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Paolo Valera
I miei dieci anni all'estero

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Il Parlamento del popolo

 

La libertà inglese - badate o vecchi giacobini di non confonderla colla libertà classica - ha rotto il filetto alla nazione e salva la baracca costituzionale dalle scosse violente o dagli uragani popolari che squassano o rovesciano o sradicano le istituzioni mantenute contro la volontà del popolo.

Invece di tramare o cospirare o coniugare o affilare i coltelli della fazione o della giustizia o della vendetta nell'ombra del sottoscala, si discute, si ragiona, si grida viva! si urla abbasso! si scoppia nell'ovazione o nell'indignazione o si insorge liberandosi dalla fraseologia sediziosa che tumultua il pensiero.

Di sera, la gente che ha l'uzzolo della parlantina o l'eloquenza che titilla la gola, che ama immergersi e voltolarsi nelle agitazioni, che gode l'orgia dei vocaboli che si contendono l'idea fino all'assassinio, che ha dell'entusiasmo o dell'odio per la cosa pubblica o che assiste con trasporto al conflitto delle passioni nazionali, si raduna nei parlamenti del popolo e vi si sfoga.

Il torneo dell'oratoria popolare è una sala - quando non è una stanzaccia - della public house, chiamata sala della discussione o foro del popolo o tempio del popolo o parlamento del popolo.

Il più celebre è in Fleet street, il più popolare è in Islington e il più elegante è nello Strand, in faccia al palazzo delle Corti della Legge.

La sala della discussione arieggia la Camera dei Comuni.

Ha un presidente seduto in una vecchia poltrona dalla testiera alta e arabescata, il quale getta il suo imperativo quando la tempesta delle parole infierisce o quando i gladiatori stanno per isgozzarsi con delle espressioni antiparlamentari o quando gli interruttori tentano di soffocare l'oratore con delle interiezioni o delle esclamazioni nasali, derisorie, plateali o quando il gruppo dei coalizzati suscita il vespaio che vorrebbe indurre il presidente a «coprirsi» vale a dire a sospendere od a levare la seduta.

Di solito è lui che inizia la seduta riassumendo l'avvenimento che agita il pubblico o la Camera dei Comuni. Talvolta resta imparziale come un semplice fatto. Tall'altra vi infarcisce i suoi «principi», le sue «opinioni», i suoi «secondo lui».

Spesso invece prende il suo posto una celebrità della sala o un frequentatore ignoto. L'una o l'altro viene annunciato dal presidente la sera prima.

- Signori!

La sala si raccoglie, tende l'orecchio e resta, dirò così, coll'alito sospeso.

- Sono lieto di annunciarvi che domani sera la discussione sarà aperta dal signor Oldham.

Il pubblico batte le mani sul tavolo, i bicchieri sussultano e gli udite! udite! seppelliscono il nome dell'oratore di domani nella tomba degli applausi.

- Il tema, il soggetto, l'argomento?

- Il divorzio o le ultime avventure di Stanley o un male sociale o la coercizione in Irlanda o la nazionalizzazione della terra o la decima nel principato di Galles o i tumulti in qualche parte del regno o il discorso di qualche personaggio politico o dobbiamo legalizzare le otto ore di lavoro sulle ventiquattro? O Morley e il nuovo radicalismo o il governo e la sessione o la politica coloniale o interna o lo sciopero o gli scioperi, ecc., ecc.

L'articolo che regola la discussione è tra il quadrante e la testa del presidente. «Gli oratori sono pregati a non occupare più di venti minuti e a rispettare gli ordini della presidenza».

Gettato l'amo o il tema della serata in bocca all'assemblea, il presidente la parola a chi si alza primo.

Dopo, fino alle dodici e venti minuti, il presidente, pur tenendo questo sistema, sceglie tra i primi avversari dell'ultimo controversista. Ha parlato un monarchico. Ha la preferenza un gladstoniano o un radicale o un unionista.

