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Paolo Valera
Mussolini

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I

 

IL GIORNALISTA SOVVERSIVO

 

Si rivelò dappertutto geniale. Trovò ospitalità dove ha voluto sostare. La sua fama di giornalista è andata crescendo cogli anni. Io l'ho trovato a Trento, redattore capo del giornale Il Popolo di Battisti. Non era un grande giornale. Faceva più della cronaca che della politica. La politica, nei possedimenti austriaci, dava molte noie a coloro che ne scrivevano. Si veniva chiamati nei gabinetti delle teste poliziesche, redarguiti, censurati, espulsi. Benito Mussolini subì tutte queste cose. In quel tempo il futuro duce del fascismo soffriva. Aveva una forte flussione alle gengive. Malgrado i dolori egli migliorava il suo tedesco e metteva assieme un martire della religione, una specie di Savonarola che gli hanno pubblicato Podrecca e Galantara, della ditta dell'Asino. In Svizzera, senza smettere di fare il giornalista, frequentava come uditore le università. Guadagnava poco. Era obbligato qualche volta a impegnare il pastrano o il superfluo. Durante l'esodo dei novantottisti italiani contrasse amicizia con M. Serrati. Le università gli hanno dato modo di salire nella coltura tedesca e francese. Le soste erano i suoi supplizi. Doveva pur troppo ritornare a quel qualunque lavoro che gli capitava, di facchino, di garzone, di imbianchino come il Costa. Il suo sovversivismo lo obbligò ad andarsene da due cantoni e quindi a ritornare nella propria Romagna.

In tanti trambusti difficilmente si resta giornalisti. Benito Mussolini a Forlì se ne è fatta una propria officina. Ha iniziato la Lotta di Classe. Ha radunato intorno a sé tutti i lettori proletari. Giunto nel 1911 si è rovesciato sul ministero Giolitti. Non voleva guerre di conquiste. Incitava a voltare le spalle agli ordini che chiamavano la gioventù in caserma per andare in Libia a schiacciare l'indigeno. Egli, come tanti altri che erano stati all'estero, aveva imparato che cosa volesse dire la colonizzazione. I boeri erano stati trattati bene dall'impero britannico! La colonizzazione fu tutto un volume di massacri. Mussolini è stato messo in prigione. La così detta "passeggiata militare" era avvenuta. Le stragi sono state compiute. Le impiccagioni in Piazza del Pane sono state registrate, e i corrispondenti esteri sono scappati dalla Libia, dove si ammazzava in massa come a Sciara-Sciat. Io tentai di penetrarvi da Siracusa, come penna dell'Avanti! Venni agguantato da un ordine di Giovanni Giolitti. Corsi a Roma e andai difilato a casa di Bissolati e lo incaricai di domandare spiegazioni. Giolitti gli ha risposto che se mi avesse lasciato sbarcare, sarei stato schiaffeggiato da tutta l'ufficialità in piazza di Tripoli. Leonida Bissolati è stato come stordito. Gli ha risposto poco dopo: "Alla faccia di Valera avrebbe pensato lui stesso".

I conquistatori non hanno senso di giustizia. Prevengono, impediscono, accusano o svillaneggiano. La solidarietà giornalistica d'allora è stata messa alla porta. I corrispondenti di guerra dell'Inghilterra e degli Stati Uniti sono andati a protestare dal governatore. I nostri rappresentanti della stampa, con alla testa Luigi Barzini, sono stati tutti per l'approvazione dei decimatori degli indigeni in bloccocompreso il deputato catanese De Felice.

Benito Mussolini è venuto via da Reggio Emilia direttore dell'Avanti! Aveva moglie e una figlia. I ghigliottinati del suo '93 lo avevano circondato di fama truce. Lo si diceva violento. Lo si paragonava ai terroristi. Si vedeva in lui una rivoluzione ambulante. Dalla sua piattaforma scendevano razzi, tizzoni incandescenti. Incendiava dappertutto. I vecchi del partito vedevano in lui un sovvertitore maratista. In poco tempo avrebbe rovinato il partito. Una provocazione poliziesca avrebbe trascinati tutti in una colluttazione sanguinosa. Era un tipo che suscitava gli orrori degli enragés di una volta.

