Siamo un popolo sobrio?» Lo apro. «In Inghilterra le condanne annuali per ubriachezza sommano a 200.000». E tutti sanno che gli arrestati non rappresentano che un quinto della popolazione che si ubriaca. L'esempio o piuttosto il documento, lo ha dato il deputato Giuseppe Chamberlain nella Camera dei Comuni.

Giuseppe Chamberlain rappresenta Birmingham e fu ministro nel Gabinetto Gladstone. In allora era il dio dei radicali. Ora, dopo avere negato l'home rule all'Irlanda, è unionista o, come lo chiama lo Star, un giuda o un voltafaccia.

L'ho udito più di una volta alla Camera e mi sono trovato con lui tra i quacqueri che seppellivano il più grande oratore (Giovanni Bright) che possedeva l'Inghilterra a Rochedale. La sua faccia è la sua carriera politica, un rinnegato dei self-made-men (uomini fattisi da sé o usciti, come si direbbe, dal nulla). Una faccia biancastra, degli occhi celesti, delle labbra rase. Alto, esile, borioso, con una gardenia all'occhiello e una caramella di cristallo all'occhio destro che lo lascia credere un aristocratico.

È lui che parla davanti ai comuni.

«In Birmingham, un sabato, la polizia arrestò 29 ubriachi. Nella stessa sera persone (leggi astemi) incaricate di vegliare alle entrate di 35 public houses nelle diverse parti della città, riportarono che in tre ore videro uscire, da queste liquorerie, 9.159 maschi e 5.006 femmine. Su questo totale di 14.165 bevitori d'alcool registrarono 662 ubriachi maschi e 176 femmine. Ottocento e trenta persone che si ubriacarono in tre ore in trentacinque public house di una città di 400.757 abitanti (censo 1881)!

Butto via l'opuscolo.

Scena prima. Sono quattro soldati in giacchetta rossa che vanno via a ondate. L'uno tenta di sorreggere l'altro e tutti assieme gravitano verso terra cantando l'arietta «Sono inglese, sapete...» Il quadro quotidiano non suscita neppure una increspatura sociale. Si rovesciano nella public house come invasori.

Dove si sono ubriacati? Sul Tamigi. Sui piroscafi che lo percorrono si può tavernizzare fin che si è stufi.

Entriamo. È pigiato ma non c'è il baccano delle nostre osterie. In generale l'inglese è taciturno anche nella allegria. La maggioranza è in sottana. Si beve e si ribeve sapendo che alle tre saremo messi inesorabilmente alla porta. Si respira un'aria alcoolizzata che fa starnutare. Esco perché ho fame. Salgo sull'imperiale di un omnibus vuoto e mi fermo sull'angolo di Tottehm Court road.

Prima di giungervi incontriamo una delle processioni della Salvation Army o dell'armata della salvezza. Sembrano scappati dall'ospizio dei pazzi. La loro musica indemonia la strada. Le sorelle dell'alleluia frastuonano l'aria col tamburello a sonagli. Gli uomini, in camicia scarlatta, col petto trapunto di salvation army, cantando a perdigola gli inni della loro gioia triviale, fanno sussultare le banderuole col salvatevi! e tutti assieme si abbandonano al delirio furioso.

Discendo e entro al Ferro di Cavallo. Ressa, tumulto, rivoluzione.

Il Ferro di Cavallo è il luogo dove faccio tappa per l'ultimo bicchiere. È una stazione di puttane e di puttanacce. Le prime vanno al bar a sinistra dove le donne non possono bere che sedute. Le seconde filano in fondo, voltano a destra e entrano nell'altra metà del ferro di cavallo, dove impera la babilonia. Cioè dove possono saziarsi sedute o in piedi o anche sdraiate.

Fra questi due fuochi di carne vendereccia è la sala della griglia dove si mangiano dei filetti di bove da risuscitare i morti.

Presto, delle patate, una bistecca e una pinta di birra.

Martellati dall'orario si mangia colla velocità della pantera e non si sente che lo scroscio della masticazione. Scricchiolando sulle ossa, bevendo a occhi chiusi.

Esco, usciamo incalzati dalla «chiusura, signori

Uno scozzese mi rammenta e mi intirizzisce. L'orario della Scozia è ancora più scellerato. Gli spacci di birra e di liquori e vivande s'aprono dalle dodici alle dodici e mezzo pom. Mezz'ora! Dalle due alle due e mezzo! Altra mezz'ora! E dalle cinque e mezzo alle dieci e mezzo. Un forastiero che alloggia nella stanza mobilitata, se vuol mangiare in qualche trattoria nelle ore proibite, deve dichiarare di avere «dormito a due miglia e mezzo dalla casa in cui sta per mangiare!...».

Ebbene c'è paese in cui ci si ubriaca con più gusto che in Scozia? Andate dove volete. A Edimburgo o a Glasgow o a Aberdeen o semplicemente a Paisley o a Greenoch.