È tra queste pareti, in queste sale senza pretese, che si domanda la dimissione del ministero, che si ritirano, telegraficamente, i generali inetti o incapaci dai campi di battaglia e si inviano altri, creduti intelligenti, a sostituirli e che si biasima o si loda la condanna di un magistrato, che si accusano gli uomini pubblici, che si denuncia l'ingiustizia di un giornale, che si dichiara una tassa giusta o ingiusta, che si sviscerano i problemi del lavoro e dell'esistenza, che si approvano o si disapprovano i matrimoni reali e che si rivedono le bucce al bilancio del tesoriere dello Stato. Ma proviamoci a mettere assieme la seduta o un complesso di sedute, che dia al lettore la fotografia delle scene serali.

Si incomincia alle nove. Entro nella sala dei Vecchi Pensatori. (Ye Olde Cogers' Hall). Passo la public house propriamente detta, e mi trovo nella sala della discussione. Il presidente è in cattedra che pipa davanti al leggio.

La sala ha qualche cosa di comune col salone del piroscafo. Il soffitto è basso, la forma è disuguale. I vetri che la separano dalla liquoreria sono colorati e illustrati. Delle mani orgogliose sull'elsa, delle corazze fulgenti, dei cosciali scintillanti come il nitrato d'argento, dei bracciali bruniti, dei baffoni che diffondono l'albagia sulla faccia dei cavalieri.

Lungo le pareti sono i «grandi» che hanno resa famosa la sala dei pensatori. Dei contribuenti nel sortout nero e sotto la tuba arruffata, dei bottegai dal faccione onesto con tanto di catena sul panciotto e di spillone sul bianco della camicia, e degli agitatori del quartiere che hanno trasmesso ai nipoti la barba e i capelli candidi come una salvaguardia contro la corruzione dei tempi e dei partiti. Al centro della parete destra è Daniele Mason, il fondatore di questa piattaforma neutra, che educa i cittadini al dibattimento politico e sociale e alla vita pubblica fino da quando la sala dei Pensatori era in Bride Lane, Bridge street, Blackfriars.

C'è l'eleganza di un corpo di guardia. Dei tavoli lisciati dalle lavature, delle panche stralavate, delle seggiole che perdono dalla ventraia e delle scranne uscite dall'emporio della roba frusta.

Sui tavoli sono sporte le genovesine. Le pipe sono gratis come in tutte le liquorerie e birrerie. Entrate, bevete un bicchiere di birra e ne domandate una. Fumate e la gettate via.

Il cameriere - come in tutte queste sale - è in cravatta bianca e marsina e ha le gambe nel bristol nero e il ventre serrato nel gilet a due bottoni. È alto, ha i piedi dolci, è paziente, è rispettoso. Se gli date nulla, se ne va senza neppur farvi sentire il suo alto disprezzo. Se gli date un penny, vi dice «grazie». Se gliene date due, vi si inchina con un «tante grazie, signore».

Il cameriere della sala di discussione ha, suppergiù, gli stessi poteri del serjeant-at-arms nella Camera dei Comuni. È il braccio destro o la mazza del presidente. Se il presidente non riesce a sedare il tumulto, neanche colla sfuriata del maglietto sul leggio, si fa innanzi il frack cogli imperativi.

- Order! order!

Se interrompete pel gusto di interrompere o di far baccano o di mettere sottosopra l'assemblea, il presidente, dopo reiterate ingiunzioni, ordina al cameriere di mettervi alla porta. Giovanni vi ripete il comando e se non obbedite subito, vi afferra per le spalle, vi scuote violentemente, e a urti vi spinge in istrada abbandonandovi senza collera.

Mentre gli schiamazzatori o gli ubriachi escono, i membri strepitano coi piedi e colle mani e lanciano alla presidenza il bravo! dell'approvazione.

La Camera è quasi piena.

Il cameriere va e viene colle bevande ordinate e i bicchieri vuoti senza far rumore, senza gettare in platea il va bene! sissignori! dei nostri, in coda di rondine.

