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Paolo Valera Mussolini IntraText CT - Lettura del testo |
Non ci fu più pace. Non fu più possibile la pace. Il volo di Mussolini fu un colpo mortale all'Avanti! Egli non volle più voltarsi indietro. La sua organizzazione era impiantata. Mussolini chiamava nuovi collaboratori intorno a sé tutti i giorni. Spronava il grosso contro gli "avariati". Il suo quotidiano andava su lentamente, ma saliva. Invadeva le province. Seminava dappertutto. L'Avanti! poltriva. Non aveva uomini geniali. Molti se ne staccavano. Di tanto in tanto Mussolini annunciava i trecento e più socialisti andati a lui come una fuga in blocco. L'Avanti! continuava a brontolare. Mai un impeto. Faceva solo circolare il sottovoce del mercato mussoliniano. Non lo si diceva venduto, ma lo si fiutava nella prosa del vecchio giornale di via S. Damiano. Mussolini non aveva paura. Si era presentato come Jaurès quando fu aggredito da tutte le penne e da tutte le voci.
Je vien me mettre à nu devant le prolétariat. Così Mussolini. Volle romperla con la maldicenza, coi maldicenti. Mi svesto. Fustigatemi con le vostre accuse. Lazzari lasciava supporre di essere pieno di segreti. Andò da lui con l'aria del bonaccione. Ti voglio salvare. Assunse il tono del gesuita. Ti voglio salvare. Tu stai per rovinarti. Domani o dopo cominceremo una terribile campagna contro di te. Bada a quello che fai. Mussolini non ne fu impressionato affatto. Si alzò con la faccia diffusa di sorriso. Egli era tranquillo. Fate, gli disse. Non accetto né l'avvertimento, né l'ultimatum minatorio. Neanche i mortai da 42 potrebbero farmi retrocedere. A mortificazione di tutti — "io sono pronto a pubblicare la convenzione in base alla quale il giornale è sorto". I socialisti dell'Avanti! venivano chiamatii i nostri boches. Il loro neutralismo era in frantumi. Non temettero fino a quando il governo non ruppe la quiete per entrare in guerra. Non erano combattenti politici. Non erano dei coraggiosi. Erano dei ruminanti impauriti in una baracca giornalistica. Avevano assunto un atteggiamento da oppressi o da sopraffatti. La loro giornata sarebbe venuta. Eh sì! Il popolo si sarebbe rifiutato. Sarebbe stato con loro. Invece la gioventù veniva portata via. Piegava. Si lasciava accalappiare. Il Paese era nella Triplice. Doveva portare la sua catena fino alla fine. Non gli si sarebbe permesso di divenire spergiuro. Il lavoro dei congiurati della terza internazionale non poteva smuovere una pietra. Era un gioco da fanciulli. Non si è saputo più niente. Si aspettava la scomparsa della neutralità senza speranza di urti. Serrati, Lazzari, Bacci, Bertini si sarebbero involati.
La direzione di Benito Mussolini era stata considerata prodigiosa per l'Avanti! In due anni aveva fatto salire la tiratura del giornale a quasi centomila copie. Mentre la direzione di Claudio Treves non era riuscita alle trentaquattromila. E a lui i Bacci davano settecento lire al mese; a Mussolini cinquecento.
Il sottovoce della maldicenza aggiungeva però che il romagnolo spopolava il partito di tutta la gente in considerazione. Pareva non tollerasse il personaggio. Aveva fatto espellere i Bissolati, i Cabrini, i Podrecca e i Bonomi per un gusto personale. Era andato a Roma a istigare Orazio Raimondo, il più grande oratore parlamentare del partito. I framassoni esistevano da secoli. Persone che non facevano che del bene. Frenavano indirettamente i malvagi. Coercizzavano i cattivi a diventare buoni. Contribuivano con delle quote a migliorare il partito. E lui, nossignore! si era incaponito per la loro espulsione. E così è avvenuto. Orazio Raimondo, malgrado la sua eloquenza, è caduto. Lui e tutti i suoi framassoni sono stati messi alla porta. Le dicerie malefiche non scoraggiavano Mussolini. Egli si era proclamato un maestro di energia. Diffondeva il rivoluzionarismo. Buttava giù gli idoli passati. Enrico Bertini, sfuggito alla critica, era stato còlto dalla mano mussoliniana. Avaro, spilorcio, negriero. Pagava tutti come un padronaccio. Favoriva la parentela. Le dava i posti a mano a mano che si facevano disponibili. L'uomo che voleva le economie fino all'osso, impediva l'entrata all'uomo geniale nell'azienda ma accettava personalmente il licenziamento con un grazie di quarantamila lire. Che razza di altruista! Quando penso ai Bacci, ai Lazzari, ai Bertini, padroni dell'Avanti! e del partito socialista trasalisco. Con loro tutto precipitava nell'idiozia e nella disfatta. L'elevazione degli asini a deputati è del loro tempo.