Benito Mussolini stava per mettere piede in uno degli ambienti più ingrati e più pitocchi della penisola. L'Avanti! era il peggiore padrone d'Italia. Pagava da cane. I suoi amministratori erano avari, taccagni, rapaci, venali, capaci di affamare tutti coloro che cadevano nella loro rete. Con la scusa che il socialismo era povero o in lotta con la borghesia e con i proprietari, davano salari e stipendi che facevano accapponare la pelle. Si può dire che la gente che dirigeva l'azienda socialista esigesse su per giù quasi tutto per niente. Manoscritti gratis, traduzioni per poco o niente. Lavorare per l'Avanti! era una specie di onore. Benito Mussolini non aveva quasi da mangiare. Tutta la sua fortuna si riduceva a cinquecento lire al mese, quando il direttore del giornale borghese sfiorava le dodici o le quindici o le venti o le venticinque e più mila lire l'anno. Con le esigenze che ha la vita di un direttore di giornale, Mussolini si trovava sovente in bolletta. Come direttore gli mancavano il frak, lo smoking — due abiti indispensabili al mestiere. Una volta ha avuto l'impudenza di farsi pulire i denti. Cinquanta lire! Dio degli dei! non ne aveva in tasca che venticinque. Ha dovuto correre alla ricerca del resto. Il dentista fu inesorabile. Poi aveva la triste abitudine di soffermarsi alle vetrine dei librai e di leggere in tre o quattro lingue. Era un disastro. Rincasava o ritornava alla redazione con una perdita di venti o trenta lire. Erano i momenti dei suoi silenzi. Si raccoglieva sui volumi. Faceva di tutto per stare in piedi. Scriveva pure nella Folla articoli che scuoiavano, molto interessanti, ma pagati maledettamente male. Un giorno ho dovuto correre ad avvertire un amico comune che Benito gridava sommessamente aiuto. La cassa di partito suonava di fesso...

Egli dirigeva l'Avanti! con poche mani, con gente mediocre. Con collaborazione fiacca. Non poteva correre al megafono a propalare i bisogni del giornale quotidiano. Tentava di migliorare gli strumenti umani con un assiduo scambio di corrispondenza redazionale.

La ragione delle deficienze era la questione finanziaria. Il direttore osava, tirava via, aggiustava, rappezzava, mondava. Procurava di non essere deficiente nel notiziario. Gli è sempre mancato un cronista alla Leone Fortis. Prosa pastosa e nutrita di fatti. Avrebbe voluto che il quotidiano non sfigurasse davanti ai grandi avvenimenti. Le superbe tirature erano sempre del Secolo e del Corriere della Sera. Malgrado questa specie di umiliazione il quotidiano di Benito Mussolini fu sempre di una tiratura che ballonzolava intorno alle centomila copie. La politica estera era un po' trascurata. L'Alessandri a Parigi aveva un incarico troppo vasto: l'Impero Britannico, gli Stati Uniti, la Francia, le questioni coloniali e via.

Ci volevano dei milioni. Benito Mussolini non li aveva. La penuria non lo disgustava. Sperava nei giorni dell'abbondanza. La guerra era incominciata. Noi eravamo chiusi in una neutralità che opprimeva. Si diceva che l'Italia non sarebbe intervenuta. Ma dovunque si lavorava ad allestire la guerra. Era proibito annunciare che la preparazione si faceva sentire dappertutto. Il gruppo socialista si radunava a Bologna. Il Mussolini aveva già dei tentennamenti. La neutralità era scossa.

Non so quando avesse scritto che se l'Austria, imprevedutamente un giorno, turbasse casa nostra, allora, per la libertà, avremmo saputo bene agire di conseguenza. In redazione non era autoritario, ma faceva capire a tutti che era lui che comandava. "Stimo opportuno avvertirvi che non intendo di assistere continuamente a incidenti e a scenate. Del giornale sono io il solo, unico responsabile, di fronte ai socialisti e al pubblico, e sono io che senza preferenze o antipatie distribuisco il lavoro ai redattori, a seconda delle esigenze del giornale". Scrivendo a Libero Tancredi che dava molta importanza ai fischi politici, diceva: "Tutti gli uomini politici, me compreso, sono stati, almeno una volta in vita loro, fischiati. Nel caso di Labriola approvo la fischiata. Deploro l'aggressione. Purché, a furia di amplificazione, quell'aggressione che fu soprattutto «verbale» — non diventi fra poco — aiutando la fertile fantasia partenopea — un mancato omicidio o qualche cosa di simile. Approvo la fischiata, non tanto in odio alle opinioni tripoline del Labriola, quanto per gli atteggiamenti suoi, contraddittori e opportunistici.

"Cito la Massoneria e il Blocco. Lascio andare, come vedi, il triplicismo e i monopoli e il ministerialismo, ma per iddio, quando si scrive ciò che il Labriola ha scritto contro il massonismo socialista, non si viene poi, a breve distanza di tempo, ad esaltare la massoneria in quelle colonne del Lavoro diretto da quel Canepa che ha fatto ieri l'altro il reggicoda ai comizi Savoia. Altrettanto dicasi per il blocco: nel 1910 antibloccardo, tre mesi dopo sino all'alleanza con monarchici.

