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Paolo Valera Mussolini IntraText CT - Lettura del testo |
"Voi, o signori del Carlino, che non avete avuto ragione di rifiutare a Libero Tancredi la pubblicazione della lettera ch'egli mi ha diretta, avete ancor meno ragione — io ritengo — di respingere questa mia risposta, anche se non sarà necessariamente molto breve.
"Comincio col dichiarare — e ciò non sembri cinismo paradossale — che non mi dolgo affatto dell'appellativo che il Tancredi mi affibbia. Dinanzi gli avvenimenti tempestosi dell'Europa odierna, gli uomini che non «fanno» la storia, ma devono limitarsi ad osservarla, sono un po' tutti uomini di paglia, anche se si chiamano Tancredi. D'altra parte se «uomo di paglia» è colui che si contraddice talvolta nella sua qualità di uomo pubblico e privato o si contraddice fra il suo ieri e il suo oggi, io potrei presentare una magnifica collezione di «uomini» di paglia. Dovrei, naturalmente, fare delle indiscrezioni, sollevare dei veli, recare nel tumulto della moltitudine ciò che fu detto e pensato nelle ore e negli abbandoni confidenti dell'amicizia... quando — conversando — ci si mette da più opposti punti di vista. Non lo faccio. Ma non mi dispiace che Tancredi — nel suo disperato e pazzesco tentativo di conciliare l'anarchia collo Stato e col militarismo borghese — porti nella circolazione i brandelli — scelti ad arte — delle nostre interminabili discussioni e cerchi invano trascinarmi dall'altra parte della barricata fra gli apologeti del grande macello.
"Carte in tavola e parole chiarissime. Di che mi accusa il Tancredi coll'avallo compiacente del Carlino? Di non aver saputo dare al giornale che dirigo una direttiva sicura, ecc. Si può pensare accusa più balorda? Si può avanzare pretesa più assurda? Che cosa si intende di dire? Per dare una direttiva «sicura» a un giornale, mentre tutta l'Europa frana, mentre tutto si capovolge e si sovverte, mentre si compie colla guerra una delle più grandi liquidazioni della storia, e il ieri non è più, e il domani non ancora si delinea, per dare a un giornale una direttiva sicura durante questa colossale umwälzung di valori materiali e morali, bisogna o avere il cervello di un genio che vede e prevede tutto, o il cervello di un idiota che accetta il destino senza indagarlo.
"Ma se non sono un genio, non sono nemmeno un idiota. E non mi vergogno di confessare che nel corso di questi due mesi tragici, il mio pensiero ha avuto oscillazioni, incertezze, trepidazioni. E chi dunque fra gli uomini intelligenti d'Italia e di fuori non ha subìto — più o meno profondamente — il duro travaglio di questa crisi interiore? E dov'è in Italia il giornale che dall'inizio della guerra ad oggi abbia seguito una direttiva sicura? Chi me lo sa indicare? Forse l'Idea Nazionale, triplicista agli inizi e antitriplicista oggi? Forse il Resto del Carlino? Ma se lo stesso Popolo Romano, funerario e quindi... proclive all'immobilità, è stato dapprima triplicista e poi, dopo l'intervento inglese, si è convertito alla causa della neutralità... E forse che queste mie incertezze sono rimaste custodite come un segreto o non si sono invece fatalmente e necessariamente riverberate sul giornale? E allora lo «sdoppiamento» di cui favoleggia Tancredi dov'è? Chiunque abbia seguito l'Avanti! avrà notato il corso del mio pensiero.
"Sono stato francofilo — nel senso politico e sentimentale della parola — sino al giorno del Patto di Londra; poi gli avvenimenti e una più chiara conoscenza della situazione hanno attenuata la mia francofilia. Quando poi ho saputo che nelle carceri della repubblica ci sono centinaia di detenuti politici del carnet B, quando ho letto gli articoli di certi giornali francesi autorevoli non sequestrati e nei quali si propugnava la «spartizione» della Germania sconfitta, quando sono venuto in possesso di altri elementi dei quali parlerò quando lo crederò opportuno, i miei entusiasmi francofili hanno subito un altro più marcato raffreddamento: allora mi son detto e l'ho stampato in uno di quei tali articoli che scrivo più frequentemente di quello che il Tancredi grafomane non pensi, che la vittoria della Triplice Intesa rappresentava per l'Italia e per la causa del socialismo il «minor male».