Al sabato non parliamone. Le vie sono gremite di ubriachi. E alla domenica riesce più facile a contare i sobri che gli altri. Tanto che io sono riuscito a credere che la ubriachezza è una protesta o un modo di protestare contro la chiusura che muta una nazione in una caserma di soldati o di costritti.

Tre e mezzo. Le vie si popolano. Gli omnibus incominciano a scaricare. I quartieri risuonano di scampanellate dei muffinmen.

I muffinmen girano per le vie col paniere sul braccio o la corba sulla testa a vendere delle rotelle piatte di pane spongoso che la poveraglia fa tostare davanti al fuoco per mangiarselo con del burro spalmato e inondato di thè.

Si sospende la noia domenicale per cinque minuti. Passano i contingenti dell'unione amalgamata dei panattieri e dei confezionieri. I loro «vogliamo» sono quattro. Sulle bandiere e le strisce colorate è il loro programma.

- Non più schiavitù!

- Meno ore di lavoro e più salario.

- Venite e unitevi a noi.

- Morte ai Blacklegs (ai traditori della loro classe).

Vedo una moltitudine di pale con dei motti.

Taluni hanno sulle pertiche delle micche enormi. Parecchi, negli indumenti del panattiere o dell'offelliere, sembrano cuochi.

Mi unisco ai panicuocoli e li interrogo. Sono determinati a mettersi in sciopero o ad affamare Londra il 9 novembre. Non vogliono lavorare più di 60 ore la settimana, inclusa l'ora quotidiana pei pasti. Le ore straordinarie devono essere pagate una volta e mezzo l'ora ordinaria. Per le ore di domenica esigono il prezzo delle straordinarie. La giornata dei fornai irregolari deve salire a cinque scellini e quella dei capi a sei. È la seconda volta che tentano di mettersi in sciopero. Nel 1872 domandavano che l'orario fosse dalle 4 ant. alle 4 pom. Ma l'orario unico era ed è impossibile. I prestini subiscono le abitudini dei quartieri. Qui si può distribuire il pane alle nove mentre altrove lo si vende alle cinque o alle sette. In una parola avevano contro di loro il pubblico.

La maledizione dei prestini è la macchina Steneuf. Venne inaugurata trionfalmente con un banchetto prima o dopo il 1870. I prestinai si alzarono in massa contro l'invaditrice che iniziava la scacciata dei prestinai dal prestino. Ma ohimé! Vinse la macchina.

In questa città senza il calmiere e senza tariffa le vetrine dei fornai non differiscono da quelle in liquidazione.

Leggete: Notizia gloriosa! Ancora un ribasso! Non più che cinquanta centesimi la libbra!

«Mille sterline a chi porterà un pane come il nostro!

Provatelo e ritornerete. Il pane migliore di Londra».

La maggioranza dei prestinai è scozzese. La minoranza viene dalla contea di Devon e da altre contee occidentali dell'Inghilterra.

Siamo sotto e intorno all'albero del Riformatore. Burns è salutato come l'eroe che porta sulle spalle la vittoria dei lavoratori del porto londinese.

È stato garzone di prestinaio. Fa la comparazione tra i facchini dei docks, i sarti e i lavoranti panattieri. Gli ultimi sono in condizioni peggiori. Lavorano da 80 a 100 ore la settimana.

Una voce: Di più! Un'altra voce: Centoquattordici!

- Infamia!

Invita le classi superiore e media a ricordarsi, colazionando, che il pane che mangiano è fatto dagli schiavi bianchi.

- Udite! Udite!

Dipinge la vita ladra del lavorante. Ci porta via la voglia di masticare dell'altro pane. Il lavorante lavora a 120 gradi, in un ambiente sucido come il porcile. Lavora nudo fino alla cintola. Suda, strasuda. Si corica colle trasudazioni gelate sulla pelle e se ne ritorna nella lana a impastare, a infornare e a sfornare il pane senza prima essersi gettato in un bagno! Perché non ha tempo. Perché lavora da 80 a 100 ore, nel Westend. Perché non ha danari. Perché guadagna, nei quartieri ricchi, da 24 a 26 scellini la settimana e nei quartieri poveri da 18 a 20. Vitaccia da schiavi!

Ci le cifre. In Londra vi sono da 20 a 21 mila lavoranti prestinai. Quindicimila sono scozzesi, inglesi e irlandesi. Gli altri sono stranieri. La maggioranza tedeschi.

Una voce: ritornino in Germania!

Burns: sarebbe un piacere che i lavoranti prestinai ritornassero al loro paese se i tedeschi del palazzo di Buckingham e di Windsor (altra residenza della regina) andassero via con loro (risa e applausi).

Sono stufo anche di dimostrazioni.

Ritorno ai marciapiedi. Degli altri ubriachi, delle altre sgualdrine, degli altri accattoni, degli altri predicatori, degli altri metodisti.

Passo da una public house all'altro senza riuscire ad annegare gli sbadigli.

Sono le undici. Chiusura generale. A letto come tanti ammoniti. Io mi allungo sul letto inglese, duro come il tavolazzo, e penso, stracco morto, a questa noia domenicale.

Cristo che noia!




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