Ma il fattaccio più grave è stato la restituzione delle fabbriche. Gli operai socialisti le avevano conquistate con tanta fatica consenziente, pare, Giovanni Giolitti e poi il trionfo della gestione è divenuto una terribile disfatta.
Il 1919 resterà memorabile. Una striscia nera per la storia del proletariato italiano. I suoi capi, i suoi dirigenti, i suoi organizzatori non sono mai stati né coraggiosi, né audaci, né intraprendenti. Dietro loro ci fu sempre l'insufficienza. Con loro non si è mai avuto un moto rivoluzionario. Il '98 fu anch'esso un disastro di fuggiaschi o di spettatori con le mani in saccoccia. Ai tribunali militari non ci furono eroi. Filippo Turati si è rimpicciolito. Il Lazzari sapeva nulla di nulla. Era stato arrestato quando era in funzione del suo mestiere di viaggiatore commerciale.
Benito Mussolini cercava un uomo, il suo uomo che avesse accumulato un serbatoio d'odio per lui che lo aveva sloggiato dalla direzione dell'Avanti! Non occupiamoci della differenza di duecento lire di stipendio. È una somma che non può interessare né l'uno né l'altro. L'odio non può uscire che dagli attacchi nascosti o velati. Il giorno che Mussolini ha chiamato Palancagreca l'on. Treves, dalla sua bocca uscivano fiamme. Egli lo ha rincorso e gli ha rovesciato addosso una caldaia ardente di prosa liquefatta. Tutte le ingiurie sono state messe in movimento. Prima gli ha ricordato le settecento lire succhiate all'Avanti! dopo di avere tentato di assassinarlo col Tempo. Ma l'articolo che condusse al duello fu ancor più violento. Si direbbe che fosse stato scritto da un infuriato. Leggendolo ci si ricorda dei più fatali scontri personali provocati dalla prosa incandescente. Cavallotti e Macola. La prosa che sto per riportare è un saggio della efferatezza di Mussolini nei momenti della sua esasperazione ed è paragonabile a quella di Edoardo Drumont. Fu questi lo scrittore di prosa più impetuosa e inclemente degli scrittori del suo periodo. Gli israeliti del suo tempo parevano affondati in un inferno di vipere. Le vittime non sfuggivano ai loro vittimizzatori. Uno dei due duelli avvenuto fra Drumont, l'autore della Francia ebraica (l'opera più perfetta in fatto di documentazione umana), e Arturo Meyer, direttore del Gaulois fu un duello epico. Al tempo stesso eroico. Meyer, per paura o per stanchezza, prese con la mano sinistra la spada di Drumont e con la sua traversò la coscia dell'avversario. Fu una scena spaventosa, presente Daudet padre. Ci furono delle imprecazioni. Drumont era appena sfuggito all'emorragia. Ritorniamo all'articolo provocatore di Benito Mussolini. È della turbolenza e della ferocia o della convulsione spasmodica. La illustrazione sul Popolo d'Italia pure: un enorme cappellone piantato sugli omeri di un tronco umano, ventruto e medagliettato, da cui pendono — al piano dei testicoli — le sembianze di Treves.