"Oggi io sono ancora francofilo e non mi son «rimangiato» nulla, egregio contraddittore, ma mi rifiuto di esaltare superficialmente la guerra della Triplice come una guerra rivoluzionaria democratica o socialista — secondo la volgare corrente opinione dei circoli massonici o riformisti. Quanto all'intervento dell'Italia, è questione da esaminare ormai da un punto di vista puramente e semplicemente «nazionale». Reazione e rivoluzione non c'entran più o assai indirettamente.
"Orbene, tutti coloro che hanno letto durante questi due mesi l'Avanti!, avranno notato questa grafica del mio pensiero. L'antitesi fra il mio «me» pubblico ed il mio «me» privato non esiste: quello che turbava la mia coscienza di uomo si rifletteva per necessità di cose nella mia opera di pubblicista, ed è stato notato, infatti. Questa dello sdoppiamento è una stupidissima fola.
"E le prove della mia «duplicità» spirituale e politica, della mia doppiezza, come rincara il Carlino? Eccole, secondo le misteriose rivelazioni di Libero Tancredi. «Io so pure — scrive Tancredi — che tu hai parlato a me delle classi che l'Italia dovrebbe mobilitare per intervenire e mi hai fatto l'elogio del fucile 1891 e hai dichiarato che alla guerra contro l'Austria tu avresti partecipato con entusiasmo.» Ebbene che cosa c'è di eccezionale in tutto ciò? Di compromettente? Di doppio? Ma non l'ho scritto pochi giorni fa polemizzando con Hervé, che se l'Italia vuol andare a Trento e a Trieste deve mobilitare due milioni di soldati? E fare l'elogio di un fucile per le sue qualità tecniche o dire che gli alpini sono degli eccellenti soldati, significa forse affermare la necessità urgente di una guerra all'Austria? E nel caso di guerra dell'Italia all'Austria non ho sempre detto e stampato — anche ieri — che l'atteggiamento dei socialisti italiani, o di gran parte di essi, sarà «praticamente» diverso? Non ostile, ma in certo senso simpatico? Dov'è dunque l'antitesi «perfetta» di cui va cianciando l'allegro Tancredi? Dell'impreparazione militare non ho parlato solo «privatamente» col Tancredi, ma anche pubblicamente sul giornale. Tale impreparazione esiste tuttora, Non spetta a voi occuparvene, dichiara il Tancredi. Ah dunque: noi dobbiamo predicare la guerra e non curarci nemmeno di sapere se questa guerra sia possibile, dal momento che per farla non bastano gli articoli e le conferenze di Tancredi? Sarebbe il colmo dell'incoscienza. Ignora, dunque, il Tancredi che — ai primi di ottobre — l'Italia non potrebbe mobilitare che le sole otto classi dell'esercito permanente, secondo dichiarava uno scrittore nell'ultimo numero della Preparazione, organo militare?
"I miei giudizi sulla neutralità (governativa) li mantengo ma tra quelli pubblici e privati non v'è differenza di sorta. Ho detto e ripetuto — pubblicamente e privatamente — sul giornale e in una assemblea di partito a Milano — alla quale, se non m'inganno, era presente lo stesso Tancredi — che l'Italia ufficiale è «imbottigliata», inchiodata nella sua neutralità. Colpa di chi? Non certo dei socialisti. Ho detto, ho scritto e ripeto che l'Italia poteva fare la politica della «grande potenza» ai primi d'agosto, stracciare il trattato della Triplice Alleanza, unirsi alla Triplice Intesa e con questo gruppo tentare la buona e la cattiva fortuna. Se non l'ha potuto, o non l'ha voluto fare, la colpa non è dei socialisti. È giudicando le cose da un punto di vista nazionale o di obiettività critica, che io ho avuto momenti di ripulsione contro questa neutralità governativa, che è bassa, mercantile, non illuminata da qualche speranza; una neutralità di ripiego, degna di gente che vive alla giornata. Ma questa situazione non siamo noi che l'abbiamo creata. Non siamo noi che dobbiamo espiare le conseguenze di tutto un indirizzo di politica estera, antinazionale dal 1860 ad oggi. Le classi dirigenti italiane sono nel cul di sacco delle loro contraddizioni, insufficienze, colpe: ci restino! Questo ho detto qualche volta al Tancredi, il quale — pur ricordando tanti particolari insignificanti — dimentica il nodo centrale delle nostre discussioni. Il quesito che io gli ponevo e gli pongo, il quesito unico e chiaro e formidabile è questo: può il partito socialista assumersi la iniziativa e la responsabilità di una guerra? Tancredi rispondeva: No. E Lorand mi dichiarava, in altra occasione: «Non vi chiediamo tanto!» E Filippo Naldi del Carlino, in altra circostanza, conveniva che «non si poteva pretendere che il partito socialista assumesse l'iniziativa della guerra».
