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Paolo Valera
Mussolini

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ENTRATURA

 

Ricordo Benito Mussolini con quel suo paltoncino proletario, dal bavero rialzato. Il freddo milanese lo sentiva molto. Compariva tutto freddoloso nel mio studio di via Fontana 18, con una certa timidezza. Protendeva la testa con quei suoi occhioni di fuoco. Sovente, entrando, domandava: "Sei solo?". Non sedeva quasi mai. Passeggiava concitato e sviluppava i suoi pensieri rivoluzionari. Demoliva il regime del quale oggi è ricostruttore: monarchia, militarismo, parlamentarismo, capitalismo. Tutta roba che allora mandava all'égout.

Come era superbo Mussolini, coi suoi occhi luminosi che traducevano i bagliori della demolizione di tutto ciò che era borghese e legislativo! Non era per il parlamento: il luogo dei ciarloni nazionali. Il senato, puah!: istituzione da museo, ricettacolo di vecchiardi che non giovavano più a nessuno. Lo sciopero era il suo ideale di rivolta. Era dell'elevazione per il proletariato. Per vincere la "vil borghesia" non c'era che l'incrociamento delle braccia. Con le masse in sciopero, lo stantuffo della nazione rimaneva paralizzato.

Una mattina brumosa, Benito Mussolini venne da me trafelato a domandarmi come doveva salvarsi dal taglio delle canne del gaz. Era alla direzione dell'Avanti! da pochi mesi. L'amministrazione del giornale gli faceva subire delle umiliazioni. Mussolini aveva una famiglia da mantenere e le cinquecento lire di stipendio erano un'insufficienza. Era duro il pane socialista! Donna Rachele, me la ricordo fugacemente con la sua piccola Edda. Bionda. Buona donna di casa. Affezionata alla sua penuria.

Benito Mussolini aveva delle stravaganze. Un giorno che fu in vena di compere artistiche venne da me con un busto di Dante di gesso. Mi disse: "Tienlo che verrò a riprenderlo". È ancora in casa mia come il sovrano della lingua. Il suo ex proprietario avrebbe pietà di rivederlo.

Sovente lo accompagnavo al giornale. La sua conversazione mi interessava molto. Fattiva. Rivoluzionaria. Barricadiera. Produceva dei capolavori blanquisti. Una mattina Benito Mussolini salì in casa mia con la sua rivoluzione dicendomi: "Aiutami a trovare un titolo per il «mio giornale»". Passammo un'ora nella ricerca. Mi ha sbattuto via tutti i titoli scarlatti. Finalmente spuntò Il Popolo d'Italia.

Dopo qualche giorno mi chiese un romanzo per la sua appendice. Gli risposi: "Scegli".

"Dammi la Folla. Quanto vuoi?"

"Fai, tu."

Mi diede un biglietto da cinquecento.

La sera in cui divenne proprietario del Popolo d'Italia — quotidiano socialista — pranzammo insieme al Casanova coll'onorevole prof. Luigi Maria Bossi, l'illustre ginecologo genovese ucciso nel febbraio del '19, nel suo gabinetto di lavoro, dal furore pazzesco di un tunisino. Mussolini era nervosissimo. Non mangiò. Dico male, mangiò delle foglie di lattuga romana, inzuppate nel sale. Sembrava un selvaggio. Prendemmo il caffè al Biffi. Io e la mia compagna lo accompagnammo alla redazione del suo quotidiano, un piccolo studio disadorno e pieno del suo cervello. Lo salutammo con la penna in mano pronto a scrivere il suo articolo di fondo. Non ci siamo più riveduti.

Dopo quasi dieci anni, a una radunata al Cova, l'ho rivisto Presidente del Consiglio dei ministri, circondato da una folla di giornalisti dell'Associazione Lombarda.

"Ciao, follaiuolo, come stai?" mi disse Mussolini stendendomi la mano.

"Bene, e tu?"

"Che cosa stai scrivendo?"

Incominciai a biografarlo così come l'ho conosciuto e lo metto in circolazione.




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