Le consumazioni, naturalmente, servite in sala, costano più che al banco, dall'altra parte. Un bicchiere di birra costa trenta invece di 20 centesimi. Un whisky quaranta, invece di trenta e via dicendo.

Il maglietto presidenziale rumoreggia e la seduta incomincia.

- Signori!

Il presidente, siccome è sabato, come tutti i sabati, riassume gli «avvenimenti della settimana» andando a vanvera pel regno e pel globo. Da Salisbury square (dove è la sala dei Cogers) va a Birmingham, a Tipperary, a Dublino, nel sud dell'Africa, al centro dell'Africa, nel Portogallo, nelle Indie, in Australia, in Germania, nel Vaticano, nel Brasile, in mezzo ai massacri dei prigionieri russi in Siberia, per ritornare in Fleet street cogli scioperi, colla diffusione dell'influenza, colla fine tragica dei ventisei fanciulli della scuola industriale, coi tre impiccati dell'ultimo dell'anno, coi fattorini postali o meglio coi culattieri e coi pederasti aristocratici del bordello maschile di Cleveland street, colle evizioni, colle condanne e via via per trenta minuti.

- Io credo che sia una farsa da predoni. Il territorio (al sud dell'Africa) è né nostro, né dei portoghesi.

- Udite! Udite!

- È degli indigeni.

- Good! (bene!)

- È la prima volta, dopo trentacinque anni che seggo alla presidenza, che sono obbligato a insudiciare le labbra per registrare una data che macchia lo scudo britannico.

- Sciocchezze!

- Alludo alle sozzure innominabili di Cleveland street.

- Domando la parola per una mozione d'ordine.

- Silenzio!

Molti: Sedete! Sedete!

L'interruttore: - Domando...

Le gole schiamazzano coi sedete! e i bastoni irrompono sui tavoli e riempiono le orecchie di baccano.

L'interruttore resta in piedi come una sfida. Il fracasso cresce. Il presidente stormisce col maglietto e i costituzionali urlano chair! chair!

L'interruttore: - Me ne appello alla presidenza.

Il presidente gli accorda la parola percuotendo furiosamente il leggio e ritornando nella calma.

L'interruttore è vecchio ed ha un sottogola di peli che gli getta sulla faccia l'aria leonina.

- Abbasso il cappello!

Interruttore: - Scusate. Me l'ero dimenticato. Mi dispiace di avere interrotto il presidente, ma è necessario che la Camera (house) sappia, che lo scudo britannico è stato macchiato di sodomia più di una volta.

Alcuni: - Udite! Udite!

Uno: - Voi mentite!

Interruttore: - Quel signore dovrebbe imparare la storia! Senza risalire ai tempi di Enrico VIII, quando il carnefice giustiziava in Tower Hill (28 luglio 1540) subito dopo lord Cromwell, Tommaso Cromwell, sapete, lo sterminatore dei cattolici, per alto tradimento - quando il carnefice giustiziava lord Hungerford di Heiteburle per delitto contro natura, ricorderò agli onorevoli di questa Camera il 1870.

- Lord Arturo Pelham Clinton!

- Figlio del duca di Newcastle, mentore del principe di Galles!

Interruttore: - Ci siamo perdio! Che scandalo!

Gli uomini, gente dell'aristocrazia, andavano sguisati come donne nei music-halls e nei luoghi pubblici e poi andavano via... Che scandalo! Ernesto Boulton aveva la voce femminile, la faccia femminizzata e il seno grassottello e le mani pozzettate e morbide! - Fu uno sbalordimento in Corte quando lo si udì parlare.

- Basta!

- Basta!

Il primo debater (controversista) è un monarcofilo. Egli dice che non si ha diritto...

- Mezza pinta di stout! ...

- Di accusare una classe per degli individui. I lord Hungerford, Clinton e...

- Un whisky caldo!

- Somerset, il disonore della nazione.

Molti: - Bosh! (Stoltezza! Insensataggine!)

- La nazione ha nulla di comu...