"Non l'iniziativa, dice Tancredi, ma nemmeno l'«opposizione». Orbene tutti sanno che la nostra opposizione ha avuto un carattere particolarissimo nei riguardi di una guerra contro all'Austria-Ungheria. Sin dai primi di agosto il governo sapeva che la nostra ostilità alla guerra avrebbe cambiato tono e forma a seconda delle circostanze: violenta, insurrezionale, nel caso di guerra contro la Francia, ideale e «legale» nel caso di guerra contro all'Austria-Ungheria.
"No, non ci siamo giovati dell'ignoranza delle masse per incitare il Governo a tradire il Paese. No. Il Governo non può crearsi un alibi qualsiasi attraverso il nostro atteggiamento. Se lo tentasse, sarebbe un governo suicida. La nostra opposizione alla guerra è stato un movimento di propaganda socialista di diffusione di principi e nulla più. Quando noi infatti, accettavamo la chiamata delle classi senza fissarne il limite per difendere la neutralità, venivamo ad accettare in massima la mobilitazione stessa. Una campagna — di fatto — contro la guerra avrebbe dovuto cominciare coll'opporsi al richiamo delle classi. Il carattere della nostra opposizione alla guerra è dunque precisato: né il manifesto famoso viene ad alterarlo. Vi si parla, è vero, di opposizione alla guerra ma non si accenna nemmeno allo sciopero generale che alla vigilia di una guerra io ritengo appunto — e potrei anche ingannarmi — un disastro e una follia.
"Che cosa rimane ora dell'acre ritorsione tancrediana? Nulla o ben poco. Il Tancredi è un anarchico-fenomeno: un anarchico che esalta la guerra e vorrebbe spingere l'Italia alla guerra. Ora, se v'è qualche cosa che comincia ad essere un po' repugnante, è appunto questo anarchismo che maschera le sue inversioni intellettuali e politiche sotto il pretesto comodo e... simpatico dell'eresia. Se v'è qualche cosa di «scorretto» è appunto questo giovarsi della qualità di «anarchico» per accreditare in un certo qual senso la propria merce intellettuale e rendere dei servigi alla classe borghese.
"Se v'è qualche cosa che dovrebbe finire è Libero Tancredi, o... Massimo Rocca. A scelta. Qual è fra i due «l'uomo di paglia», che io mi riservo di presentare domani? Massimo Rocca o Libero Tancredi?
"A l'uno e all'altro io dico — concludendo — che non conosco «adattamenti» per amor di stipendio. Sono troppo «irregolare» nella mia vita per nutrire di queste preoccupazioni. Sappia Tancredi che l'anno scorso mi dimisi da direttore dell'Avanti! per un dissidio assai lieve coi miei compagni della Direzione del Partito. Lezioni di dignità non ne accetto da nessuno, ma meno che meno poi, da Massimo Rocca. Il cui caso è infinitamente pietoso! Ecco un uomo che — sentendo crescere ogni giorno il grottesco e l'immoralità della sua posizione intellettuale e politica — si afferra a tutto pur di avere dei compagni e dei complici nella sua rovina. È tanto basso che non si accorge di mentire, narrando episodi insussistenti, come quello del prof. Pirro, mentre non sente l'elementare pudore di avvertire che io non ho mai accettato il suo punto di vista...
"Non è certo da siffatto campione che io posso accogliere — caso mai — l'imposizione di risolvere i «miei casi» di coscienza. Il consiglio deve partire da altre bocche e quanto all'ora, la scelgo io!"