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Paolo Valera Mussolini IntraText CT - Lettura del testo |
Si soffriva. Era un ambiente di trambasciati. Si aveva bisogno di un sollievo, di udire la parola di un uomo che schiudesse nuove speranze. Giacomo Matteotti era scomparso troppo giovine perché venisse diffuso come figura parlamentare. Il suo discorso alla Camera era stato documentale. Aveva irritato gli avversari. Aveva sollevato il fascismo che si dibatteva come un mucchio di lucertole. Filippo Turati non poteva essere in vena di aggredire. Era troppo intenerito dall'argomento. "Vorrei", disse, "che a questa riunione non si desse il nome logoro o consunto — specialmente qui dentro — di commemorazione. Noi non commemoriamo. Noi siamo qui convenuti ad un rito, ad un rito religioso, che è il rito stesso della Patria. Il fratello, quegli che io non ho bisogno di nominare, perché il suo nome è nei vostri cuori, perché il suo nome è evocato in questo momento da tutti gli uomini di cuore, non è neppure un assassinato. Egli vive, Egli è qui, presente e pugnante. Egli è un accusatore; Egli è un giudicatore; Egli è un vindice. Non il nostro vindice, o colleghi. Sarebbe troppo misera e futile cosa. Egli è qui il vindice della terra nativa; il vindice della Nazione che fu depressa e soppressa; il vindice di tutte le cose grandi che Egli amò, che noi amammo, per le quali vivemmo, per le quali oggi più che mai abbiamo, anche se stanchi e sopraffatti dal disgusto, il dovere di vivere. E il dovere di vivere è anche, soprattutto, dovere di morire quando l'ora lo comanda.
"Di morire per rivivere; di morire perché tutto un popolo morto riviva; di morire perché il nostro sangue purifichi le zolle, le sacre zolle della Patria, che alla Patria — se le fecondi sudore di servi — procacciano messi avvelenate.
"E questo vivo, che è qui accanto a me, alla mia destra, ritto nella sua svelta figura di giovine arciere, di cui voi vedete il sorriso, di cui voi scorgete il cipiglio — perché non è un'allucinazione, perché lo vedete, perché non vi inganno, — questo vivo, questo superstite, questo ormai immortale e invulnerabile, fatto tale dai nemici nostri e d'Italia; questo vivo, nell'odierno rito, è trasfigurato. È Lui ed è tutti. È uno ed è l'universale. È un individuo ed è una gente.
"Invano gli avranno tagliuzzato le membra, invano (come si narra) lo avranno assoggettato allo scempio più atroce, invano il suo viso, dolce e severo, sarà stato sfigurato. Le membra si sono ricomposte. Il miracolo di Galilea si è rinnovato. A che le vane ricerche, o farisei d'ogni stirpe? A che gli idrovolanti sul lago, a che il perlustrare la macchia, il frugare nei forni?
"L'avello ci ha reso la salma. Il morto si leva.
...
"Quello, che era cosa nostra, è divenuto anche la cosa vostra, l'uomo di tutti, l'uomo della storia. E, ingrandito così, quasi è tolto a noi come alla famiglia dolorante — perché è divenuto un simbolo.
"Il simbolo di un oltraggio che riassume ed eterna cento e centomila altri oltraggi, tutti gli oltraggi fatti ad un popolo; la figura che compendia tutti gli altri trucidati e percossi per lo stesso fine, da Di Vagno a Piccinini, agli infiniti altri oscuri; il simbolo di una stirpe che si riscuote; il simbolo di un passato che si redime, di un presente che si ridesta, di un avvenire che si annunzia; della immortale democrazia, della indefettibile giustizia sociale, che si rimettono in cammino; dell'Italia che, dopo una parentesi di spaventoso Medio Evo, risale nella luce dell'età moderna, rientra fra le genti civili.
"Il simbolo è la Nemesi: la Nemesi augusta, o signori, che è della storia. Cerchi il Magistrato le colpe e le ferocie secondarie e minori; incalzi gli esecutori codardi e i mandanti immediati: compito anche questo altamente rispettabile e necessario. Frughi e tenti di sventare la congiura degli intrighi, di snodare il groviglio dei silenzi comprati o ricattati, le mendicate omertà, e il tagliaborse che si annida nell'assassino. Tutta questa è la cronaca.
"Essa addita il grande mandato; il mandato che erompe da più anni di violenze volute, di violenze inanellate alla frode, di consenso cercato ed irriso; dal sarcasmo di una pacificazione, proclamata a parole e impedita e violentata nei fatti; dall'incitamento perenne alla soppressione del pensiero libero e di chiunque lo incarni, la quale è soppressione della vita, della Patria, della civiltà. Addita il mandato che scese dall'istrionismo bifronte, che adesca insieme e minaccia, che offre il ramo d'olivo ed affila nell'ombra i pugnali. Addita il mandato che salì dalle viltà incommensurabili, dalle fughe abbiette, dagli obliqui fiancheggiamenti, dai silenzi complici, dalla corruzione demagogica esercitata su anime semplici, talvolta generose ed eroiche, persino di combattenti insigni ed oscuri, i quali in buona fede hanno creduto che un regime di minaccia e di prepotenza potesse essere ricostruttore, che la più immonda curée potesse germogliare la rigenerazione del Paese, che gli errori e le colpe fugaci di una massa illusa (e non cerchiamo illusa da chi; e non domandiamoci se veramente esistono le colpe di un popolo) dovessero espiarsi, non col richiamo severo alla ragione, ma con la catena dei delitti, con la tregenda delle sopraffazioni esercitate su quel popolo; col dileggio di ogni umana dignità; con la tragedia del terrore, accoppiata alla coreografia di vetusti trionfi mai redivivi."
Il grido angoscioso di Filippo Turati è corso dovunque come uno schianto d'animo. Si singhiozzava o si sentiva il singhiozzo nella gola.