- Silenzio!

- Lasciatelo continuare!

Gli oratori si succedono. L'unionista al separatista (gladstoniano) o all'imperialista o al radicale o al socialista o al parnellista o al whiggista.

Il dibattitore incomincia invariabilmente così:

- Signor presidente e signori! L'onorevole amico (anche se non si conoscono) che si è or ora seduto... Poi, magari, tira via a dargli del bugiardo, dell'impostore, del pazzo e dell'ignorante, dello stupido, del codardo, salutato dai battimani dell'assemblea frustato dagli udite! udite! ironici degli avversari o colpito da un miserabile! o da un shame! (Dovreste avere vergogna! arrossite!) o da un cretino! secco.

Di solito, l'attaccato resta imperturbabile o sorride o non se ne cura affatto. Tutti sanno che sono gli arnesi di battaglia. Chi piglia piglia. Domani verrà la sua volta. Cioè lo assalirà con altrettanta o maggiore violenza, senza ricordare gli insulti della seduta o delle sedute passate. I rancori non sono di queste sale. Sciolto il meeting, si esce come quando si è entrati e si va al banco a bere gli ultimi bicchieri che completano la serata e qualche volta l'ubriachezza. Se invece l'uomo su cui è caduta la pioggia rovente dei vocaboli se ne risente, si alza, si leva il cappello e gli del mentitore - you lie, sir.

Oppure resta seduto e lo fulmina con un - Andate a scuola! Imparate la grammatica! Il vostro sproloquio è sgrammaticato!

L'oratore: - Se mi interromperete ancora, signori, vi caccerò i denti in gola (If you interrupt me again, sir, I shall knock your teeth down your throat!).

La platea si smascella in una risata e il presidente martella il tavolo col flemmatico order! order! (come a dire: facciano silenzio!).

Questo qui che passa adesso è un operaio monarchico. Dice che la proprietà è la sola molla che, faccia agire l'individuo. Perché lavorerei, se sapessi che tutta la mia fatica andasse in bocca a quei fannulloni spiantati di socialisti?

Un socialista - Asino!

Un altro: - Andate a casa a studiare!

L'assemblea: - Chuck him out! (mettetelo alla porta!) Chuck him out.

Cameriere: - Facciano silenzio!

L'oratore continua come un sermone. Vorrebbe elevare i figli del lavoro al senso della libertà vera e raccomanda ai suoi amici dell'opposizione di leggere lord Macaulay, «il grande storico le cui pagine immortali ricordano le battaglie e i dolori pel costituzionalismo che ci ha fatti una grande nazione».

- Udite! Udite!

È in piedi un radicale. Se il governo avesse ascoltato i suoi ammonimenti e i suoi consigli, i pauperismi dell'East-end sarebbero, a quest'ora, una piaga del passato.

Risate e udite! udite! su molti banchi.

Chiama il governo una ciurmaglia di parrucconi (big-wings) e i deputati una mandra di servitori. Si dilunga sul libertinaggio dei ricchi e getta sulla bilancia i suoi due quintali di poveri ingrossando la voce e dicendo con un gesto di disprezzo: ecco il risultato della vostra politica!

L'alcoolizzato (di brilli ve ne sono tutte le sere, di ciucchi tutti i sabati) come è naturale, è più prepotente. Minaccia. «Vi darò dei pugni, vi darò! Vi romperò la faccia! Vi prenderò a calci, io, se continuate! o si alza per «spiegare una parte della questione finanziaria dimenticata dall'oratore» o bastonate da orbi al tavolo giurando che il presidente ha violato i regolamenti di questa Camera o prolunga gli ir (hear)! ir! ir! fino all'irritazione dell'assemblea, la quale, annoiata, indemoniata colla presidenza! presidenza! presidenza! fuori! alla porta il mascalzone!

Spesso l'ubriaco domanda scusa e fugge col cappello in mano senza voltarsi indietro. Sovente invece si incapponisce e non esce che ruzzolato alla porta.




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