"Oh, insomma, qui non si tratta più di evoluzione di idee, ma di funambulismo che dice e disdice, rinnega oggi ciò che fu celebrato ieri, con una volubilità uterina.

"E allora: diritto di applaudire ed uguale diritto di fischiare. Ciò mi sembra, dopo tutto, squisitamente anarchico. Purché la fischiata non sia sistematica, perché allora diventerebbe la persecuzione e contro la quale insorgerei in nome della libertà.

"Alle polemiche sul giornale preferisco queste spiegazioni... epistolari".

Negli intervalli che gli concedeva l'Avanti! faceva delle conferenze che lo aiutavano a tirare innanzi e a fare conoscenze di compagni. Il partito era male provveduto di oratori intellettuali. Non aveva conferenzieri sbrigliati, nutriti, cresciuti uditori di università come Mussolini. Mandava in giro teste bislacche. Gente che veniva applaudita per cortesia o per ignoranza. Benito Mussolini aveva una preparazione maturata in Francia quando c'era l'affaire (Dreyfus) e quando si pubblicavano libri terribili come La fine del Mondo, Il mio vecchio Parigi, La mia ultima battaglia e la Francia ebraica di quello scrittore più terribile che si chiamava Edoardo Drumont. I grandi avvenimenti rossi erano suoi. Il '93, popolato dalle figure che ebbero le teste mostrate al popolo dal Sanson, era suo: un lettore assorbente una documentazione che non poteva essere di tutti. "Sta bene", rispondeva Mussolini ai cercatori di conferenze, "vi porterò Marat, l'amico del popolo, denigrato da una moltitudine di scribivendoli che avevano veduto in lui un tagliateste o un bevitore di sangue girondino."

Continuo a frugare nell'epistolario di Mussolini... Qui c'è della tenerezza.

 

"Caro, Bombacci, ho saputo che sei andato a costituirti per scontare quattro mesi di carcere. Hai fatto benissimo. Ciò ti darà pure il tempo di dedicarti allo studio. Coraggio e avanti!

"Io pure sento la nostalgia del carcere e quasi quasi ti invidio... Se hai bisogno di qualche cosa scrivimi pure. Saluti affettuosamente."

Mussolini

 

"P.S.Caro Bombacci, molto bene, tutto quello che mi dici. Non bisogna chiedere grazie e nemmeno accettarle. Quanto ai libri io credo che tu possa farti mandare la nuova edizione delle opere di Marx, Engels, Lassalle (pagamento a rate) e ne avrai abbastanza per quattro mesi."

 

Considerava il suo posto direzionale il ponte del comando. Dava ordini e ramanzine. La prima strigliata è toccata a Francesco Ciccotti, il quale aveva dimenticato dalla telefonata parlamentare il grido fatidico dell'on. Caroti contro il governo. La seconda a uno che si firmava tre stelle e che si era permesso di fare il reporter a suo agio. Orazio Raimondo era divenuto un oratore parlamentare sommo in pochi giorni. Malgrado questo fatto era trascurato dai socialisti perché era passato un po' troppo sollecitamente al ministerialismo.

"Ti pare", gli domandava Mussolini, "che dopo otto o dieci giorni da che il Raimondo ha pronunciato il suo discorso si possa ritornarci sopra così diffusamente? Il commento andava fatto o telefonato la sera stessa e allora aveva la sua importanza; adesso è buono per l'archivio.

"Siccome i compagni di tutta Italia si interessano assai delle vicende socialiste del collegio di S. Remo, così ti prego di tenerli informati con brevità, soprattutto con sollecitudine."

 

"Carissimo Lazzari, permettimi di manifestarti — sia pure in linea confidenziale — tutta la mia meraviglia per la proclamata candidatura dell'avv. Marvasi in uno dei mandamenti di Roma.

"Non ho animosità alcuna verso di lui, ma ci tengo a ricordarti che egli è stato uno dei più smaccati esaltatori dell'impresa tripolina di cui sostiene ancora la necessità, ch'egli è un sindacalista e antiparlamentarista. A chiacchiere, si capisce.

