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Paolo Valera Mussolini IntraText CT - Lettura del testo |
Benito Mussolini salito al potere aveva lasciato credere che con lui i battenti del Gran Magistero degli ordini cavallereschi sarebbero rimasti sprangati. Paolo Boselli era affaticato. La sua veneranda età andava rispettata. Con Facta non aveva avuto requie. Le onorificenze erano state di tutti. Lavapiatti, salumai, cavadenti, ciabattini, impresari e trafficanti di ogni risma. Errore! I "ricostruttori" esigevano la loro parte. Piovvero croci e commende. Gli ex del rivoluzionarismo scarlatto le ambivano più che tutti. Mussolini ha dovuto piegarsi alle postulazioni. Re Vittorio non ha potuto rifiutarsi. Paolo Boselli ha ripreso il suo mestiere di gran ciambellano. I vecchi monarchici ne rimasero come storditi. Poi ghignavano. Le commende dei Savoia ai Rocca, ai Michele Bianchi, ai Cesarino Rossi, ai Marinelli, ai Rossini, ai Racheli? Era la curée degli invertiti.
Benito Mussolini in mezzo alla ridda dei concorrenti alla bacheca della vanità pare un uomo seccato. Lascia capire che è stufo o nauseato di chincaglierie. Il suo caso personale lo deve avere smagato. Troppi ciondoli intorno a lui. È di ieri il suo discorso al Consiglio Nazionale Fascista. "Abbiamo un po' peccato di vanità; ci siamo un po' troppo gingillati; troppi commendatori, troppi cavalieri." È certo che i suoi atteggiamenti contraddittori lo fanno ogni giorno una figura sempre più discussa, dagli stessi uomini del suo partito. Da qualche tempo egli non è più avvicinabile. Pare accigliato. Pare scruti. La torpedo che egli guida quasi sempre con le sue mani lo sopprime rapidamente dalla folla. La attraversa come un fulmine. Dove vada, è affar suo. Non ci sono più i fiacres dei tempi in cui Zola imbottiva la sua Roma. Roba da museo! Ormai l'automobile circola sovrana. È diventata il veicolo della curée. L'altro giorno al console torinese Brandimarte gliene hanno involata una.
L'assenza di Cesarino Rossi è sentita alla trattoria Brecche. Il frascatano sarà imbronciato. Non si sapeva che il capo della stampa ministeriale fosse un gozzovigliatore e gustasse così bene la compagnia notturna. Egli era un cliente che bazzicava da Roma a Parigi i Chez-Maxime e pagava i conti a piè di lista, come il Naldi. Pippo Naldi, ex direttore del Resto del Carlino, è un affarista d'alto bordo. Ha sempre svolta la sua attività di grande finanziere del grande quotidiano. Fu lui a varare Mussolini ai tempi della sua abiura socialista. Tutta gente che ha fatto pancia in questa vita che viviamo.
I trafficatori del ferrame di guerra si riconoscono nella ricercatezza dell'abito e nelle dita che abbagliano gli spettatori. Brillanti grossi come chicchi. Hanno l'orologio d'oro al polso. Cappelli a larghe falde come i reduci dal paese di Kruger. Calzoni a campana. Ghette chiare e mussoliniane. Frequentatori del tavolo verde. Le loro Nanà sono costose. Orgiastiche. Il fascismo ne ha portati molti di questi lupi sociali in circolazione. Cesare Forni e Raimondo Sala ne hanno conosciuti parecchi anche fra i "pezzi grossi". Il Forni, col suo discorso biellese, è stato una rivelazione. "Individui di umilissime condizioni finanziarie, i quali nel 1920 e 1921 si rivolgevano personalmente a lui chiedendo l'elemosina di poche lire per potersi sfamare, attualmente vivono a Roma in appartamenti principeschi che si pagano coi denari del popolo italiano." Il Sala — ex sindaco di Alessandria — è in lotta coll'ex Alto Commissario delle Ferrovie on. Torre, davanti il Tribunale di Roma, per beghe di affarismo. Accusa il Torre di essersi arricchito alle spalle del fascismo. C'è il processo. Vedremo.
