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Paolo Valera Mussolini IntraText CT - Lettura del testo |
La figura di Benito Mussolini non è mai completa. È entrato in Roma come nessun altro ministro. Per il suo passato fuori di Roma lo si supponeva un demolitore di Monarchia. Al contrario. Si è rivelato subito un devoto alla dinastia. La voce pubblica è stata più di una volta alle prese con lui. La stampa gli si è rivoltata. Nessun Presidente ha lasciato violentare, ha fatto imbavagliare e sequestrare tanti giornali. Non c'è uomo che abbia citato tante volte la rivoluzione come lui. È lui che ha voluto far penetrare nel cittadino la leggenda della sua "rivoluzione". La parola rivoluzione è ormai gloriosa. Accompagna tutti i gesti del duce. Un altro italiano avrebbe avuto paura di servirsi del manganello. Ai tempi dell'Austria lo abbiamo odiato, esecrato, maledetto, stramaledetto. Benito Mussolini, esule a Trento, l'aveva invettivato. Salito al potere se l'è fatto suo. Ci sono state moltitudini che hanno dovuto trangugiare calici e bicchieri di olio di ricino. Questi scandali non l'hanno mai disturbato. Ieri stesso ha potuto dimostrarsi un anticristo in riposo. Dei suoi castighi non è malcontento. "Mettiamo pure in soffitta il manganello, ma, mi raccomando, non mettiamoci le pantofole e la papalina perché potrebbe darsi il caso, che, mentre noi andiamo disarmati con tutti i ramoscelli di una intera foresta di ulivi, gli altri si preparassero armata mano e un giorno ci costringessero alla lotta in condizione di assoluta inferiorità."
La sua personalità politica è sempre in discussione. Egli parla molto. Quasi tutti i giorni. La stampa ha mostrato di voler sapere se quando parla è in nome del capo del Governo o del capo del fascismo. Mussolini non si è trovato in imbarazzo. "Parla l'uno e l'altro — egli ha detto — in quanto che i due elementi non formano che un'unità completa, che due aspetti dello stesso fenomeno, due attività della stessa natura.
"Voglio portare il mio cordiale saluto a voi, uomini della provincia, della buona, della salda, della quadrata provincia. Vorrei che portaste nelle città troppo popolose e spesso smidollate il vostro spirito pieno di profondità saggia. Bisogna fare del fascismo un fenomeno prevalentemente rurale."
Certo le adulazioni pubbliche per il Duce sono oggi in diminuzione. La sua strafottenza e la sua persistenza a tenere per il collo la stampa, gli hanno fatto perdere molte simpatie.
L'affare Matteotti che gli ha messo in piazza i più affezionati collaboratori come complici o mandanti dei sicari ha contribuito a portargli via del rispetto morale. Il ratto del deputato non era stato messo in fuzione né dai Depretis, né dai Crispi, né dai Nicotera, né dai Rattazzi. È stato una sorpresa. Nessuno poi avrebbe creduto all'omicidio. Per me non c'è né politica né dramma nel ragoût messo assieme dai turpi personaggi del Viminale. La rivoluzione ha dato loro alla testa. Ci voleva poco a far loro capire che la rivelazione del fattaccio avrebbe scombussolato e diminuito il fascismo. Certi atti sanno di disperazione. I complotti e l'oscurità dei delitti hanno fatto cadere lo Czar prima con la sua famiglia e Kerensky poi. Darei la preferenza alla guerra civile al delitto Matteotti. Ai loro autori assegnerei un posto in un manicomio. Siamo troppo raccomandati alle dande dei prefetti. Una volta non avevamo per i prefetti che del ridicolo. Ci levavamo in piedi con parole brutali se ci molestavano o ci importunavano. E adesso che c'è alla testa della nazione un ex giornalista, anzi un giornalista che non sa rinunciare alla professione, il prefetto è quello che ci imbavaglia. Cosa assolutamente intollerabile!
La condizione economica del paese è stata sempre più trascurata. I poveri sono rimasti poveri. Con questo di peggio: che la questione dell'abitazione è stata tutta avviata a favore del padrone di casa. I proprietari di stabili si sono tre, quattro, cinque volte arricchiti. Gli affitti sono saliti, aumentati dappertutto. La poveraglia è rimasta schiacciata. Il bottegaismo ha sentito subito la sua funzione rapace. È venuta in scena la piovra. La famiglia di due o tre o quattro lire al giorno è naufragata. È scomparsa, come è scomparsa la trattoria del viandante. La gente che non ha fatto denaro sui mercati dei residuati di guerra non ha trovato più la sua gargotte. È stata dispersa dagli aumenti. Benito Mussolini conosceva queste miserie della vita amministrata dai presidenti piemontesi Giolitti e Facta. Lui salito al potere ha voluto l'atmosfera del palazzo. La sua residenza presidenziale è al palazzo Chigi. È stata per lui una splendida vetrina. Per trovarlo si va oltre la "sala delle galere". Egli riceve nel "salone della Vittoria". Credo che non potrebbe più abitare l'edificio del bisognista. Egli è andato a Roma con l'impero romano del Gibbon. Dalla sua ascensione vive nella lussuria. Non so quante stanze appartengano al suo appartamento nel palazzo Torlonia. Va a Corte direi quasi come un sovrano. Va a cavallo tutte le mattine. Nessuno sapeva ch'egli avesse imparato l'equitazione. Se andasse in bolletta avrebbe da vivere arcibene come chauffeur. Ha tre o quattro automobili. La sua favorita è la torpedo.
Lavora come un negro. Ha studiato il pensiero politico di Edmondo Burke e del conte di Chatham, la più grande figura parlamentare inglese del suo tempo. Fu col Burke che nacque il "re patriota" e la teoria che il popolo ha qualche volta torto. Ma il Burke ha però sempre avuto un grande rispetto per il giornalismo. La cabala di corte non fu mai sua. Era considerato un "principe della libertà di stampa". Mussolini ha l'abitudine di dire a se stesso, in italiano o in inglese: it must be so (deve essere così). La prosa parlamentare di Burke era ed è il pane quotidiano degli statisti o degli oratori politici di alto bordo.
La "strada" durante l'impero di Benito Mussolini è divenuta paurosa. Sono bastati pochi conflitti e alcuni cadaveri a deviare le moltitudini. Da un pezzo non si sono più vedute dimostrazioni di strada. Lo sciopero a ripetizione è diventato antipatico. Ha diviso il proletariato, che si è lasciato sottomettere alle grosse organizzazioni di tipo militare. I proletari che non si sono lasciati assorbire dalle ondate mussoliniane non si riproducono. Non si assimilano. Kerensky, non appena alla testa della rivoluzione russa, ha presentato alla Duma l'abolizione della pena di morte. È stata votata. Lo Czar non aveva fatto che impiccare. La Siberia era un nome infame in tutte le nazioni. Luogo di tormenti. I più bei nomi della letteratura, della storia, delle agitazioni e della collaborazione sociale vi sono periti. Lenin, Kropotkine, Plechanoff, Dostoyesky furono uomini di pena. È naturale che la prima alterazione del regime sociale debba essere stata per Kerensky l'abolizione della pena di morte. È stata una prima respirata nazionale. Mussolini con la sua "rivoluzione" della marcia di Roma non si è trovato nella condizione di Kerensky. L'Italia è il paese di Cesare Beccaria. Non ci voleva proprio che Farinacci — l'avvocato di Cremona — per ricordarci che non eravamo brutali abbastanza e che dovevamo riattaccarci all'esecuzione del Boggia per riprendere la funzione del carnefice.