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Paolo Valera
Mussolini

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V

 

L'EMINENTE RIVOLUZIONARIO DEL FRONTONE

GIORNALISTICO MUSSOLINIANO

 

Augusto Blanqui, da noi, è rimasto uno sconosciuto. Se è citato da qualche burlone del socialismo italiano è per soffocarlo fra i quarantottisti, fra coloro che vivono e sognano e muoiono correndo dietro alla barricata. In verità Blanqui non ha un match nel socialismo europeo. Egli è solo. È un titano. È un gigante. È un faro di luce, di scienza, di progresso. Fu un miliardario di idee. Ne ha seminato un po' dappertutto. Non ha mai lavorato per sé. Non ha lavorato che per gli altri. Egli è stato uno dei massimi perturbatori di coscienze del suo secolo. Forse più di Proudhon. Circondato dalla calunnia, inseguito dalle persecuzioni, egli ha imparato a soffrire. Fu una vita alta, la sua. Vita pura, piena di sacrifici. Io non sono andato a Parigi senza correre al Père Lachaise a rivederlo disteso sul pietrone dove è stato deposto dal grande scultore Dalou. Nel marmo è infusa l'anima del grande rivoluzionario. Sulla sua faccia sono i suoi cinquantaquattro anni di lotta, di patimenti. Il suo corpo avvolto nel lenzuolo non impedisce al visitatore di raccogliere in un'occhiata il mezzo secolo delle sue tribolazioni. Egli è il martire principe del proletariato del suo tempo. Augusto Blanqui non ha quasi mai veduta la Francia. A 22 anni era rivoluzionario. A 72 ne aveva scontati trenta in prigione e venti in esilio.

Era nato a Nizza nel 1805. Nel '27 aveva già ricevuto una palla al collo sulla barricata di Saint-Denis di Parigi. Nella rivoluzione del '30 l'eminente sobillatore ha partecipato alla sollevazione per far cadere Carlo X, senza per questo divenire un filippista. Eloquente. Al processo egli ha evocato i morti di luglio, ha descritto la miseria proletaria, ha fatto passare sotto gli occhi dei giurati la curée (cuccagna) borghese e ha dato un la eroico ai caduti per spegnere la rapacità degli arrivisti d'allora. Predisse le rivolte e con la mano puntata fece vedere gli uragani provocati dal paese legale. I giurati affascinati dalla sua prosa tutta fiamme e tutto pensiero lo assolsero e i giudici lo condannarono per delitto d'udienza a un anno di carcere.

Con la prima condanna era incominciata la sua carriera. Nell'anno di prigionia il suo socialismo era divenuto adulto. In una sua pagina dice: "La ricchezza non ha che due sorgenti: l'intelligenza e il lavoro, l'anima e la vita dell'umanità. Se sospendete una di queste due forze, l'umanità muore". Il duello tra i lavoratori e i parassiti gli fece annunciare la decadenza della proprietà. Egli fu un ristauratore della uguaglianza sociale. Tra una sentenza e l'altra lo si rivide in circolazione nel 1839, quand'egli con Barbier — l'autore dei Giambi — ed altri si impadronirono dell'Hôtel de Ville, la fortezza municipale parigina.

La condanna per il tentativo insurrezionale è stata grave. Blanqui era divenuto un ergastolano. Non è stato liberato che dalla rivoluzione del febbraio 1848. Non ha respirato all'aria libera che pochi minuti. Egli ha ripreso subito il lavoro del rivoluzionario socialista. "La repubblica sarebbe una menzogna se dovesse essere la sostituzione di una forma di governo a un'altra. Non basta cambiare le parole, bisogna cambiare le cose. La repubblica è l'emancipazione degli operai, è la fine del regime dello sfruttamento, è l'avvenimento di un ordine nuovo che libererà il lavoro dalla tirannia del capitale. Libertà, uguaglianza, fraternità, questo motto che brilla sui frontoni dei nostri edifici non deve essere una vana decorazione teatrale. Non più illusioni! Non vi è libertà quando si muore di fame. Non vi è uguaglianza quando l'opulenza fa scandalo a fianco della miseria. Non vi è fraternità quando l'operaio coi suoi figli affamati si trascina alle porte dei palazzi. Del lavoro e del pane! L'esistenza del popolo non può rimanere alla mercé dei terrori e dei rancori del capitale."