Il comm. Luigi Freddi — ex capo della stampa fascista buttato da Mussolini nell'immondezzaio dei rifiuti — è inseguito da un sottovoce scandaloso. I fratelli Forni lo rincorrono coll'aggettivazione di pederasta, attribuitagli da Cesarino Rossi. Anche il Freddi era un personaggio eminente della curée. Uno dei più giovani e dei primi arrivati. C'è un'altra bega fra i cuccagnisti della Marcia su Roma. L'ex generale della Milizia Italo Bresciani è accusato dai Fasci di Verona di essersi impegolato di porcaggini. Anche lui ha messo in giro il suo processo. Farà del chiasso.
Benito Mussolini nel suo recente discorso non ha dimenticato di strigliare gli "affaristi" che si servono del fascismo per arraffare ed insaccocciare biglietti di grosso taglio. "Bisogna avere l'ignoranza se non il disprezzo degli affari. Bisogna proprio essere estranei agli affari. Rifiutarsi persino di sentirne parlare." Lo sbafo era diventato uno scandalo nazionale quasi quotidiano. La curée non conosceva più ritegno. Tutte le mattine avevamo un nuovo sottovoce, una nuova cronaca di succhionismo. Oggi la Camec, domani la Sinclair, e via via. Ma Mussolini si illude. In regime capitalistico les affaires sont les affaires. Le fauci della borghesia sono insaziabili.
La Marcia su Roma ha riportato in prima linea, sulla scena politica, figure che l'opinione pubblica aveva rincorso a pedate. Maffeo Pantaleoni era stato di queste. Deputato di Macerata aveva dovuto subire le ingiunzioni di dimissione dai giornali che gli mettevano in saccoccia centomila lire di mediazione per aver cooperato a far perdere nove milioni e trecentomila lire al Banco Sconto e Sete di Torino. Eravamo ai tempi dei ladri parlamentari Poli e Miaglia. Maffeo Pantaleoni aveva avuto un passato onorevole. Era stato con Napoleone Colaianni un inseguitore dei pirati della Banca Romana, un denunciatore di ladrerie statali, un tribuno dell'ostruzionismo contro il regime giberna dei Pelloux, dei Morra di Lavriano e dei Bava Beccaris. Il disastro del Credito Mobiliare Italiano fu la sua liquidazione. Nemmeno la difesa di Guglielmo Ferrero lo ha potuto salvare. Si era venuti a sapere che il deputato ladrone Giovanni Poli lo aveva associato alla spartizione delle duecentocinquantamila lire di provvigione sulla costituzione della Société Franco-Italienne con un vaglia telegrafico di ventitremila ottocentoquaranta lire. L'uomo parve finito. Perse la medaglietta. Per un gran pezzo non si parlò più di lui. Con la guerra lo si è rivisto in circolazione. Scrittore robusto, economista dotto, polemista focoso, non ha penato fatica a richiamare gente intorno a sé. È risalito sulla piattaforma delle virulenze statali e delle aggressioni personali come un bravaccio della stampa. Vittorio Emanuele Orlando fu il suo soppedaneo. Gli è andato sopra con epiteti scurrili. Lo ha chiamato mafioso saraceno e lo ha minacciato di tagliargli la lingua. Benito Mussolini lo ha lasciato lavorare. Era uno dei quattrocentoventi del fascismo che insieme a Vincenzo Morello, vecchio arnese del giornalismo sbruffato da Crispi, aiutava la "rivoluzione" a consolidarsi. Entrambi senatori del nuovo regime, "Rastignac" e Maffeo Pantaleoni sono ancora oggi considerati i massimi pilastri della stampa fascista.