"È un'altra fama usurpata che cade. È un altro nome che sotto la maschera livida del politicante professionale, denuncia la sua vera ribalda natura. Claudio Treves non è più... lui. È un altro. Il pubblico socialista e non socialista si era abituato all'immagine di un Treves che non andava mai in collera, che passava sorridendo o smorfiando cinicamente, attraverso le polemiche più ardenti e le battaglie del giornalismo e della politica. Si diceva di lui che non prendesse mai nulla sul serio, nemmeno il Socialismo, nemmeno S. M. il Proletariato e ridesse scetticamente, in cuor suo, di tutto e di tutti. Si elogiava — fin troppo! — la sua politesse stilistica, la sua virtuosità dialettica, il suo tono gentilomesco. Si riteneva che fosse impossibile «smontarlo» e farlo andare in bestia. Questo cliché del Treves circolava da molto tempo fra la gente tesserata e no. Il cliché è oggi da spezzare. Io sono riuscito — pungendolo e mordendolo nella viva carne — a mostrare il Treves intimo, il Treves ignoto, il Treves perfido, malvagio, volgare, schifoso — schifoso più dell'insetto che egli cita, forse perché ricorda di averlo portato o di portarlo sulla pelle — il Treves che non potendo rispondere con fatti ed argomenti ai miei fatti ed ai miei argomenti, scende al rigagnolo, diguazza nel fango, ruba il linguaggio agli straccioni del «ghetto» (o Palancagreca) e crede di potermi in qualche modo offendere, e crede di potersi in qualche modo salvare dalla gogna morale in cui l'ho solidamente inchiodato. Ci resterai, Palancagreca, alla gogna! Ci resterai fino a quando mi piacerà di assistere alle tue furibonde e grottesche contorsioni di «moglio»... fortunato prima della guerra, sfortunato dopo. Né ti giova saltare i fossi. Sei troppo astuto per non capire che quando ho detto che «la polemica col moglio Treves non poteva essere cavalleresca», intendevo dire che la polemica sarebbe stata — come è stata e sarà — senza guanti e non intendevo escludere qualsiasi altra soluzione, nemmeno quella contemplata nel Codice Gelli. Ciò è chiaro — per chiunque — dal contesto del mio discorso. Claudio, il Coniglio, sapeva e sa dove sto di casa. Paolo da Cannobio, 35 o Castelmorrone, 19.
"Gli stipendi. Io accuso Treves di essersi fatto pagare settecento lire anche quando l'Avanti! era in condizioni disastrosissime e dopo la direzione del «guitto» Bissolati, che ne prendeva soltanto trecento. Invidia, gelosia? Ma no. Io non temevo e non temo i confronti e le memorie con un giornalicida qualificato come Claudio Tremens. Memorie ci sono — purtroppo! — e sono quelle dei tradimenti proletari perpetrati da Claudio Tremens, ci sono le memorie di una megalomania amministrativa che consule Treves aveva ridotto all'estremo lumicino l'organone del Partito: ecco le «memorie» che devono angustiare, umiliare l'anima sinistra di Treves, non la mia.
"Confronti? Eccoli a edificazione di tutti. Il giornalicida Treves dopo avere accoppato il Tempo e spogliatone il cadavere, aveva ridotto all'agonia l'Avanti!, sperperando il milione e duecentomila franchi della Società Editrice. Durante la direzione Treves la tiratura dell'Avanti! oscillò sulle trentamila copie. Ho ricevuto l'Avanti! a ventottomila e duecento copie. Senza la collaborazione di Treves, l'ho portato sino alle novantaquattromila copie, cifra mai raggiunta da quando l'Avanti! esiste. Quando si vogliano stabilire dei confronti, chi deve arrossire è Palancagreca, non io: chi può menare qualche vanto sono io, non lui. Quando me ne sono andato dall'Avanti! la Direzione del Partito mi tributava con un ordine del giorno votato all'unanimità i suoi sentimenti di solidarietà, di affetto, di ammirazione per la mia opera valorosa ed efficace...
"Avrei — secondo Palancagreca — voltato faccia, per salire più rapidamente. Spudorato! Salire dove? Ma non ero già abbastanza in alto? Non avevo già toccato, a ventotto anni appena, il culmine delle ambizioni che possono lusingare un uomo? Non ho io fatto gettito di tutto — stipendi, posizione, collegio — per affrontare la più violenta tempesta dell'impopolarità? Io posso profondamente disprezzare uomini come te — lercio Palancagreca —, coscienze — come te — venderecce, mistificatori — come te — che sai fare a volta a volta il riformista e il rivoluzionario, il libico e l'antilibico, il neutrale e l'interventista, il ministeriale — ributtante — a Montecitorio e il demagogo — ancor più ributtante — in piazza.
"Ecce Homo!
"Ecco Treves, — faccia verde da sputi e da schiaffi — coi suoi quattro numeri negativi: politicante, rosso, gobbo, e — soprattutto — «moglio!» Una palanca greca di pietà per questo «moglio» diventato improvvisamente idrofobo, da quando io lo esposi al pubblico ludibrio. Ma il trucco è per sempre finito.
"Egli era una specie di serratura all'inglese. Aveva il suo «segreto». Per scoprirlo ed aprirlo e... imbestialirlo è bastato combinare un certo numero di lettere in modo che ne uscisse questa parola stregata: Palancagreca... Palancagreca."
28 marzo 1915 Benito Mussolini