I redattori della Rivista retrospettiva hanno tentato il suo assassinio morale chiamando il Blanqui del Club del Conservatorio un venduto. Egli è scoppiato. "E sono io, triste avanzo che trascina per le vie un corpo ammaccato sotto abiti rattoppati? Sono io che si fulmina col nome di venduto, mentre i valletti di Luigi Filippo, metamorfosati in farfalle repubblicane, volteggiano sui tappeti dell'Hôtel de Ville a diffamare dall'alto della loro virtù, nutrita da quattro portate, il povero Giobbe sfuggito dalle prigioni dei loro padroni? Redattori, siete dei vigliacchi!"

I blanquisti erano divenuti una forza. All'Assemblea Nazionale Blanqui con una eleganza fredda come una lama di Toledo denunciò i massacri di Rouen, dicendo che la Repubblica, pena la morte, doveva sollevare le sofferenze dei proletari e preparare l'avvento a uno Stato sociale più giusto. La reazione lo mise di nuovo in prigione. Ma anche sotto chiave Blanqui venne dichiarato l'autore della sommossa del 17 marzo e il più grande insurrezionale dell'epoca.

La figura fisica di Blanqui fu questa. Piccolo, esile, con la testa rasata come quella di un monaco, degna del pennello di Holbein. Occhi perduti nelle occhiaie fonde dardeggianti lampi fulvi. Viso ammantato di un pallore malaticcio. Corpo piegato sotto il triplice peso delle sofferenze fisiche, delle torture morali e della costituzione rachitica. Nulla era in Blanqui che rivelasse il cospiratore tenace e l'oratore indomabile dei clubs rossi. La rivoluzione in lui era un culto. Egli non attirava, dominava. La sua voce non affascinava. Era stridente, acuta, sibilante, metallica. Comunicava tuttavia la febbre. Sentiva di lui, del suo carattere, aspro, selvaggio, enarmonico. Voce che segava sovente i nervi. La sua caratteristica era la violenza fattistica. Vale a dire nutrita di fatti. Faceva discorsi energici, presentava mozioni virulente. Era sempre e dovunque freneticamente applaudito. Aveva un'immaginazione furiosa, uno spirito turbolento.

Della Comune non ha veduto che l'inizio. Thiers lo ha fatto agguantare come una vita preziosa e chiudere come ostaggio in una prigione di provincia. I comunardi hanno offerto al governo di Versailles tutti i loro ostaggi per riavere Blanqui. Thiers ha preferito la morte dell'arcivescovo di Parigi e degli altri in prigione fino all'80.

Sono stati gli elettori di Bordeaux che lo hanno restituito alla circolazione. Era il tempo dell'agitazione per l'amnistia dei comunardi nella Nuova Caledonia. Blanqui era il simbolo dell'agitazione. Il suo nome commoveva. I suoi scritti gli diedero un nome di grande intellettualista. Si ripubblicavano gli articoli dei suoi giornali La Patrie en danger e Ni Dieu ni Maître. La sua rientrata nella vita sociale fu una apoteosi fino alla morte. Non c'è stata città industriale della Francia che non lo abbia invitato a presiedere un comizio. È morto due anni dopo la scarcerazione, cioè nel gennaio del 1882. È stato accompagnato al Père Lachaise da una fiumana di lavoratori. Coloro che vi hanno assistito hanno dichiarato che nemmeno Victor Hugo e che neanche Victor Noir hanno avuto tanta folla come l'illustre rivoluzionario compianto da tutta la Francia rossa. Blanqui per i vigliacconi è stato un illusionista. Per coloro che aspirano alla ricostruzione sociale è stato un rivoluzionario di bronzo. Veneriamolo.




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