"Inoltre è un reclamista di sé medesimo. Non so nemmeno se e da quando sia iscritto al partito. Anche il suo telegramma di sfida al Tittoni svela l'uomo che approfitta dell'occasione per fare la réclame ai suoi libri. Quella della candidatura Marvasi è stata una «trovata» più o meno felice, ma sempre una «trovata». Ti domando se la politica in genere e quella socialista in ispecie debba essere a base di trovate. Pare che questo sia il Sistema da Roma in giù. Ma la serietà e la coerenza del partito vanno a farsi friggere.

"Scusami lo sfogo e credimi il tuo amico e compagno."

6 giugno 1914                                                                                                                           Mussolini

 

"Caro Marvasi, sono lieto, veramente lieto di leggere su Scintilla la tua strenua e commossa difesa del Socialismo e dell'Internazionalismo socialista, che, a sentire alcuni poveri di spirito, sarebbe «fallito». Nulla di più stupidamente falso. Si pretende — ed è ridicolo! — si pretende e si finge di credere che il Socialismo abbia realizzato, in 50 anni appena, quell'affratellamento dei popoli che il Cristianesimo non è riuscito a cementare dopo venti secoli dal giorno in cui il vagabondo di Nazareth lanciò agli uomini il suo grido immortale! È grottesco.

"L'Internazionale socialista non si è mai impegnata ad «impedire» la guerra, si è limitata a dichiarare che si sarebbe opposta. E tale opposizioneformidabilec'è stata in tutte le nazioni. Ti segnalo nell'Avanti! di ieri, 12, in terza pagina, un elenco dei comizi tenuti in tutta la Germania dal partito socialista.

"Bisogna pensare che la crisi è scoppiata al 26 di luglio e che appena 6 giorni dopo il Kaiser dichiarava la guerra. Non è impossibile che tale precipitata decisione sia stata presa anche in vista della campagna anti-guerresca dei socialisti, campagna che avrebbe potuto assumere proporzioni ben maggiori.

"Questa guerra ci rimbarbarisce: credo che ci riporterà ai clans e alle tribù.

"L'Internazionale è nelle cose, è nella ineluttabilità degli eventi. Forse questa guerra, darà col sangue alla ruota il movimento!

"Ti saluto con amicizia."

12 agosto 1914                                                                                                                Tuo Mussolini

 

Mussolini prima di arrivare alla scissura presentiva lo sfasciamento del socialismo italiano. Non vedeva coesione. Non c'erano che uomini flosci. Brontoloni. Il Lazzari ne era forse il caporione. Egli brontolava anche in prigione, contro l'assenza delle cartoline vaglia. Il Lazzari, deputato, valeva poco. C'erano dei ruderi. C'erano dei cultori di collegi elettorali. Non pochi senza istruzione di politica estera. Molti litigi. Molti dissensi. La maggiore intelligenza era quella di Filippo Turati. Ma il suo ingegno andava tutto alla Critica Sociale. Se in lui ci fosse stata energia avrebbe potuto essere ministro con Giolitti e un probabile Presidente del Consiglio. Ha preferito il quieto vivere. Piuttosto che accettare il portafoglio e arrivare alla proclamazione del potere socialista, si sarebbe fatto ammazzare. Non era Benito Mussolini! Non c'era in lui che un grande ragionatore ed ipercritico parlamentare che sovente chiamava i ministri con parole che uccidevano. Giovanni Giolitti, ad esempio: Tiburzi, scaltro camaleonte, tutto intrighi e tranelli, ministro espediente. In quei giorni c'era in giro troppo prampolinismo: troppa quietudine. Si catechizzava. Il '98 e le beghe interne avevano rotto e infiacchito il partito. La guerra era incominciata. In Italia imperava la neutralità. Era un neutralismo che incombeva su noi come una cappa di piombo. Non si escludeva la guerra. Era un pertugio aperto al socialismo. Non si capiva come si potesse essere nella Triplice e vivere in neutralismo. O il regnante era un fedifrago o il popolo non era più con lui. Ecco il perché c'era da noi Bulow ed ecco perché Giolitti passava per un giullare. Il partito socialista, trincerandosi nella neutralità, aveva servito il governo che fingeva di astenersi da ogni movimento belligero, mentre lavorava a tutt'uomo per entrare in guerra.

Oggi parlando con alcuni ex deputati socialisti della passata legislatura ho avuta la stessa impressione. Se Turati avesse accettato il portafoglio quando gli è stato offerto, non si sarebbe veduto il partito socialista nel disastro come lo abbiamo veduto. Lo avrebbe tirato su. Sarebbe stato rispettato. Non avrebbe dato modo ai nemici di sconfiggere tanta gente. Turati sa orare, sa affascinare con la sua prosa, ma ohimè! non sa agitare, rivoluzionare, condurre le masse dove arde la passione per incendiare un movimento.




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