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Paolo Valera
Mussolini

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II

 

IL SOCIALISTA RIVOLUZIONARIO

 

Cerco una parola adatta ad accomodare lo spirito di Benito Mussolini in un tutto assieme senza sfigurarlo o spostarlo o guastarlo. Egli è quello che è. Come l'ho conosciuto. Come l'ho visto. Come l'ho trovato. Fu socialista, eminentemente socialista, Direttore del Socialismo. Le masse accorrevano a udirlo. Gola eloquente, metallica, fascinosa. I suoi denigratori lavoravano di soppiatto. Per vivere Mussolini doveva ammansare il suo rivoluzionarismo. Qualche volta spegnerlo. Egli aveva capito che circolava in mezzo ai fabiani della nostra razza. Moltitudini modeste, umili, prudenti che dovevano andare via adagio adagio. Bisognava pensarci. C'erano i tracolli, i disastri, i conflitti. Si predicava la cautela. Il '98 li aveva fatti rinsavire, anche senza volerlo. C'era sempre tempo di precipitarsi nei tumulti o nelle tragedie. Il parlamento non dava più che sdegni orali. Era l'impotenza. Bisognava bruciarlo come casa di lazzaroni. I deputati avevano abbassato il tono, bevevano alla coppa dell'umiliazione. Il giuramento che nessuno si sarebbe lasciato associare ai ministeri borghesi era della vita finita. Con loro alla Camera non c'era che il posto per le interruzioni asinesche e comiche dei Beltrami e dei Barberis. Il tempo di rovesciare le urne era passato. Filippo Turati era rimasto fedele alla formula di non imbrattarsi di borghesia. Ha rifiutato il portafogli. Benito Mussolini non appena gli fosse capitato sottomano lo avrebbe conteso coi pugni. C'era una volta all'Avanti! Leonida Bissolati, tempra di ferro, intransigente, giacobino, riassuntore di una edizione di Carlo Marx, capace di fare una rivoluzione. Un giorno venne circondato da un sottovoce. Si sussurrava ch'egli si fosse lasciato monarchizzare. Lo misi alla prova. Gli mandai un articolo antimonarchico. Non mi ricordo esattamente le parole. So che sciorinavo i Savoia come sanguisughe nazionali. La differenza fra noi e questi opulenti personaggi di reggia, era evidente. Aggiungevo che la testa della monarchia era una piovra. Quattordici milioni e duecentocinquantamila lire l'anno in oro purissimo, producevano una carestia spaventevole in tutta la penisola. Intorno a lei non vivevano che membri appannaggiati. Il parlamento aveva votato un milione alla regina Margherita. L'articolo mi venne restituito.

Secondo Bissolati "Gli articoli di Valera non si dovevano cestinare". Mi ha tappata la bocca. Non ho avuto più parole. Leonida Bissolati era finito cortigiano di monarchia. Consigliava Sua Maestà. Egli andava alla reggia in cappello molle e guanti paglierini o scuri. Alla chetichella Cabrini gli aveva tenuto dietro. Era un altro adulatore, piaggiatore di sovrani. È venuto al Congresso di Reggio Emilia carico di cortigianeria. Era anche lui un servo. Vi fu una strage monarchica. Benito Mussolini si era messo in manica di camicia e li aveva spinti tutti al muro, calcandoli l'uno sull'altro. Propose ai congressisti la loro espulsione dal partito. Egli volle e fece sopprimere l'autonomia al deputato che se ne serviva per fare il "vil cortigiano". È necessario, diceva, che il deputato esca da questi equivoci. I deputati, aggiungeva, devono ubbidire alla Direzione... Citò lo scandaloso discorso di Cabrini sul Calendario degli emigranti, il voto del prof. Graziadei, unico in tutta l'estrema sinistra, favorevole al mantenimento del giuramento politico. Rammentò la famosa seduta in cui la Camera ratificava il regio decreto d'annessione della Libia, mentre il gruppo non aveva poi avuto il coraggio di sabotare la manifestazione nazionalista. È stata una requisitoria. Ha biasimato le assenze del gruppo socialista che lasciavano passare le sedute più importanti, come quella sui sessanta milioni per le spese militari, pur sapendo che il proletariato detestava la guerra... I deputati Bissolati, Bonomi, Cabrini, Podrecca li ha citati come scandali vivi.

Mussolini: "Il 14 marzo 1912 un muratore romano spara una revolverata contro Vittorio Savoia. C'era un precedente che indicava la linea di condotta dei socialisti. Si era già criticato aspramente lo spettacolo indescrivibile offerto dall'Italia sovversiva dopo l'attentato di Bresci a Monza. C'è un libro, che potete accettare con beneficio di inventario, del Labriola, la Storia di 10 anni, che vi dice come le classi alte dell'Austria Ungheria seppero accogliere la notizia della tragica fine di Elisabetta. Si sperava che, dopo dodici anni, non si ripetesse il veramente indescrivibile spettacolo di Camere del Lavoro che espongono bandiere abbrunate, di municipi socialisti che mandano telegrammi di condoglianze o di congratulazione, di tutta un'Italia democratica e sovversiva che a un dato momento si prosterna al trono. Difficile scindere la questione politica dalla questione d'umanità. Arduo separare l'uomo dal re. Ad evitare equivoci perniciosi uno solo era il dovere dei socialisti dopo l'attentato del 14 marzo: tacere. Considerare cioè il fatto come un infortunio del mestiere del re. (Bravo! Applausi.) Perché", continuava Mussolini, "commuoversi e piangere per il re, solo per il re? Perché questa sensibilità isterica, eccessiva, quando si tratta di teste coronate? Chi è il re? È il cittadino inutile per definizione. Ci sono dei popoli che hanno mandato a spasso i loro re, quando non hanno voluto premunirsi meglio inviandoli alla ghigliottina e questi popoli sono all'avanguardia del progresso civile. Pei socialisti un attentato è un fatto di cronaca o di storia, secondo i casi. I socialisti non possono associarsi al lutto o alla deprecazione o alla festività monarchica. Quando Giolitti l'annuncio dello scampato pericolo reale, tutti gli onorevoli scoppiarono in un applauso giubilante. Si propone un corteo dimostrativo al Quirinale e alcuni deputati socialisti s'imbrancano senz'altro nel gregge clerico-nazionalista-monarchico. (Bene.) E si va al Quirinale. Non so se sia vero quel dialogo che le cronache hanno riferito. Non c'ero, ma non è stato neppure smentito. Si dice che quella frase, oltremodo banale, non sia stata pronunciata. Non importa. So che vi è un telegramma «Pregovi di presentare a Sua Maestà il mio commosso e riverente saluto». E questo è il Bissolati, il quale, dodici anni fa, gridava: «A morte il re»". (Applausi a sinistra. Rumori sugli altri banchi.)

BISSOLATI: "No, no! Abbasso il re. La destituzione".

MUSSOLINI: "Non c'è grande differenza tra morte e destituzione. La destituzione è comunque la morte civile."

"E la banalità dei complimenti?"

"Bissolati elogia il coraggio del re che aveva la carrozza chiusa. Cabrini si sdilinquisce dinanzi la regina e ne riceve una lezione".

La donna non voleva neppure la supposizione che fosse timida o vigliacca.




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